Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1914, XIX.djvu/100: differenze tra le versioni

 
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Delle tre «la più allegra e movimentata è quella dal titolo Le smanie» scrive Giulio Piazza (''Piccolo'', Trieste, 2 febbr. 1911). Allegria e movimento che sono tutto ne’ dialoghi perchè, avverte giustamente anche il Mathar, «questo lavoro non ha quasi punta azione» (''C. G. auf dem deutschen Theater des XVIII. Jahrh.'', Montjoie, MCMX, pp. 204, 205). E l’Ortolani: «Sorridono i dialoghi e circolano senz’altra azione» (''Della vita e dell’arte di C. G.'', Venezia, 1907, p. 114). La naturalezza del dialogo — giudica il De Vico — è quale «si può udire anche oggi in qualche famiglia borghese» (''Per un parallelo letterario mal fatto'', 1913, p. 207). «Non si danno forse azione e intreccio più semplici — giudica un buon critico olandese — eppure la commedia è attraente dal principio alla fine, grazie al disegno, vivo ed esatto, dei caratteri e alle comicissime scene che rappresentano le preoccupazioni e i disgusti per gli sperati diletti della villeggiatura» (Kok, ''C. G. en bel italiaanscbe Blijspel'', 1875, p. 112).
Delle tre «la più allegra e movimentata è quella dal titolo ''Le smanie''» scrive Giulio Piazza (''Piccolo'', Trieste, 2 febbr. 1911). Allegria e movimento che sono tutto ne’ dialoghi perchè, avverte giustamente anche il Mathar, «questo lavoro non ha quasi punta azione» (''C. G. auf dem deutschen Theater des XVIII. Jahrh.'', Montjoie, MCMX, pp. 204, 205). E l’Ortolani: «Sorridono i dialoghi e circolano senz’altra azione» (''Della vita e dell’arte di C. G.'', Venezia, 1907, p. 114). La naturalezza del dialogo — giudica il De Vico — è quale «si può udire anche oggi in qualche famiglia borghese» (''Per un parallelo letterario mal fatto'', 1913, p. 207). «Non si danno forse azione e intreccio più semplici — giudica un buon critico olandese — eppure la commedia è attraente dal principio alla fine, grazie al disegno, vivo ed esatto, dei caratteri e alle comicissime scene che rappresentano le preoccupazioni e i disgusti per gli sperati diletti della villeggiatura» (Kok, ''C. G. en bel italiaanscbe Blijspel'', 1875, p. 112).


Se allo Schmidbauer sembra che in questa commedia «finalmente la satira goldoniana acquisti un carattere più serio» e diventi «satira sociale», (''Das Komische bei G.'', Mùnchen, 1906, p. 138) al Ruth, uno de’ critici tedeschi che meno compresero il Nostro, parve proprio il contrario. «Queste tre commedie — scriv’egli — avrebbero ad essere una satira della mania del lusso, dei piaceri, dell’ozio e della millanteria, ma poichè tutti i personaggi ti danno allo stesso modo un senso di vuoto e di noia, non essendoci il contrasto di qualche individuo sopportabile e la spregevole natura umana apparendo descritta senza un minimo di malizia, è ben difficile persuadersi d’una intenzione di satira» (''Über Goldoni. Literarhistorisches Taschenbuch'', Hannover, 1846, p. 314).Il Rabany qualifica la commedia «une pièce assez mediocre », ma ne traduce intero il famoso duetto femminile per mostrare «che all’occasione Goldoni non era sprovvisto di finezza e sapeva dipingere uno de’ difetti più peculiari alle donne: la civetteria» (op. cit., p. 207). Civetteria e nulla più? Il Rabany sente la bellezza della scena, ma non se ne rende piena ragione. Ben altrimenti vi penetra il Momigliano e con questa acutissima analisi la scompone ne’ suoi più delicati elementi: «Come son resi l’introduzione dolce e copertamente assassina d’una conversazione di signore; l’iperbole nel raccontare le loro miseriole e nello scandolezzarsi piccino; la