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:''tuo ANSELMO ROBERTI''
 
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Era stato come un colpo di mazza sulla testa.
 
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- Sì, morire!
 
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Come accade sempre nelle decisioni troppo importanti, che agiscono sull'anima al pari di un abbarbaglio, una pesantezza torbida lo aveva poco dopo prostrato.
 
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- No, bisogna che i bambini si avvezzino.
 
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- Si avvezzeranno pur troppo... Adesso non temono ancora di nulla; ma non bisogna parlarne, tanto non servirebbe loro nemmeno dopo...
 
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Ripartì col treno di mezzogiorno: tre ore dopo Camilla fuggiva col secondo tenore della compagnia, senza lasciare il proprio indirizzo.
 
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Era ancora a tavola, col mento sulla palma della mano e gli occhi nel vuoto.
 
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In tutta la sua vita non gli era ancora capitato di pensare tanto; oramai non ne era più capace, e la mente gli si distraeva in futili particolari, che avrebbero dovuto far stupire lui stesso in tale momento.
 
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- Ah! - fece Caterina con voce sonnacchiosa, girandosi sul fianco verso di lui.
 
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Fece uno sforzo delirante per gridare, ma la melma gli aveva otturato la bocca, e un lombrico vi si moveva pigramente.
 
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Dalla fessura della finestra filtrava un lume più chiaro.
 
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Le campane del Duomo suonavano lietamente nel mattino, la gente passava a frotte per la strada, le voci salivano, mentre il fragore sordo dei carri imprimeva ancora alle case gli stessi scuotimenti che nella notte. Così mezzo assonnato, cogli spaventi di quell'ultimo sogno si vedeva dinanzi la faccia dello strozzino diventato uno di quei grossi ragni, quasi rotondi, dalla pelle zebrata, che tessono la propria rete verticalmente dinanzi alle finestre delle cantine, e vi rimangono immobili nel centro aspettando le mosche. Lo strozzino aveva adesso un ventre enorme, lucido, con una testina nera e due occhietti ardenti, che lo fissavano senza stancarsi.
 
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- Oh! - gridò di soprassalto al fracasso della finestra, che si apriva lasciando il varco ad un vivissimo raggio di sole.
 
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- Anastasia, mi capisci? quella cosa cerca di farla grande. Che siano contenti, che siano contenti!
 
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Era uscito di casa quasi fuggendo, ma appena sulla strada la vivezza della luce lo arrestò.
 
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E l'idea della morte seguitava nel suo spirito come quel letto di fiume invisibile fra i campi.
 
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- Perché, vedi, - gli diceva Caterina sul finire del pranzo, - io sono persuasa che ella ci lascierà tutto. Capisco che non è gran cosa, in ogni modo sarà la dote per Ada, ma bisogna che non seguitiamo a trattarla così. Tu hai sempre detto che la zia Matilde non ti ha amato, e pare anche a me che sia così. Non so, - ella seguitava con quel suo buon senso di donna, nella quale la tranquillità del temperamento favoriva l'equilibrio dello spirito, - se tu abbia ragione sostenendo che ella ti voglia ancora male per un vecchio rancore contro la tua povera mamma, però dovresti mutare contegno verso di lei.
 
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Caterina rimase sorridendo di quella soluzione.
 
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Nel caffè, a quell'ora, la gente era già affollata intorno ai tavolini, che lasciavano appena un varco sotto il loggiato: regnava l'allegria, le voci si alzavano scherzose. Al suo apparire molti lo salutarono, mentre altri si ritraevano per fargli posto nel solito crocchio; egli invece si sentiva freddo di dentro. Quel nuovo aspetto di festa nel pomeriggio lo turbava. Per un momento aveva pensato di andare nell'altro grande caffè aperto all'angolo del palazzo Rondinini, frequentato dai più grossi signori, quasi tutti naturalmente di parte moderata, per incontrarvi il Bonoli e lo strozzino, che di rado vi mancavano. Poi una paura irragionevole, che tutti a quell'ora sapessero già della sua cambiale falsa mandata in pretura, lo aveva sorpreso.
 
