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— Tant’è — tornava a dire il prelato.
— Se Alessandro re de’macedoni — soggiuns’io— potesse trasferir monsignore a miglior vescovado, sono sicuro che monsignore non direbbe cosi. —
Il povero conte de B*** non cadde se non nel medesimo errore.
— Et monsieur est-if Yorickf — gridò il conte.
— Je le suis.
— Vousf
— Moi, moi qui ai l’honneur de vous parler, monsieur le com/e.
— Moti Dieu! — diss’egli abbracciandomi: — vous éles Yorick! —
E si calcò frettoloso in saccoccia quel volume di Shakespeare, e mi lasciò solo nelle sue stanze.
XLVIII
IL PASSAPORTO
VERSAILLES
Perché mai se n’andasse cosi a precipizio, e perché Shakespeare entrasse nella tasca del conte, erano nodi ch’io non poteva mai sciogliere. Le congetture ed il tempo sono spesi assai male quando i misteri si riveleranno da sé; e tornava meglio a leggere Shakespeare. Mi pigliai la commedia che ha il titolo Gran trambusto per nulla ; e mi sono dalla mia seggiola trovato in un batter d’occhio in Sicilia, e in tante faccende con don Pedro, Benedetto e Beatrice, che Versailles, il conte ed il passaporto non erano piú cose mie.
Soave arrendevolezza dello spirito umano, che può in un attimo secondar le illusioni le quali furano i piú affannosi momenti alla tristezza ed all’ansietá! Ornai, ornai da gran tempo gli anni miei non si numererebbero piú, s’io non n’avessi trascorsa una