Pagina:Zibaldone di pensieri VI.djvu/219: differenze tra le versioni

Cinzia sozi (discussione | contributi)
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{{ZbPensiero|3829/1}} Lo stato della letteratura spagnuola oggidí (e dal principio del seicento in poi) è lo stesso affatto che quello dell’italiana, eccetto alcuni vantaggi di questa, ed alcune diversità di circostanze, che non mutano la sostanza del caso. Come noi (al paro di tutti gli altri stranieri) non dubitiamo che la Spagna non abbia né lingua né letteratura moderna propria, e dal seicento poi non l’abbia mai avuta, cosí non dobbiamo dubitare che non sia altrettanto in Italia, e ciò dal seicento in poi, come gli stranieri, e forse tra questi anche gli spagnuoli (che del fatto loro non converranno), punto non ne dubitano. Quello che noi vediamo chiaro in altrui e nel lontano, ci serva di specchio e di esempio per ben vedere, per accorgerci, per conoscere e concepire il fatto nostro, e quello ch’essendoci proprio e troppo vicino, non suol vedersi né conoscersi mai bene, sí per l’inganno dell’amor proprio, sí perché la stessa vicinanza nuoce alla vista, e l’abitudine di continuamente vedere impedisce o difficulta l’osservare, il notare, l’attendere, il por mente, l’avvedersi. L’opinione che abbiamo di quelli stranieri c’istruisca <section end="1" /><section begin="2" />{{ZbPagina|3830}} di quella che dobbiamo avere di noi, e le ragioni di quella si applichino al caso nostro, ché ben vi sono applicabili ec.
{{ZbPensiero|3829/1}} Lo stato della letteratura spagnuola oggidí (e dal principio del seicento in poi) è lo stesso affatto che quello dell’italiana, eccetto alcuni vantaggi di questa, ed alcune diversità di circostanze, che non mutano la sostanza del caso. Come noi (al paro di tutti gli altri stranieri) non dubitiamo che la Spagna non abbia né lingua né letteratura moderna propria, e dal seicento poi non l’abbia mai avuta, cosí non dobbiamo dubitare che non sia altrettanto in Italia, e ciò dal seicento in poi, come gli stranieri, e forse tra questi anche gli spagnuoli (che del fatto loro non converranno), punto non ne dubitano. Quello che noi vediamo chiaro in altrui e nel lontano, ci serva di specchio e di esempio per ben vedere, per accorgerci, per conoscere e concepire il fatto nostro, e quello ch’essendoci proprio e troppo vicino, non suol vedersi né conoscersi mai bene, sí per l’inganno dell’amor proprio, sí perché la stessa vicinanza nuoce alla vista, e l’abitudine di continuamente vedere impedisce o difficulta l’osservare, il notare, l’attendere, il por mente, l’avvedersi. L’opinione che abbiamo di quelli stranieri c’istruisca <section end="1" /><section begin="2" />{{ZbPagina|3830}} di quella che dobbiamo avere di noi, e le ragioni di quella si applichino al caso nostro, ché ben vi sono applicabili ec.



Del resto tutto quello ch’io [ho] ragionato in piú luoghi circa la presente (ec). condizione della letteratura e lingua italiana; circa il mancar noi di lingua<section end="2" />
{{ZbPensiero|3830/1|noasc}} Del resto tutto quello ch’io [ho] ragionato in piú luoghi circa la presente (ec). condizione della letteratura e lingua italiana; circa il mancar noi di lingua<section end="2" />