Il probabile falsificatore della Quaestio de aqua et terra/III: differenze tra le versioni

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{{Centrato|III.}}
 
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Meglio peraltro che queste notizie raccolte dalle biografie e dagli scritti di fra Benedetto di Castiglion Aretino varranno a delinearcene il carattere alcuni documenti di lui, o a lui relativi, che si trovano nell’Archivio Gonzaga. Vedemmo quanto affetto legasse il Moncetti a Mantova e con quali parole dedicasse, oltrechè ad Ippolito, a Isabella d’Este il ''De aqua''. Ora è appunto ad Isabella che egli si rivolge nel 1509, per condolersi secolei della prigionia del Marchese, caduto in potere de’ Veneziani, e per pregarla insieme d’un segnalato favore. La lettera è di tal natura da far congetturare una lunga servitù precedente:
{{ms|font=0.7pc}}Ill.<sup>ma</sup> et unica Signora mia
 
 
Premesso al debito offitio de servitù et fede, la multitudine de gran maestri venuti a V. Ex. per condolersi de lo atroce caso de lo Ill.<sup>mo</sup> consorte vostro me hano retardato che io simile offitio facto non habia, perchè uno gran rumore fa che una pichola voce non si sente: pur a una Dea, come è V. Ex. me ha constrecto dimandarve quello, che per vostra humanità fazendo, beato e felice essere mi parerebe: et questo è che
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V.Ex. se dignasse per salute di me so servitore de mandare questa opera qualle ho composta in laude del Pontefice e quella nelle mane soe farla apresentare, o per via del secretario del Cardinale di Medici, o vero per qualche altra via più expediente a V. Ex.; e tanto più giovarebe quanto che cum più gratificatione et exaltatione de l’opera da persona più honorevole presentata gli fusse, eo maxime che ’l Pontefice è molto inclinato tal opera vedere. Per la qual chosa suplico V.Ex. che si degna de speciali gratia farme questo presente, restandovi obligatissimo e schiavo in perpetuo. Alla bona gratia di la quale del continuo mi aricomando.
 
In Bologna, adì 12 de octobre 1509
 
<p align="right">Servulus<p>
<p align="right">Fr. Benedictus de Castilione Aretino<p>
<p align="right">Studij Bononiensis Regens<ref>Nei Rotuli dello Studio di Bologna del 1509 il rettore dell’Università degli artisti è Heronymus Tigrinus de Bagnacavallo: il Moncetti non figura quell’anno neppure tra gli insegnanti. Jo.Benedictus de Castigliono compare invece, non come rettore, ma come professore di metafisica, nell’anno scolastico 1511-12. Vedi <small>DALLARI</small>, ''Rotuli'', I, 212. Come va dunque che fra Benedetto si qualifica nel 1509 ''Studii Bononiensis Regens''? Il dott. Dallari, a cui ci rivolgemmo siccome a persona specialmente competente in materia, ci suggerì la supposizione che il Moncetti reggesse l’Università degli artisti come sostituto del Rettore, in conformità a quanto prescrivevano gli statuti. Vedi gli ''Statuti delle università e dei collegi dello Studio Bolognese'', pubbl. da {{Ac|Carlo Malagola|C.Malagola}}, Bologna, 1888, p.226; cfr. p.316, n.10.</ref><p>
</div>
 
 
Il segretario del card. Giovanni de’Medici, della cui protezione voleva fra Benedetto avvantaggiarsi per presentare la sua opera a papa Giulio II, era {{Ac|Bernardo Dovizi da Bibbiena}}<ref>L’accorto Bibbiena che s’era stabilito in Roma nel 1505, godeva già allora favore alla corte pontificia. Cfr.<small>BANDINI</small>, ''Il Bibbiena'', Livorno, 1758, pp. 9-10.</ref>. Ma quali nuove speranze si dovette sentir germogliare nel petto il frate ambizioso, allorchè qualche anno dopo il cardinale de’Medici s’ebbe la tiara, e poco appresso il suo fido Bernardo la porpora! Non tardò allora ad acconciar l’opera in modo da poter soddisfare al novello pontefice, e per cattivarsi l’animo del Bibbiena si rivolse di nuovo, con maggiore unzione, alla buona Marchesa di Mantova, che sapeva amatissima dal cardinale di S.Maria in Portico<ref>Sui rapporti tra Isabella ed il Bibbiena ci tratteniamo, dandone molti documenti, nel libro nostro, che è in corso di stampa, intorno a ''{{TestoCitato|Mantova e Urbino}}''.</ref>. Questa lettera del Moncetti vale, a parer nostro, un ritratto:
 