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Ma la conversazione deviò ancora.
 
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Mentre il passeggio della gente cresceva pel largo del Duomo e sotto i portici, gli avventori del caffè si diradavano. Le donne sfilavano vestite a colori vivaci, in ritardo dalla moda e non pertanto esagerandola con una volgarità di tagli e d'intenzioni, alle quali la goffaggine del portamento finiva col dare un non so che di maschile. Egli, divenuto più perspicace, interrogava curiosamente ogni fisonomia per indovinare sotto la sua maschera della domenica il segreto di tutti i giorni. Quindi si accorse che in quella bruttezza di quasi tutte le donne mancava appunto ciò che avrebbe potuto riscattarla, l'incantevole e delicata debolezza del sesso. Fu come una rivelazione per lui. Invece colei, che lo aveva perduto, era donna nel più profondo significato della parola. La paragonò mentalmente per cinque minuti a quante passavano, senza arrivare alla spiegazione della sua superiorità: in che cosa consisteva? Dove era adesso? S'immaginava nemmeno che egli potesse trovarsi così?
 
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- A che cosa serve il pensarci?
 
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Non c'era altra filosofia nella vita: sciaguratamente non bastava, perché giungeva il momento di dover pensare per forza. Finirebbe così anche colui? Istintivamente rispose di no, conoscendolo troppo bene per supporlo capace di un simile sforzo. Tuttavia in quel momento, per una specie di giustizia che si sentiva dentro, avrebbe avuto bisogno di credere che per lui pure sarebbe venuta quell'ora insopportabile di espiazione.
 
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- In ultimo, vi è sempre qualcuno che vi spinge.
 
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Poiché avevano mutato luogo alla stazione ferroviaria, costruendone poco lontano un'altra più ricca e più goffa, la strada fuori di Porta Vecchia a quell'ora non era più frequentata come in altri tempi. Egli dopo aver errato per molte vie della città, aveva finito per infilare quella; il sole si piegava al tramonto, dalla campagna veniva una frescura di verde umido e di piante in fiore.
 
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Romani era diventato pallido come un cencio; nei suoi occhi sbarrati vi era la fissità dell'agonia, che non vede più o vede già troppo lontano.
 
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Non aveva potuto parlarne nemmeno col prete.
 
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Un minuto dopo la morte, questa domanda sarebbe ancora possibile?
 
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Egli soccombeva all'umiltà di un annichilimento finale. La sua volontà si era disciolta al pari di ogni altra cosa nell'ombra, come in un ritorno alla primordiale indeterminatezza dell'essere; non soffriva più. Persino quest'ultimo dubbio, balenatogli più in alto, oltre lo splendore delle stelle, si era spento con tutto quanto moriva intorno a lui, nella dissoluzione della notte. Che importava il motivo della morte, quando bisognava morire?
 
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Una carrozza, che gli passò accanto fragorosamente, coi fanali accesi, gli ridiede la visione del treno sbuffante, fumante, coi grandi occhi sbarrati nella notte, come se venisse contro di lui, e tutta la terra intorno tremasse sotto la violenza del suo impeto.
 
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- Vieni con me dalla Marietta: è arrivata una ragazza d'Imola.
 
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- La carità? - pensava. - Ma, se ci scacciamo l'un l'altro da tutti i posti, se dovendo tutti morire, la morte degli altri non ci tocca nemmeno... Dov'è la carità? Anch'essa è un lusso di certi istanti: si dà qualche cosa, perché la momentanea gioia di chi riceve aumenta la nostra giocondità. È come nei pranzi: ci vogliono degli invitati; ma si amano forse i proprii invitati? Bisogna essere in molti ad una festa di ballo; ma la soddisfazione di ognuno è appunto nel primeggiare sugli altri, vedendoli così segretamente iracondi del piacere loro tolto.
 
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Sapeva che non vi sarebbe entrato, ma da venti minuti passeggiava sull'altro marciapiede, dinanzi alla porta della propria casa.
 
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- Io non ho potuto cenare a casa mia: un'altra scena con quella linguaccia di mia moglie! Vado al Falcone, accompagnami.
 