tendenza a veder grosso nel piccolo, a fare un universo nel loro cantuccio, a far le loro noie centro del mondo; l’agilità nel cambiare il discorso, l’abilita nell’avvicinarsi all’argomento, nel quale vogliono scavare, e nel nasconder colla parola il pensiero in modo che non si veda e si veda; la prontezza continua nel paragonar sè alle altre e nel dolersi se in nulla credon d’essere inferiori; la varietà inesauribile nel pungere; la crudeltà nel far sentire alle amiche — continuamente — la propria superiorità! Ma tutto questo che rilevato dal critico può sembrar serio è — per la sua piccineria — intimamente comico, e resta nel Goldoni, unico in questo, altrettanto leggero e ridicolo quanto è nella vita. Un osservatore dei soliti davanti a questi spettacoli pensa un gran male di quelle donne, ed è ingiusto: il Goldoni vede che quelli son difetti di superficie, di vita esterna, aderenti — direi — più all’ambiente ristretto che alle anime che lo popolano ....» (''La comicità e l’ilarità del G., Giorn. stor. d. lett. ital.'', 1913, vol. LXI, p. 19). Di Giacinta che da tutta la commedia emerge come
Se allo Schmidbauer sembra che in questa commedia «finalmente la satira goldoniana acquisti un carattere più serio» e diventi «satira sociale», (''Das Komische bei G.'', Mùnchen, 1906, p. 138) al Ruth, uno de’ critici tedeschi che meno compresero il Nostro, parve proprio il contrario. «Queste tre commedie — scriv’egli — avrebbero ad essere una satira della mania del lusso, dei piaceri, dell’ozio e della millanteria, ma poichè tutti i personaggi ti danno allo stesso modo un senso di vuoto e di noia, non essendoci il contrasto di qualche individuo sopportabile e la spregevole natura umana apparendo descritta senza un minimo di malizia, è ben difficile persuadersi d’una intenzione di satira» (''Über Goldoni. Literarhistorisches Taschenbuch'', Hannover, 1846, p. 314).Il Rabany qualifica la commedia «une pièce assez mediocre », ma ne traduce intero il famoso duetto femminile per mostrare «che all’occasione Goldoni non era sprovvisto di finezza e sapeva dipingere uno de’ difetti più peculiari alle donne: la civetteria» (op. cit., p. 207). Civetteria e nulla più? Il Rabany sente la bellezza della scena, ma non se ne rende piena ragione. Ben altrimenti vi penetra il Momigliano e con questa acutissima analisi la scompone ne’ suoi più delicati elementi: «Come son resi l’introduzione dolce e copertamente assassina d’una conversazione di signore; l’iperbole nel raccontare le loro miseriole e nello scandolezzarsi piccino; la tendenza a veder grosso nel piccolo, a fare un universo nel loro cantuccio, a far le loro noie centro del mondo; l’agilità nel cambiare il discorso, l’abilita nell’avvicinarsi all’argomento, nel quale vogliono scavare, e nel nasconder colla parola il pensiero in modo che non si veda e si veda; la prontezza continua nel paragonar sè alle altre e nel dolersi se in nulla credon d’essere inferiori; la varietà inesauribile nel pungere; la crudeltà nel far sentire alle amiche — continuamente — la propria superiorità! Ma tutto questo che rilevato dal critico può sembrar serio è — per la sua piccineria — intimamente comico, e resta nel Goldoni, unico in questo, altrettanto leggero e ridicolo quanto è nella vita. Un osservatore dei soliti davanti a questi spettacoli pensa un gran male di quelle donne, ed è ingiusto: il Goldoni vede che quelli son difetti di superficie, di vita esterna, aderenti — direi — più all’ambiente ristretto che alle anime che lo popolano ....» (''La comicità e l’ilarità del G., Giorn. stor. d. lett. ital.'', 1913, vol. LXI, p. 19). Di Giacinta che da tutta la commedia emerge come