Vita di Dante/Libro I/Capitolo V: differenze tra le versioni

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cioè persuaditene della morte del Buondelmonte ed origine in Firenze delle parti Guelfa e Ghibellina; e quel Farinata degli Uberti, che vedemmo, nuovo Camillo, impedire la distruzione della patria. Fu eloquente senza dubbio quel Fra Giovanni da Vicenza, che nel 1233, in riva all'Adige presso a Verona, raunò, dicesi, quattrocento mila persone di parecchie città ali' intorno a far pace, e signoreggiò Vicenza e Verona; benché tali paci e signorie non durassero quasi più che il suono dileguato della sua voce. L'eloquenza politica in lingua popolare nacque e fiorì certamente in questi secoli; i quali, dicansi di libertà o licenza, furono ad ogni modo quelli delle passioni, de' movimenti e delle deliberazioni popolari. Né è da dubitare, che molti de' discorsi tramandatici dai cronacisti fossero veramente pronunciati ed uditi; ma la rettorica degli storici che seguirono, ora alterando i discorsi veri, ora inventandone ad imitazione antica, gli screditò a segno di farli poi tenere tutti per finti. Ad ogni modo, nel tempo di che parliamo, sono da distinguere bene rettorica ed eloquenza; e Dante famoso allora in ambe, fu mediocrissimo nella prima studiata, ottimo ed efficace nella seconda senza studio usata.<br>
Finalmente, quanto alla dialettica, ultima delle tre arti minori, è da ricordare, che seguivasi allora quella di {{AutoreCitato|Aristotele|Aristotile}}; benché non la vera e moderata di lui, il quale non s'avanzò oltre alle prime divisioni del ragionamento; ma quella che venne da lui per gl'intermediarii di Porfirio e {{AutoreCitato|Boezio}}, e per le traduzioni e ritraduzioni dal greco in arabo, e dall'arabo in latino barbaro; e che fu quindi commentata, esagerata ed applicata ad ogni cosa, duranti sette secoli, da quei filosofi e teologi che si comprendono più o meno sotto il nome di scolastici. Tuttavia, qualche miglioramento della dialettica aristotelica-scolastica si può scorgere all'età dei maestri di Dante, che fu quella di {{AutoreCitato|Tommaso d'Aquino|San Tommaso}}. II quale non solo negli ultimi anni di sua vita fece tradurre, secondo pare, dal greco, e commentò parecchie opere di Aristotile; ma, quel che è più, abbandonò le dispute dei realisti e nominalisti, e degli altri vanissimi metafisici di quelle età, e semplificò cosi il ragionamento nelle applicazioni alla teologia.1 Ma le dispute ricominciarono dopo lui, prò e contro lui, quasi allo stesso modo; e continuarono gli abusi della dialettica, secondo si suoi dire, fino al secolo XVI, o XVII. Benché forse ei non sono cessati del tutto; e non dubbie tracce ne rimangono e in certe logiche le quali insegnerebbono a sragionare, se non si dimenticassero appena imparate; e principalmente in certe forme di solenni argomentazioni, le quali usate per esami, in quasi tutta Europa, non provano nell' esaminato se non una inutile e forse infelice arguzia e prontezza. Ad ogni modo, della dialettica del medio evo ninno certo giudicò meglio che Corrado III imperadore; il quale, irretito da uno di que' maestri di logica in una di quelle arguzie, molto bene se ne disimpacciò esclamando: ''Che gran buon tempo hanno pure i letterati!''. Né si astenne Dante da tali esercitazioni; che addestratovi in gioventù, vedremo a luogo suo come vi si dilettasse, in Napoli forse e in Verona, certo poi alla famosa università di Parigi. Anche i grandi uomini forza è che servano talvolta al loro tempo: ma questa differenza v'è tra i grandi e i piccoli, che costoro servon sempre e restan gregge, dove i grandi sanno trovare qualche lor giorno di libertà, e fanno opere allora discernibili di mezzo alle servili, proprie o d'altrui. Me erano migliori gli studi compresi nelle quattro arti del quadrivio. Delle due prime, l'aritmetica e la geometria, meno appartenenti agli studi di Dante, ma in che pure ei si mostra pratico di quanto sapevasi allora, basti il dire: che dei primi anni di questo secolo è quel {{AutoreCitato|Leonardo Fibonacci}} cancelliere della Dogana dei Pisani in Bugia di Barberia, dal cui [[la:Liber abaci|libro dell'Abbaco]] credesi o introdotto o divulgato l'uso dei numeri indici o arabici<ref>{{AutoreCitato|Girolamo Tiraboschi|Tirab}}., IV, p. 178.