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tere da tutti la medesima cosa. Tanta era poi la uniformità dei discorsi, che finivano per trascinare ancor te e farti partecipare in certo modo alle altrui aberrazioni.

In allora si sentiron le prime grida contro l’altiero diplomatico gallonato, contro l’ammiratore pedissequo delle guisottiane mistificazioni. Si gridò contro il cittadino cosmopolitico, contro il liberale rinnegato, contro l’italiano fedifrago, e più fortemente gridavasi contro l’ambizioso di potere per cupidigia di oro e di grandezze; e con ciò volevasi accennare al concentramento sul suo capo stesso di due portafogli ad un tempo. Non andava al certo esente da difetti il Rossi, ma le accuse che a suo carico lanciavansi, quantunque non ingiuste del tutto, eran pel solo fine che temendo i talenti e l’astuzia di lui, volevasi screditarlo e perderlo.

E così mentre nelle aule dorate dei grandi, nei pacifici recessi dei claustrali, nelle pareti domestiche dei tranquilli cittadini sospiravasi pel ritorno dell’ordine manomesso e confìdavasi nell’uomo di mente e di polso qual era il Rossi, tu sentivi gridare al lupo nei ritrovi politici, nei caffè, nei circoli, nei quartieri civici e negli uffici dei giornalisti. Per senno più potenti i primi: per mezzi di diffusione e di unione, e per energia di azione infinitamente più forti i secondi. I primi erano elementi sparsi per tutta la città senza connessione fra loro: i secondi un corpo a forma di rete, dilatato, elastico e collegato siffattamente, che al moto di una estremità rispondeva il consenso dell’altra.

Ma se il governo della piazza venne insediato in Roma fin dai primordi del movimento romano, e venne gradatamente dilatandosi, converrà ognuno che quando il Rossi assunse il potere era già fatto gigante.

E questo ingigantimento trovava un appoggio nei fatti di Livorno, ove il popolo, discacciate le autorità, reggeva a suo nome la cosa pubblica. Ed affinchè le nostre parole non vengan tacciate come iperboliche, riporteremo in Som-