Pagina:D'Urso - Guerra e malaria, Milano, 1918.djvu/27: differenze tra le versioni

Divudi85 (discussione | contributi)
(Nessuna differenza)

Versione delle 19:27, 2 mag 2020


— 25 —

gano ad attenuare, se non ad eliminare i danni gravissimi, che da tre anni la guerra ha apportato nell’esercito o nella popolazione dei campi: provvedimenti simili a quelli, che l’on. Orlando, con larghe vedute umanitarie e liberali, ha emanato per il ricovero dei tubercolotici.

Tutti i colpiti da infezione malarica, intervenendo in tempo ancora utile per prevenire e curare gli esiti di «mutilazioni organiche irrimediabili», possono oggi proseguire o riassumere il servizio militare. Oggi non v’ha più dissenso: tutti convengono che la malaria, oltre che col chinino e gli altri mezzi di profilassi e di cura, può essere prevenuta e combattuta col supremo rimedio del rinvigorimento dello organismo. E’ necessario, adunque, che i malarici gravi vengano tolti alle «diete anemizzanti» degli ospedali e dei convalescenziari e ricevano le cure più adeguate per migliorare e guarire, così come le ricevono tutti gli altri soldati malati e feriti. Queste cure non possono aversi che in «Ospedali specializzati», cioè nei «Sanatorii» che dovrebbero sorgere in località saluberrime, lontane dai «centri abitati» e dalle «zanzare», (che trasportano l'infezione, la mantengono e la rinnovano), con le «condizioni di vita più igieniche» e più atte ad esaltare, anziché deprimere, il processo dei leucocitosi, al


    invalidi di guerra; che la pensione (o indennizzo) sia liquidata dopo aver sperimentato tutte le cure in un luogo adatto (Sanatorio)».