{{ms|font=0.7pc}}Ill.<sup>ma</sup>
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et Hon.<sup>ta</sup> S.<sup>ra</sup> et unica patrona mia,
 
 
Premisso servitutis officio, salutem. Per havere veduto che V.Ex. sempre è stata honoratissimo domicilio di virtuosi et singular presidio a quelli e sempiterno aiutorio di servi suoi, che mai nè intervallo di tempo nè distantia de luogo ha mai sperato quello che inverso el servo fa el padrone eterno e de memoranda fama vestito, pertanto me a dato audacia la florida speranza qual sempre ho auto in V.Ex. de recorrere a quella e humilmente a li suoi piedi suplicare, che vogli per questa volta queste tre gratie concederne. Prima, che se degni questa mia lettera leggere, e un poco più che ’l solito drento da sè con carità riceverla. La seconda che se degni de mandarmi una littera di favore calda a messer Bernardo Cardinale da Bibbiena, che Sua S.<sup>ria</sup> se degni per amor vostro apresentare questa mia opera quale ho fatta in laude del Pontefice: nella quale metto Sua Sanctità ha a recuperare el perduto stato della virtù, e quivi vi metto V. Ex. regina de tal carro, e questo sopra la expositione del Psalmo ''Beati immaculati in via''; tanto che quando pel mezzo de V.S. possesi stare cum Sua S. R.<sup>ma</sup> a me sirebbe precipuo beneficio, da poi che l’atroce fortuna me ha in precipitoso scoglio gittato. Dato che quando lui era in minoribus per amor vostro me habbi fatto sempre bona cera e prestato gran favore; pure adesso tali cappelli in tal modo ombreggiono che tutti i fiori non se cognoscono. La terza si è che ricorro humilmente un’altra volta a piedi di quella,
suplicando se degni di farme tanto di elemosina che io possessi comparare una cavalcatura e ch’io possessi stare un mese in Roma, la qual cosa a me varrebbe più che un pozzo d’oro in questa mia extrema miseria che ho in pegno infino al core. E questo vorrei per fare doi effecti grandi: prima, se io possessi mediante il favori di V.S. da tanta miseria levarmi mostrando qualche virtù che per el mondo con tanto sudore ho acquistato; l’altro si è che io vorria fare stampare questa opera del Psalmista, quale ho composto in laude di V. Ex., de la quale opera ve ne mando al presente per questo mio nepote dieci quinterni, li quali quanto so e posso suplico li vogli far transcorrere. Io ce ho pensato già anni otto e ho cavato di ducento vinti dua expositori el fiore, e questo per fare immortale Sua Excellentia: cosa che mai più fu atentata nella Chiesa di Dio nè exposta. L’opera serà grande doi volte più che non è Virgilio, overo Dante: passarà più di cento e trenta quinterni insieme co la cantica di Salamone, dove introduco V. Ex. triomphare sopra septe carri delle septe arte liberale. La qual opera non vorrei che per povertà così miseramente se perdesse. Dove humilmente suplico a piedi di quella che vogli far conto di recuperare un servo suo che è in miseria caduto; e ogni piccola cosa a me sirà gran.<sup>mo</sup> relevamento, aciò questa opera non vadi male, che quando V. Ex. e col favor suo se possessi commettere che a’Vinetia se stampasse, sarebbe cosa dignissima, e colui che la stampasse aguadagnerebbe assai, perchè me basta l’animo a me solo in termine de doi mesi farne spacciare quattrocento volumi a un ducato l’uno, perchè ogni homo l’adimanda e tuti con sommo desiderio l’aspectano; ma la povertà e miseria mia venire a questo passo nol comporta, maxime per una infermità quale m’ha snervato e le forze e la borscia, e hamme condocto in questa prosuntione de andare per mendicata suffragia a questo e a quello, Sì che V.S. harà compassione
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a me famellico e pensarà, come se dice in comuni proverbio, che la fame caccia el lupo for dal bosco. Ho fatto tutto sia possibile a me per non venire a questi meriti, ma la necessità me ha constrecto, suplicando che me perdoni che mai più tale impaccio son per dargli; e non se maravigli nè del messo nè dove è alogiato, perchè el tutto è andato e va con sommo silentio e taciturnità. Il qual messo a V.Ex. aposta mandato è mio nipote carnale, al quale porrà V. Ex. dargli tanta fede quanto a me medesimo, che tutto sirà ben dato. Quando io potessi ancora pel mezzo vostro ritornare a Mantova, e predicare questa quatragesima lì, io saria per mostrarve cosa che in fra le altre quattro o sei secreti che V. Ex. cognosciarebbe che fra Benedecto vostro gli è stato sempre bon servidore, e altro non penso mai dì e nocte si non de haver commodità di posservi monstrare quella servitù verso V.S. quale quell’animo mio sempre si serva. So che col mio insulso e longo e mal composto scrivere ho le orecchie di quella offeso: che humilmente ne dimando perdono, suplicando de gratia speciale almancho di mandarne una lettera calda di favore al Cardinal Bernardo, come di sopra ho ditto a V. Ex.; a la gratia de la quale de continuo mi raccomando humilmente, ricordando a quella che si andasse a San Jacopo de Galitia non porrebbe più meritare che alquanto aitarme da questa mia extrema miseria per le cause ante decte, e maxime per l’opera a V.Ex. intitulata, li quali quinterni per qualcun di vostri trascorsi e reveduti suplico per el presente messo me remandiate, che del tutto cognoscerò di gratia speciale da V.Ex. a la cui ombra me do, trado atque devoveo.
 
