Pagina:Alfieri, Vittorio – Tragedie, Vol. I, 1946 – BEIC 1727075.djvu/51: differenze tra le versioni

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vita Icilio; ma avendo egli detto negli atti precedenti tutto quanto mai potea dire, e non rimanendogli nel quinto se non a operare, e non potendolo egli, stante che toccava a Virginio l’oprare, lo esclusi perché mi vi faceva una trista figura; e non potendolo escludere da cosa tanto importante per lui senza ucciderlo, lo uccisi; e mi pare che la sua uccisione apporti terrore e scoraggimento grande nel popolo, baldanza maggiore in Appio, piú viva pietá per Virginia, piú dolorosa perplessitá per chi ascolta, necessitá piú assoluta nel padre di trucidare la propria figlia, nessunissimo altro scampo alla di lei onestá rimanendo. E questo cangiamento, di cui
vita Icilio; ma avendo egli detto negli atti precedenti tutto quanto mai potea dire, e non rimanendogli nel quinto se non a operare, e non potendolo egli, stante che toccava a Virginio l’oprare, lo esclusi perché mi vi faceva una trista figura; e non potendolo escludere da cosa tanto importante per lui senza ucciderlo, lo uccisi; e mi pare che la sua uccisione apporti terrore e scoraggimento grande nel popolo, baldanza maggiore in Appio, piú viva pietá per Virginia, piú dolorosa perplessitá per chi ascolta, necessitá piú assoluta nel padre di trucidare la propria figlia, nessunissimo altro scampo alla di lei onestá rimanendo. E questo cangiamento, di cui
sono contentissimo, lo devo in parte a persona amica ed intelligente, la quale dimostrandomi che Icilio col non crescere scapitava, e raffreddava il quintetto nulla operandovi, io convinto di ciò, ne cavai quest’altro partito; onde ella vede quanto io son docile alla veritá. Ho dunque anche ben riflettuto a ciò che ella mi dice circa il fine, suggerendomi la morte di Appio. Ma per quanto io v’abbia maturamente pensato, sempre una voce mi grida nel cuore: ''La tragedia è Virginia, e non Appio; e con la morte di Virginia è finita''. Ma Appio malvagio deve egli trionfare? Esaminiamo se egli trionfi: anche prescindendo dalla storia, e supponendo, come sempre l’autor tragico dee supporre, che lo spettatore non sappia che n’avvenisse poi di quest’Appio, come deposto, come imprigionato, come morto; vediamo in quale stato si ritrova l’animo suo, in quale aspetto appresso la sua cittá ei rimane. Egli amava Virginia, e per sempre la perde; ed egli stesso è cagione manifesta della sua morte. Egli amava l’autoritá; ed i penultimi versi della tragedia sono del popolo, che atterrito, poi mosso a furore dallo spettacolo orribile della figlia svenata dal padre, grida con voce tremenda: ''Appio è tiranno; muoja'': e ciò ben due volte. Cade il sipario frattanto, e che si può credere per cosa probabile? Ciò che è avvenuto: ch’egli sarà almeno, se non ucciso, deposto; e avrá perduto (che è piú assai che la vita) l’amata donna, l’autoritá, la libertá, e la fama. ''Ma'', dirà ella, ''le ultime parole della tragedia son d’Appio, e sono baldanzose feroci e minaccevoli'': sono, ed esser tali doveano. Appio non era degno d’esser decemviro solo, di tenersi Roma due anni, di concepire la terribile impresa di corrompere e soggiogare animi cosí ferocemente liberi, se a tal catastrofe si fosse avvilito, ed in vece di minacciare, temuto avesse o pregato. Ucciderlo è facil cosa per mezzo di Virginio; ma, per altra parte, un padre che ha ucciso la propria figlia, attonito di se stesso, poco
sono contentissimo, lo devo in parte a persona amica ed intelligente, la quale dimostrandomi che Icilio col non crescere scapi¬
tava, e raffreddava il quintetto nulla operandovi, io convinto di
ciò, ne cavai quest’altro partito; onde ella vede quanto io son do¬
cile alla verità. Ho dunque anche ben riflettuto a ciò che ella mi
dice circa il fine, suggerendomi la morte di Appio. Ma per quanto
io v’abbia maturamente pensato, sempre una voce mi grida nel
cuore: La tragedia è Virginia, e non Appio; e con la morte di Vir¬
ginia è finita. Ma Appio malvagio deve egli trionfare? Esaminiamo
se egli trionfi: anche prescindendo dalla storia, e supponendo, come
sempre l’autor tragico dee supporre, che lo spettatore non sappia
che n’avvenisse poi di quest’Appio, come deposto, come imprigio¬
nato, come morto; vediamo in quale stato si ritrova l’animo suo,
in quale aspetto appresso la sua città ei rimane. Egli amava Vir¬
ginia, e per sempre la perde; ed egli stesso è cagione manifesta
della sua morte. Egli amava l’autorità; ed i penultimi versi della
tragedia sono del popolo, che atterrito, poi mosso a furore dallo
spettacolo orribile della figlia svenata dal padre, grida con voce
tremenda: Appio è tiranno; muoja\ e ciò ben due volte. Cade il
sipario frattanto, e che si può credere per cosa probabile? Ciò che
è avvenuto: ch’egli sarà almeno, se non ucciso, deposto; e avrà
perduto (che è più assai che la vita) l’amata donna, l’autorità, la
libertà, e la fama. Ma, dirà ella, le ultime parole della tragedia son
d* Appio, e sono baldanzose feroci e minaccevoli : sono, ed esser tali
doveano. Appio non era degno d’esser decemviro solo, di tenersi
Roma due anni, di concepire la terribile impresa di corrompere e
soggiogare animi cosi ferocemente liberi, se a tal catastrofe si fosse
avvilito, ed in vece di minacciare, temuto avesse o pregato. Ucci¬
derlo è facil cosa per mezzo di Virginio; ma, per altra parte, un
padre che ha ucciso la propria figlia, attonito di se stesso, poco