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Aveva già bevuto due ponci, seduto all'ultimo tavolino di sinistra nella prima sala, col gomito appoggiato sulla cassa di vetro, nella quale si conservavano le paste.
 
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- Questo voglio offrirlo io, - disse il padrone alzandosi: - mi sei piaciuto nella risposta.
 
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Guardava il grande orologio nero fra le due scansie gialle, al disopra della porta.
 
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- Con questa, no.
 
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Il medesimo gruppo, dal quale Matteo si era voltato per dare anch'egli la propria soluzione al problema proposto da Montalti, rientrò vociando nel caffè; erano stati a bere nella liquoreria sotto il campanile della piazza, e ritornavano per bere.
 
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Il padrone, invece, gli teneva dietro con occhio pensoso, avendo sentito la sua mano tutta bagnata di un sudore diaccio.
 
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Romani traversò il portico con passo tentennante, e si fermò nel largo, davanti alla fontana. La notte era sempre bruna, ma piena di stelle, i fanali avevano un chiarore pallido, velato, come il murmure della fontana chiusa entro quella funerea cancellata a palle di ottone.
 
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E allora gli parve, stando fermo, che la città si allontanasse, oscillando lentamente dinanzi a lui.
 
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La notte era bruna.
 
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Dal ruscello, che per una larga chiavica passando sotto l'argine sboccava nel fiume, la nota tremula di un rospo s'interruppe timidamente; gruppi lontani di ranocchi gracidavano con violenza, coprendo un vocìo sottile di grilli, che si confondeva d'intorno. Dopo aver guardato da ogni canto si voltò ancora verso la città; dietro la sua lunga massa, bruna come una scogliera di notte, pallidi chiarori sembravano uscire da invisibili cavità; ma non pensò più che egli era vissuto là dentro per trentasei anni. Solamente guardava.
 
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Sul ponte della ferrovia il casello del guardiano era illuminato; egli strisciò guardingamente lungo il parapetto pel sentiero lasciato dall'alta ghiaia, sulla quale poggiavano le rotaie, affrettando il passo per non lasciarsi sorprendere, giacché si ricordava come fosse severamente proibito di transitare per le linee della ferrovia. Non sapeva se il guardiano avrebbe fatto la ronda d'ispezione prima dell'arrivo del treno, ma quel divieto bastava in tale momento a fargli paura. La strada ferrata si allungava dinanzi a lui dritta, piana, nera, con quei due regoli sottili, in una uniformità e in un silenzio inesprimibile: nessuna traccia, nessun suono, nessun segno. Aveva voltato la schiena al disco, e scorgeva dinanzi a sé per cento metri un filo luminoso sulla costola interna delle rotaie; null'altro. Quel piano troppo stretto gli limitava la vista, mentre una impressione gelida gli veniva da quelle due rotaie inamovibili, che non si sarebbero toccate mai.
 
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- Due quarti dopo mezzanotte, - esclamò voltandosi istintivamente verso Forlì, donde doveva giungere il treno.
 
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Dall'altro lato della strada un'ombra passò con una lanterna nella mano; istintivamente egli girò dietro il palo del telegrafo, abbracciandovisi per non scivolare dall'alta ripa, e tenne il fiato. La lanterna nell'allontanarsi lentamente allungava un riverbero oscillante sulla vicina rotaia, si udiva la ghiaia stridere sotto un passo pesante.
 
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Voltandosi, laggiù, vide una luce.
 
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Era il treno, ma non era ancora che una fiammella misteriosa nella notte.
 
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Quest'ultima sensazione gli durò, quando il treno col proprio vento non lo scuoteva più così abbracciato al palo; e i vagoni neri s'inseguivano quasi contigui nell'ombra, e dai finestrini si travedevano dentro gabinetti illuminati, rossi, scuri, in una nudità di legno, o non si vedeva nulla, mentre i vagoni fuggivano chiusi sino alla cima, oscuri e sinistri come catafalchi.
 
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La notte non mutava.
 
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Non seppe rispondere.
 
