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Versione delle 10:42, 15 lug 2020

198 sermone ventesimoquarto.

     Il bianco collo di canoro cigno,
     L’ardito fianco o il portentoso guizzo
     165Di silfide danzante. Al rovinío,
     Che allora scoppia, si confonde e mesce
     Del basso mondo e dell’elette sfere
     L’arcana un tempo e tacita armonia,
     Che i timpani spezzare or ne minaccia.
     170Anzi, o c’illude l’apparenza strana,
     Il signorino, che la man s’inguanta
     Di più morbide pelli e più gentili,
     Par che del trivio le selvagge usanze
     Nobilitare o vincere presuma;
     175Onde i modi che furono plebei
     Di signorili omai prendono il nome.
Il nuovo Sol ne’ fòri e nelle piazze
     Forse ci attende; ma la tua vaghezza
     Non ti seduca a figurar l’immago
     180De’ nuovi Scribi e nuovi Farisei;
     Inutile fatica, e di fastidio
     A un tempo piena. A più felice impresa
     L’intento volgi. La volubil moda
     Sai che tiranna ad una norma adegua
     185Unica e sola le discordi cose,
     E gli uomini diversi. Ancor si piace
     (he degli alunni suoi la miglior parte
     Sulla schiera volgar tanto si levi,
     Che in non creduto error tragga le menti.
     190Ora d’un velo candido e pudico
     A femmina procace il guardo adombra;
     Ed ora ad atti di viril baldanza
     La sconsigliata verginella educa.
     Un ignoto garzone, o noto forse,
     195Innanzi move a concitato passo,
     Con penzolante braccio, e col cappello