Pagina:Delle cinque piaghe della Santa Chiesa (Rosmini).djvu/73: differenze tra le versioni

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Talora si diede la forma stessa di feudi ai beni ecclesiastici liberi. Così furono infeudate le decime<ref>Che le decime sieno state usurpate dai laici, e tenute in feudo e sieno state concesse in feudo dai principi, come pure da Vescovi rettori di Chiese, è cosa nota, ed apparisce dal corpo del jus canonico. Vedi l’Estravagante ''de Decim. cap.'' 26, e l’Estravagante ''de iis quae fiunt a Praetat. sine consensu capit.'' 17.</ref>; e facendosi de’ passi sempre più innanzi, per questa via si attribuirono queste decime o altri beni liberi infeudati in beneficio ai laici, come si faceva talora dei veri feudi alla morte de’ Vescovi o degli Abati<ref>Chi vuol vedere degli esempi di ciò che dico consulti la storia di {{W|Noël Alexandre|Nat. Alessandro}}, sec. {{Sc|xiii}} e {{Sc|xiv}}, Dissert. {{Sc|viii}}. art. {{Sc|iii}}.</ref>; e perchè si considerava indivisa la dignità spirituale col beneficio temporale, toccava a vedersi de’ laici, e per lo più de’ soldati, comandare nelle Abbazie in mezzo a monaci come abati, e negli episcopi in mezzo a chierici come Vescovi<ref>Il Concilio di Meaux dell’anno 845, non mancò di parlare con apostolica libertà al re {{W|Carlo il Calvo|Carlo il Calvo}} che esercitava nella Chiesa un simigliante dispotismo accordando i beni della Chiesa ai laici, «di che avveniva che contro ogni autorità, contro i decreti dei Padri, e la consuetudine di tutta la cristiana religione, i laici risiedessero come padroni e maestri nei monasteri regolari in mezzo dei Sacerdoti e dei Leviti e d’altri religiosi, e che come fossero Abati decidessero della loro vita e conversazione, e li giudicassero: e che dispensassero loro e commettessero secondo la regola, le cure delle anime e i divini tabernacoli non solo senza la presenza, ma ben anco senza la consapevolezza del Vescovo.» Ved. i can. 10 e 42 del citato Concilio. E perciò quei Padri decretano ''ut praecepto illicita jure beneficiario de rebus ecclesiasticis facta a Vobis'' (parlano al re Carlo {{Pt|di|il}} Calvo) ''sine dilatione rescindantur, et ut de coetero ne fiant, a dignitate Vestri nominis regii caveatur'' (can. 8); e gli mettono sott’occhio con forza l’indegnità dello straziare la vesta di Cristo, ciò che non hanno fatto nè pure i soldati che l’hanno crocifisso: ''Ante oculos reducentes tunicam Christi, qui vos elegit et exaltavit, quam nec milites ausi fuerunt scindere, tempore vestro quantocitius reconsuite et resarcite: et nec violenta ablatione, nec illicitorum praeceptorum confirmatione res ab Ecclesiis vobis ad tuendum et defensandum ac propagandum commissis auferre tentate; sed ut sanctae memoriae avus et pater vester eas gubernandas vobis, fautore Deo dimiserunt redintegrate, praecepta regalia earumdem Ecclesiarum conservate et confirmate''. Can. 2.
Talora si diede la forma stessa di feudi ai beni ecclesiastici liberi. Così furono infeudate le decime<ref>Che le decime sieno state usurpate dai laici, e tenute in feudo e sieno state concesse in feudo dai principi, come pure da Vescovi rettori di Chiese, è cosa nota, ed apparisce dal corpo del jus canonico. Vedi l’Estravagante ''de Decim. cap.'' 26, e l’Estravagante ''de iis quae fiunt a Praetat. sine consensu capit.'' 17.</ref>; e facendosi de’ passi sempre più innanzi, per questa via si attribuirono queste decime o altri beni liberi infeudati in beneficio ai laici, come si faceva talora dei veri feudi alla morte de’ Vescovi o degli Abati<ref>Chi vuol vedere degli esempi di ciò che dico consulti la storia di {{AutoreCitato|Noël Alexandre|Nat. Alessandro}}, sec. {{Sc|xiii}} e {{Sc|xiv}}, Dissert. {{Sc|viii}}. art. {{Sc|iii}}.</ref>; e perchè si considerava indivisa la dignità spirituale col beneficio temporale, toccava a vedersi de’ laici, e per lo più de’ soldati, comandare nelle Abbazie in mezzo a monaci come abati, e negli episcopi in mezzo a chierici come Vescovi<ref>Il Concilio di Meaux dell’anno 845, non mancò di parlare con apostolica libertà al re {{W|Carlo il Calvo|Carlo il Calvo}} che esercitava nella Chiesa un simigliante dispotismo accordando i beni della Chiesa ai laici, «di che avveniva che contro ogni autorità, contro i decreti dei Padri, e la consuetudine di tutta la cristiana religione, i laici risiedessero come padroni e maestri nei monasteri regolari in mezzo dei Sacerdoti e dei Leviti e d’altri religiosi, e che come fossero Abati decidessero della loro vita e conversazione, e li giudicassero: e che dispensassero loro e commettessero secondo la regola, le cure delle anime e i divini tabernacoli non solo senza la presenza, ma ben anco senza la consapevolezza del Vescovo.» Ved. i can. 10 e 42 del citato Concilio. E perciò quei Padri decretano ''ut praecepto illicita jure beneficiario de rebus ecclesiasticis facta a Vobis'' (parlano al re Carlo {{Pt|di|il}} Calvo) ''sine dilatione rescindantur, et ut de coetero ne fiant, a dignitate Vestri nominis regii caveatur'' (can. 8); e gli mettono sott’occhio con forza l’indegnità dello straziare la vesta di Cristo, ciò che non hanno fatto nè pure i soldati che l’hanno crocifisso: ''Ante oculos reducentes tunicam Christi, qui vos elegit et exaltavit, quam nec milites ausi fuerunt scindere, tempore vestro quantocitius reconsuite et resarcite: et nec violenta ablatione, nec illicitorum praeceptorum confirmatione res ab Ecclesiis vobis ad tuendum et defensandum ac propagandum commissis auferre tentate; sed ut sanctae memoriae avus et pater vester eas gubernandas vobis, fautore Deo dimiserunt redintegrate, praecepta regalia earumdem Ecclesiarum conservate et confirmate''. Can. 2.


<p>È osservabile in questo Concilio, che si distinguono i beni dati alla Chiesa come ''Allodj'' e liberi, da quelli dati in ''Feudi''; e si riprende il re principalmente per la dispensazione ai laici dei primi.</p></ref>.{{Pt||</p>}}
<p>È osservabile in questo Concilio, che si distinguono i beni dati alla Chiesa come ''Allodj'' e liberi, da quelli dati in ''Feudi''; e si riprende il re principalmente per la dispensazione ai laici dei primi.</p></ref>.{{Pt||</p>}}