Ex Castilione Aretino, die XI octobris 1513.
 
E. Ex. V.
 
<p align="right">Prope mancipium<p>
<p align="right">Fr. Benedictus de Castilione Aretino<p>
<p align="right">Ordinis Sancti Augustini infelix et inquietus.<p>
 
</div>
 
 
Il Moncetti si trovava allora in patria, angustiato dalla miseria. Non sapremmo immaginare cosa più ghiotta di questa lettera, in cui è difficile il dire se meglio predominino gli istinti dello scroccone o quelli del cerretano. Si notino le lodi che il frate fa dell’opera propria e le promesse rispetto alla sua predicazione futura, che vorrebbe avesse luogo in Mantova. Si noti il gran lavoro di turibolo per cattivarsi vieppiù la Gonzaga, e l’impudente richiesta della cavalcatura. Isabella fece rispondere da Benedetto Capilupo, con garbo, ma non senza freddezza, il 20 ottobre del ’13: "Havemo con lieta fronte et con non mediocre piacere et satisfactione acceptata et lecta tutta la lettera et epistola et parte de l’opera de la R.<sup>da</sup> P.V. et factola legere a qualche valenthuomo, la quale è stata laudata sì come meritano le cose sue ....". Gliela rimandava insieme con una lettera commendatizia pel Bibbiena; ma nulla prometteva riguardo la stampa.
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Quanto al cavallo, si scusava di non poterglielo dare, non avendone disponibili, perchè presto doveva recarsi a Milano. Il mellifluo Moncetti fece insomma, quella volta, mezzo fiasco.
 
Non dovette tardar molto il tempo in cui il Moncetti fu mandato, con un ufficio onorevole, in Francia, ove si trattenne parecchio. Del 1515 infatti è l’opuscolo a sua stampa, che abbiamo esaminato. I documenti mantovani tacciono fino al 1525, nel qual anno troviamo una lettera di fra Benedetto al Marchese Federico, datata da Milano, ove, secondo l’Elsio, era allora il Moncetti segretario ducale. La lettera riguarda gli interessi dell’ordine agostiniano, che lo scrivente cerca di tutelare:
 
{{ms|font=0.7pc}}Ill.<sup>mo</sup> et Ex.<sup>mo</sup> Principe S.<sup>r</sup> et Patron mio unico sempre obs.<sup>mo</sup>,
 