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Ma voleva farlo.
 
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Solamente la sua volontà vegliava ancora nell'attesa dell'ultimo momento.
 
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Per quella necessità di far pure qualche cosa finché si è vivi, macchinalmente si cercò nelle tasche un sigaro per fumare, ma non ne aveva: poi si sdraiò lungo il sentiero, sul margine della ripa, perché quella posizione, così seduto, gli aveva indolenzito la schiena. La terra gli diede sotto la nuca una impressione di frescura.
 
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Tale ultimo stadio gli dava appunto quella calma, che appare sempre così inesplicabile nei condannati a morte.
 
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In quella torpidezza così simile al sonno, che teneva la campagna, il suo corpo si riposava dalla stanchezza della lunga giornata. La frescura era blanda, l'aria tranquilla. Sdraiato lungo il sentiero, colla testa in alto, non vedeva più nella strada ferrata né il disco, né il palo del telegrafo: solo i fili neri di questo, tesi sopra il suo capo, formavano come una scalea di un significato misterioso, mentre gli steli alti del fieno si ripiegavano sul margine della ripa a toccargli le vesti, o cedevano sotto la sua mano distratta, inumidendogliela.
 
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Era per lui come un benessere di albero sbattuto dal vento, arso dal sole nel giorno, e che di notte ridiventa fresco, e dalle foglie ristorate manda un murmure indistinto. Qualche stella sembrava tremolare nel sorriso della propria luce, altre si stringevano a gruppi entro un albore diafano, e altre più remote scintillavano tratto tratto, quasi barattando segnali di scolte. Ma tutto era pace anche lassù: una dolcezza di riposo si spandeva su tutte le cose; perfino il fiume aveva cessato di muoversi, e i ranocchi adunati nelle pozzanghere dei campi non gracidavano più.
 
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Un lungo brivido gli discese dal pensiero giù per le reni, mentre un fischio stridente, quasi di un proiettile, gli passava sulla testa.
 
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Quando si rialzò non vide più il treno.
 
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Egli se ne andava lungo il sentiero, a testa bassa.
 
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Ma uno spavento lo aveva avviluppato, e lo cacciava nuovamente per quel sentiero nella notte tranquilla. Dove andare? Sentiva di avere ancora paura della morte, che gli era quasi passata addosso con quel treno oscuro e fiammeggiante, nell'impeto procelloso di una vittoria: ne aveva rimasto l'abbarbaglio negli occhi e il vento nei capelli. La sua faccia non gli sarebbe parsa più la medesima, se avesse potuto vederla; era di un pallore lapideo, cogli occhi vitrei e una specie di smorfia immobile sulla bocca. Come tutti i toccati dalla morte, aveva mutato. Nel suo stesso terrore gli rimaneva qualche cosa di estraneo alla vita, un senso di profondità interminabili, un freddo di caduta per una ruina di abissi. Infatti quel treno non gli era parso che si allontanasse per la strada ferrata, ma era dileguato per lo spazio, come il tuono, in uno di quei rapimenti che accendono a razzi le stelle.
 
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Si arrestò.
 
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Sarebbe stata la sua rivincita dopo morte, perché anche il suicidio ha bisogno di averne una.
 
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Seduto accanto al palo, coi gomiti sulle ginocchia e la fronte fra le palme, piangeva.
 
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Qualche lagrima calda gli scivolava fra le mani e le guance, sciogliendosi con un sottile bruciore di sale. Era l'ultimo pianto, quello che non si sente più, perché tutto è già morto di dentro: i suoi occhi piangevano, come talvolta le ferite lasciano uscire goccia a goccia il sangue, mentre il moribondo sente ancora che col sangue se ne va la vita. La natura stessa esprime talvolta un simile pianto in certi squallori di paesaggi autunnali su praterie opache, sotto un cielo grigio, senza un vivente che le attraversi e senza case; o fra roccie appannate e riarse, in una nudità di cadavere. E vi è un dolore sotto le pietre, e pare un pianto l'umidità che l'aria del crepuscolo vi lascia.
 
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Un gallo cantò.