La sesta crociata, ovvero l'istoria della santa vita e delle grandi cavallerie di re Luigi IX di Francia/Parte seconda/Capitolo LXI: differenze tra le versioni

Contenuto cancellato Contenuto aggiunto
Barbaking (discussione | contributi)
Creo pagina con autoNs0
 
(Nessuna differenza)

Versione attuale delle 12:45, 29 apr 2020

Capitolo LXI

../Capitolo LX ../Capitolo LXII IncludiIntestazione 29 aprile 2020 75% Da definire

Parte seconda - Capitolo LX Parte seconda - Capitolo LXII

[p. 242 modifica]

Capitolo LXI.

Come finalmente scendemmo al porto di Yeres in terra di Provenza, e di ciò che ivi avvenne.


Alla fine di dieci settimane, in che noi fummo in mare navigando, arrivammo al porto di Yeres, davanti il castello che era al Conte di Provenza, il quale fu dappoi Re di Sicilia. E la Reina, e tutto il Consiglio del Re lo pregarono ch’ei là discendesse poi ch’egli era nella terra di suo fratello. Ma il Re disse ch’elli non discenderebbe punto, sintanto ch’e’ non fusse in Acquemorte che era sua terra. [p. 243 modifica]E sovra questo disparere ci tenne il Re il mercoledì e il giovedì, senza che nullo lo potesse fare accordare a discendervi. E il venerdì, come il Re era assiso su l’uno de’ seggi della nave, egli mi appellò, e mi domandò consiglio s’egli si doveva discendere, o no. Ed io gli dissi: Sire, e’ mi sembra che voi deggiate discendere senza fallo, perchè una fiata Madama di Borbone salita in questo porto medesimo non si volle discendere, anzi si rimise sopramare per andare ad Acquemorte: ma ella a suo gran disagio dimorò ben sette e più settimane sul mare per lo tempo che vi durò contradioso. E adunque il Re a mio consiglio s’accordò di discendere a Yeres, dondela Reina e la Compagnia furono molto paghi e gioiosi.

Nel Castello di Yeres soggiornammo il Re, la Reina, i figliuoli loro e noi tutti domentre che si procacciavano de’ cavalli per venircene in Francia. L’Abbate di Cluny, che fu dappoi Vescovo d’Oliva, inviò al Re due palafreni, l’uno per lui, l’altro per la Reina; e dicevasi allora ch’e’ valevano bene ciascuno cinquecento lire. Or quando il Re ebbe accettati que’ due bei cavalli, Messer lo Abbate richiesegli ch’elli potesse parlare con lui la dimane toccante li suoi affari. Ed il Re glielo ottriò. E quando venne il domani, lo Abbate parlò al Re, il quale lo ascoltò lungamente ed a gran piacere. E quando quello Abbate se ne fu partito, io domandai al Re s’egli soffrirebbe ch’io volessi conoscere da lui qualche cosa; ed egli mi rispose che sì. Adunque io gli domandai: Sire, non è egli forse vero che voi avete ascoltato [p. 244 modifica]Messer lo Abbate così lungamente per lo dono dei suoi due cavalli? E il Re da capo mi rispose: che sì certamente. Ed io allora gli dissi ch’io m’era ardito d’indirizzargli tale domanda affinch’egli difendesse alle genti di suo Consiglio giurato, che quand’essi arriverebbero in Francia, non prendessero niente da quelli che avessero per bisogne a venir loro davanti: perchè siate certano, Sire, dissi io, che, se essi prendono, ne ascolteranno più diligentemente e più lungamente i donatori così come voi avete fatto dello Abbate di Cluny. Allora il Re appellò tutto suo Consiglio, e loro contò in ridendo la domanda ch’io gli avea fatta, e la ragione d’essa domanda; ma non meno per ciò gli rispuosono i Consiglieri ch’io gli aveva dato un savio e bontadioso consiglio.

Ora sappiate che a Yeres correan novelle di un Cordigliere molto valente, il quale andava predicando per mezzo il paese, e si appellava Fra Ugo. Perchè il Re s’ismosse nel volerlo vedere ed udir parlare. E il giorno istesso ch’elli arrivò a Yeres noi andammo davanti il suo cammino, e vedemmo che una gran quantità d’uomini e di femmine lo andavano accompagnando e codiavanlo tutti a piè. Quando ci fummo accontati, il Re lo fece predicare, ed il primo Sermone ch’egli fece fu sulle genti di religione ch’e’ cominciò a biasmare, per ciò che nella compagnia del Re ce n’era a gran numero: e diceva ch’essi non erano punto in istato di salvarsi, ove non mentissero le Sante Scritture, il che non poteva esser vero: perchè le Sante Scritture dicono [p. 245 modifica]che un Religioso non può vivere fuor del suo chiostro senza cadere in più peccati mortali, niente più che il pesce non saprebbe vivere fuor dell’acqua senza morire. E la ragione era perchè i Religiosi, i quali seguono le Corti dei Re, bevono e mangiano più fiate diversi vini e vivande di quel che farebbono s’egli fussero nel loro chiostro. Donde avviene che l’agio ch’essi ne prendono li invita a peccare meglio che s’essi menassero austerità di vita. Appresso cominciò egli a parlare al Re, e gli donò a tenere per insegnamento che s’elli voleva lungamente vivere in pace ed a grado del suo popolo, ch’elli fosse dritturiere: e diceva che avea letto la Bibbia e gli altri Libri della Scrittura Santa, ma che giammai non avea trovato (fusse ciò tra Principi ed uomini Cristiani o tra miscredenti) che nulla terra o signoria fusse stata trasferita nè mutata per forza da uno ad altro Signore, fuorchè per falta di far giustizia e drittura. Per ciò, disse il Cordigliere, si guardi bene il Re qui presente ch’egli faccia bene amministrar giustizia a ciascuno in suo Reame di Francia, affinch’e’ possa sino a’ suoi ultimi dì vivere in buona pace e tranquillità, e Dio non gli tolga il reame a suo danno e vergogna. Il Re per alquante fiate lo fece pregare ch’e’ dimorasse con lui almeno sin ch’e’ soggiornasse in Provenza, ma sempre gli fece rispondere ch’egli punto non dimorerebbe nella compagnia dei Re. Pertanto quel Cordigliere non fu che un giorno con noi, e la dimane se ne andò contramonte. Ed ho poi udito dire, ch’egli giace a Marsiglia, là ove Dio gli permette fare di molti bei miracoli.