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424 nota

giorno romano dopo il ’21, a favore del quale milita anche, molto ipoteticamente, il fatto che a Roma poi si stamparono i Dialoghi per la prima volta1 e la fama di Leone vi durava ancora sotto Giulio III (1550-’55); ma non si può dire niente di piú. Una sola cosa si è detta, ma cade nel vuoto: ed è che Leone Ebreo si facesse cristiano. Una sola edizione, l’aldina del 1545 reca invero sul frontispizio la formula «Maestro Leone di natione hebreo et di poi fatto cristiano»: ma né l’edizione principe romana del ’35, né la prima aldina del 1541, né alcuna delle altre, e aldine e d’altri tipi, posteriori a quella del ’45 indicano questo particolare che pur sarebbe stato sempre importantissimo. Si tratta invece, evidentemente, di un ripiego usato per ottenere la licenza di stampa in un momento di eccessiva severitá della censura, o di incertezza sulla fortuna del libro. Né ad altra conclusione si può giungere, quando si rifletta alla ferma fede che aveva ispirato Leone nel rifiuto opposto al re Cattolico, alle esplicite e frequenti dichiarazioni giudaistiche dei Dialoghi e delle poesie (l’ultima delle quali è del 1520), alle vicende della vita di Leone in Italia, alla stessa freddezza con cui sembra aver fatto il sordo alle lusinghe dei pontefici. Certamente egli restò «de li fideli», cioè israelita osservante, fino alla morte: nessuna delle testimonianze cinquecentesche, tanto di scrittori ebrei che di cristiani, sulla sua vita e la sua opera, mostra di dubitarne2. E non ne dubitiamo neppur noi.


II


L’opera filosofica e letteraria di Leone si limita, per quanto ci è noto, a questi tre capi: 1) i Dialoghi d’Amore 2) un trattato De coeli harmonia, perduto; 3) le poesie ebraiche.

Quanto ai Dialoghi d’Amore, un dato fondamentale per fissare il tempo della loro composizione è offerto dal testo stesso, dove

    merced porque residiese en Roma y pudiesen gozar de su buena doctrina y dulce couversacion». Cfr. Pflaum, op. cit., pp. 84-85. Ma che questo dato si possa riferire meglio a prima che a dopo il 1520-’21 mi pare si possa inferire dal fatto che piuttosto Giulio II e Leone X che Adriano VI e Clemente VII furono capaci di tali libertá. In ogni modo il Montesa dice «i papi», in maniera ben indeterminata.

  1. Montesa, l. c.; «Porque fué en el tiempo que salió á luz de manos del autor la materia mas celebrada que en aquellos tiempos en Roma se vió ni oyó, por el buen crédito que el autor tenia».
  2. Sono da vedere tutte le testimonianze citate nel § seguente. Per la storia della questione Solmi, op. cit., pp. 27-28 tt.; Gentile, Studi sul Rinasc., cit., pp. 98-100; Saitta, op. cit., pp. 90-91.