Per lo amore et honore della religione mia, della quale il lacte et il lume ho receputo, son constretto ricorrere alla Ex. V. alla quale supplico per quanta servitù gli porto voglia essere contenta, per la sua innata humanitate, non intromettere la sua auctoritate nè voglia patire lo convento nostro de observantia essere subvertito, il quale li Padri nostri con il favore delle sue orationi et prediche in Bozolo se hanno acquistato; imperochè al presente o per favore de V. Ex. o per quello de altri è andato in ditto Bozolo a predicare un frate de l’ordine carmelitano anchor che lì non habbiano convento, la qual cosa è in gran.<sup>ma</sup> vergogna et danno de essi nostri Padri, li quali per havere già pocho tempo datto principio al loro convento sono molto poveri. Pertanto V. Ex. se dignarà per sua benignità et clementia commettere che gli sia provisto.
 
Non passarano molti giorni che la Ex. V. odderà un gran.<sup>mo</sup> scopio, la qual cosa Dio voglia ch’io menti perchè me dubito de una gran.<sup>ma</sup> ruina in Italia.
 
Et alla bona gratia de V. Ex. ecc.
 
Mediolani XXX sept. 1525.
<p align="right">Servulus<p>
<p align="right">Fr. Jo. Benedictus Moncettus.<p>
</div>
 