</ref>. Così queste scienze sorte già, dicesi, in Egitto ad uso dell'agricoltura, risorgevano ora in Italia ad uso del commercio. Ma a tal progresso è da contrapporre la solita ombra di un'ignoranza pur durante; quella di un Campano da Novara, commentator d'{{AutoreCitato|Euclide}}, ed uno de' primi matematici dell'età, il quale attendeva alla quadratura del circolo<ref>Sullo stato di tutte queste scienze durante il secolo XIII, vedi ''Historie des sciences mathématiques en Italie, par Guillame Libri''; Paris 1838, Tom. II, Livre I.</ref>.<br>
Ma più importante è per noi lo stato dell'astronomia all'età di Dante. Il quale non mirava al cielo in poesia o in ispirito solamente; ma materialmente ancora, e con amore e desiderio, quale a sommo fra gli oggetti di contemplazione, e come a dimora reale degli spiriti cari e dipartiti. Nella più bella fra le lettere di Dante, scritta nell'esilio, egli accenna a questa, come a principal consolazione di sua vita dovunque si fosse. "E che? Non potrò io d'ogni dove mirare gli specchi (''specula'') del sole e degli astri? Non d'ogni dove sotto il cielo, speculare dolcissime veritadi?<ref>Ediz. della Minerva, tom. V, p. 120; e vedi più giù l'opera presente, lib. II, cap. XIV.</ref>". Quindi, tutto astronomica riuscì la fabbrica del Poema sacro; ed astronomiche sono altre poesie di Dante, e i commenti che ne fece<ref>''Convito'', Tr. II, c. 3, 4.</ref>. Ognuno sa poi, che allora l'Astronomia
era tutta nel sistema Tolommaico, della terra situata al centro dell'Universo, con intorno i sette cieli rotanti de' pianeti Luna, Mercurio, Venere, Sole, Marte, Giove e Saturno; l'ottavo delle stelle fisse, e il nono o primo mobile traente gli altri nel moto universale d'Oriente in Occidente. Tutto ciò è notissimo; ma i periti ammirano in molti luoghi delle opere di Dante le cognizioni di lui, che sembrano superare quelle dell'età<ref>Magalotti, Redi, Targioni, Bottagisio e Ferroni, fecero già parecchie osservazioni sulla dottrina di Dante in iscienze naturali. Ma chi le voglia trovare maestrevolmente, e perciò moderatamente, raccolte e comparate colle cognizioni dell'età, vegga il libro citato del {{AutoreCitato|Guglielmo Libri|Libri}}, Tom. II, pp. 174-184, e 188.</ref> . Del resto, a malgrado di siffatto sistema, e così delle false basi di calcolo astronomico, un cotai Lanfranco Domenicano predisse al principio del 1261 un ecclisse solare, avvenuto poi alla vigilia dell'Ascensione<ref>Tirab. IV, 177.</ref>. Veggano gli scienziati se sia vero tal ecclisse, e se questa sia o no delle prime predizioni fatte. Ad ogni modo, pur troppo gli Astronomi non si contentavano allora di siffatte predizioni; ma forse appunto dalle predizioni effettuate degli eventi celesti traevano credito a quell' altre stolte degli eventi umani. Astronomia ed astrologia erano allora una sola parola, e sovente una sola cosa ; e furono grandemente protette da' principi e potenti di questo secolo, principalmente da Federigo II imperadore, e da Ezzelino tiranno. Ma fin d'allora la Chiesa, e con essa gli uomini più colti, e tra questi Dante nostro principalmente, condannarono sempre quella vana scienza. Dante mette gli Indovini nell'Inferno col capo travolto alle spalle; e in tutto un canto li prosegue, nominando fra essi i principali del suo tempo in Italia :
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