Fu il fuoco o l'acqua che sotterrò Pompei ed Ercolano?/Lettera seconda: differenze tra le versioni

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{{Indent|0|mi contento d'indicare qui le pagine dalle quali risulta, secondo lui, la distruzione delle due città per opera del fuoco, ossia del Vesuvio. Queste pagine sono la 6. 10. 12. 22. 24. 25. 26. 25. 26. 26. 28. 29. 29. 39. 40. 65. 103. 120. 167. 188. 189. <!--l'elencazione doppia di alcune pagine appartiene già all'originale-->}}
 
[[:w:Giovanbattista Gagliardo|Giovanbattista Gagliardo]] (''Atti del [[:w:Reale Istituto d'Incoraggiamento di Napoli|Real Istituto d'incoraggiamento alle scienze naturali]] di [[:w:Napoli|Napoli]] Tom. 1. fol. pag. 301.'') socio ordinario dell'Istituto, nella sua memoria ''sull'agricoltura Ercolanese'', letta nell'adunanza de' 12 Aprile 1810, parla così «Il Vesuvio colla terribile eruzione del 79, che come ognuno sà<!--accentato nell'originale-->, costò la vita a {{AutoreCitato|PlinioGaio ilPlinio VecchioSecondo|Plinio}}, seppellì di terra volcanica, detta pozzolana bianca la città d'Ercolano, e copri di altra terra volcanica, detta lapillo, le città di Pompei e [[:w:Stabiae|Stabia]].»
 
Ecco dunque che gli autori, nostri contemporanei, ed i dotti Accademici, i quali hanno approvata e pubblicata la memoria del [[:w:Giovanbattista Gagliardo|Sig. Gagliardo]], sono tutti nell'istesso errore, siccome erroneamente pensano ancora tutti gli altri letterati viventi di questa capitale, i quali nel sentire la mia opinione sì sono rivoltati contro di me.
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{{Indent|0|e la morte del {{AutoreCitato|Gaio Plinio il VecchioSecondo|zio}}, non dica una parola sola dell'eccidio delle due città. Come va questo, se Plinio era contemporaneo? Se egli era letterato e scrittore? Se parla della pioggia delle ceneri? lo per me non posso attribuire il silenzio di Plinio, che ''o ad una. somma indolenza, o al non evento del fatto''. Mi attengo a quest'ultima [[:w:opinione|opinione]], non potendo supporre in Plinio un'indolenza così grande; tanto, cioè, per l'importanza somma della cosa, quanto per l'esagerazione, ch'era in voga in quei tempi presso gli scrittori, i quali scriveano delle visioni per fatti, conforme abbiam veduto aver fatto [[:w:Cassio Dione Cocceiano|Dione Cassio]], descrivendo i giganti ed il suono delle trombe della stessa eruzione del 79. Io quindi amo meglio giustificare il nipote dell'eloquente istorico, ''negando il fatto'', che ammettere la distruzione delle due città all'epoca del 79; soprattutto perché vien attribuita ad una pioggia di ceneri, lanciate per aria dal Vesuvio, ''ciò ch'è in contraddizione colla geologia de' due luoghi'', ed ammettendo anche una tal pioggia eccessivamente abbondante, si concepisce difficilmente il sotterramento suddetto. Come {{AutoreCitato|Plinio il giovane|Plinio}} ci parla tanto prolissamente della morte del {{AutoreCitato|Gaio Plinio il VecchioSecondo|zio}}, ossia d'un sol uomo, accaduta nell'eruzione del 79, e non ci dice una parola sola della distruzione intera, di due così celebri città! Nò<!--accentato nell'originale--> il fatto è supposto, e niente probabile, ciò che vien, anzi, provato dal seguente passo della seconda lettera a {{AutoreCitato|Publio Cornelio Tacito|Tacito}}, nella quale parlando Plinio di quella eruzione dice così<ref>''Non defuerunt qui fictis, mentitisque terroribus vera pericula augerent''.</ref>: ''Non è mancato chi con terrori mentiti,''}}
 
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