 
Degna di speciale osservazione apparirà a tutti la chiusa. Il Moncetti non ha perduto il vezzo di fare delle predizioni; ma questa volta forse con maggior fondamento di quando profetò la peste mantovana, poichè è probabile che intenda alludere alla congiura del Morone, scoperta poco dopo, nell’ottobre del 1525. Ma l’anno successivo i documenti di Mantova ci permettono d’intravvedere una pratica del Moncetti che pone in chiaro sempre più la sua straordinaria ambizione. Per conseguire certe elevate cariche ecclesiastiche, egli voleva sfratarsi, e non avendo mancato di iniziare a quello scopo delle pratiche in Roma, appoggiato dal fido Marchese. Ecco quanto l’ambasciatore Francesco Gonzaga
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partecipava da Roma il 19 aprile 1526 al suo signore: "Circa quanto la mi scrive del desiderio che Ella havaria che il R.<sup>do</sup> Patre Fra Benedetto Moncetto fosse compiaciuto da N.S. di essere fatto prothonotario apostolico<ref>Il protonotariato apostolico era una dignità lucrosa, che nella gerarchia della prelatura consideravasi come la più onorevole dopo quella dei vescovi. Per informazioni particolari in proposito vedasi <small>{{AutoreCitato|Gaetano Moroni|MORONI}}</small>, ''Dizion. di erud. storico-ecclesiastica'', Vol LVI, ''s.v.''</ref> con concessione di potere conseguire anche altre dignità ecclesiastiche fuori de la religione sua, io ne ho parlato con S. B.<sup>ne</sup> con quella efficacia che scio essere mente di V.S. Ill.<sup>ma</sup> et ditoli che per il singular amore che ella porta a esso R.<sup>mo</sup> patre per le buone qualità sue et virtù, ogni grado de honore et dignità che S. B.<sup>ne</sup> se dignarà di conferirli, V. Ex. sarà per reconoscerlo in singular piacere et gratia et havergliene non mediocre obligo. Al che la si deveva anche rendere tanto più facile quanto che p.<sup>ta</sup> V.Ex. attesta de la molta devozione et servitù che esso ha avuto sempre verso S.S.<sup>tà</sup> la faria vedere et quello che se potesse concedere con honore suo lo admetteria voluntieri in specie a conemplatione di V.S. Ill.<sup>ma</sup> et me ha ditto che saria bene che di là si mandasse ditta instructione che contenga il particulare de li modi che esso dessignaria de tenere in la religione, in che habito voria andare et con che auctorità desideraria questa dignitate, acciochè si sappia come governarsi qui circa tal concessione. Però che subito habbia la instructione non mancharò di procurare che se exequisca quanto farà il bisogno. Circa il costo non posso dare particularmente adviso, perchè bisognarà prima vedere prima la continentia di quello che si ricercarà: ma per quanto mi è ditto, passando per penitentiaria come pare sia necessario, sarà per ascendere ad una buona "
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somma de denari". Più esplicito si spiegava Francesco Gonzaga scrivendo in cifra quel giorno stesso una lettera riservatissima al segretario Calandra. "Circa il desiderio che haveria il R.<sup>do</sup> Fr. Benedetto Moncetto, vedereti quello che ne scrivo al S.<sup>r</sup> Ill.<sup>mo</sup>. Io certamente ho fatto l’officio efficacissimamente et tanto più volentieri quanto gli son stato sempre et sono aff.<sup>mo</sup>. Così, havuta la instructione che si ricerca, solicitarò la expeditione con quella più diligentia che mi serà possibile: vero è che il Papa si è scandalizato di questa dimanda et me ha detto che li par strano che un frate che desideri essere in bon predicamento et reputato homo da bene recerchi simil dignità per haver solo questo nome de honore senza altro emolumento, parendoli esser cosa demostrativa de natura ambitiosa. Io gli ho risposto come meglio ho saputo et mi son sforzato de difenderlo quanto ha comportato il mio ingegno. Ne ho parlato anche col Datario, qual più che più si è maravigliato et me ha ditto la dimanda esser poco condecente, parendoli che con questo meggio il frate habbi animo de uscire de la religione, con molte altre parole. Similmente gli ho risposto come meglio ho saputo et l’ho pregato ad voler essere favorevole, al che me ha detto che questa cosa haverà ad passare per la via de S<sup>ti</sup> Quatro<ref>Cardinale dei Quattro Santi coronati era nel 1526 Lorenzo Pucci, che ebbe la porpora nel 1513 insieme col Bibbiena, ed era stato assai addentro nella grazia di Leone X. Cfr. <small>CIACCONIO</small>, ''Vitae pontif. et cardin.'', III, 337; e <small>{{Ac|Ferdinand Gregorovius|GREGOROVIUS}}</small>, ''St. di Roma'', VIII, 219 a 501. Il Pucci era allora probabilmente anche cardinale penitenziere, ed in questa qualità doveva occuparsi della faccenda del Moncetti. Infatti la penitenzieria apostolica si occupava delle suppliche e dei ricorsi di colpevoli o di coloro che volevano essere dispensati da obblighi contratti; mentre la dataria accordava unicamente grazie e benefici. Vedi <small>MORONI</small>, ''Dizion.'' cit., voll. LII e XIX sotto ''Penitenziaria'' e ''Dataria''.</ref>, però lui non se ne impaciarà altramente ma che ben non può laudare la cosa. Ho voluto darve adviso diffusamente de questa cosa, acciò che la sapia lei tutto: non direti se non quello vi piacerà, al S.<sup>r</sup> non ho voluto scrivere così distintamente". Di qui si intende come l’ambizione del nostro Agostiniano gli avesse fatto avanzare tali pretese da produrre in vero scandalo in Roma, ove se ne mostrarono sinistramente colpiti, non solo l’austero e puro Datario {{Ac|Giovanni Matteo Giberti|Giammatteo Giberti}}<ref><small>GREGOROVIUS</small>, VIII, 525; <small>{{Ac|Antonio Virgili|VIRGILI}}</small>, ''{{TestoCitato|Francesco Berni}}'', Firenze, 1881, pp. 95 sgg. L’elenco dei Datari, che pubblica il Moroni nel XIX vol. del ''Dizionario'' è confuso ed inesatto.</ref>, ma lo stesso Clemente VII, che era più largo di manica.
==[[Pagina:Il probabile falsificatore della Quaestio de aqua et terra.djvu/27]]==
 
Conosciamo un’altra lettera del Moncetti, diretta da Ferrara, il 23 novembre 1526, al Marchese di Mantova. Da essa risulta che fra Benedetto erasi recato colà con una commendatizia del Gonzaga, la quale avevagli fruttato non poche carezze da parte del Duca. Non tralsciò per questo il Gonzaga di rinnovare nel dicembre 1526 le insistenze presso la Corte di Roma, onde il Moncetti potesse ottenere il protonotariato; ma le risposte furono evasive coma la prima volta. La questione era complicata dal fatto che il Moncetti essendo un frate "ricco sol di virtù", come si esprimeva il Marchese, avrebbe voluto sottrarsi alle tasse di cancelleria, che erano forti. S’andò per le lunghe, finchè sopravvennero i terribili casi di Roma, che troncarono ogni pratica.
 
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