La sesta crociata, ovvero l'istoria della santa vita e delle grandi cavallerie di re Luigi IX di Francia/Parte seconda/Capitolo LX: differenze tra le versioni

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Capitolo LX

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Parte seconda - Capitolo LIX Parte seconda - Capitolo LXI

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Capitolo LX.

Di ciò che vedemmo nell’Isola di Lampadusa, e di un bello miracolo di Nostra Donna di Valverde.


Di là in avanti, e appresso che noi avemmo preso nell’Isola di Cipri acqua fresca, ed altre piccole nostre necessitadi, e che la tormenta fu cessata, noi partimmo di là, e venimmo a un’altra Isola, che l’uomo appella Isola di Lampadusa. E là discendemmo a terra, e prendemmo gran quantità di conigli, e là pure trovammo un eremitaggio iscavato entro le rocce, ed un bel giardino, il quale era impiantato d’olivi, e fichi, e ceppi di vite, e più altri alberi fruttiferosi: e ci avea una bella fontana d’acqua dolce, il cui rivolo defluiva fresco fresco per mezzo il giardino del romitaggio. Il Re e la sua compagnia andarono sino al capo di quel giardino, e lo cercarono attentamente, e così insieme vi trovammo uno oratorio, di cui la prima vôlta era bianca di calce, e sopravi una bella croce di terra vermiglia; ed in un’altra vôlta più avanti trovammo [p. 241 modifica]due corpi morti, i quali avevano le mani incrociate sul petto, e dell’ossa loro non ci avea più che le costole le quali s’intertenessero. Ed erano quegli scheletri volti verso Oriente così com’egli è costume disporre gli altri morti fuggiti in terra. E quando noi avemmo ben veduto per tutto, il Re e la sua compagnia ritiraronsi nella nave. Or sappiate che quando noi vi fummo rientrati, ci fallì l’uno de’ marinai; donde il Comito si pensò in lui, ch’elli sapeva bene lo quale era, e com’egli volesse dimorare colà per essere e vivere quindi innanzi penitente e romito. E per ciò il Re a l’ avventura fece lasciare tre sacca piene di biscotto sulla riva di quell’isola erma, affinchè il marinaio, che eravi dimorato, li trovasse e ne vivesse per alcun tempo. Poco appresso arrivò un’avventura in mare nella nave di Messer d’Argones, il quale era l’uno dei più possenti Signori di Provenza: ciò è ch’essendo egli una mattinata in suo letto, il Sole colpivalo sovra ’l viso per un pertugio. Allora il detto Messer d’Argonne appellò uno de’ suoi scudieri, e gli disse che andasse a stoppare il pertugio per ove traforava il Sole: e lo scudiero, veggendo ch’e’ non poteva istopparlo di dentro, uscì della nave, e si mise all’opera nel di fuori, e così andando tentone, gli fuggì un piede, ed egli cadde nell’acqua. Tantosto ch’e’ fu caduto, la nave si allontanò, e non ci avea punto di picciole barche accostate con che poterlo soccorrere. Noi lo vedemmo da lunge stando sul cassero della galea del Re, la quale veniva appresso ben mezza lega lontano dalla nave donde elli era [p. 242 modifica]caduto. Tuttavolta pensavamo che ciò fusse stato qualche cosa caduta in mare, perchè quello scudiero non si moveva nè si âtava in nissuna guisa. E quando noi l’avemmo appercepito di presso, l’uno de’ navicelli del Re lo raccolse, e lo trammise nella nostra nave, nella quale dopo d’essere stato raccolto, ci contò egli come era caduto. E noi gli domandammo, come era ciò ch’egli non s’âtasse altrimenti nè a nuotare, nè a gridare o a far cenno alle genti della nave. Ed egli ci disse che non avea nullo bisogno di farlo, perchè, in cadendo, egli s’era gridato: Ah! Nostra Donna di Valverde! di che la buona Santa Madre Maria lo sostenne per le spalle, e lo sorresse sino a tanto che la galea del Re fu arrivata a lui. E nell’onore della benedetta e miracolosa Vergine e Madre, io ho fatto pingere di ritratto nella mia Cappella a Gionville il detto miracolo, ed anche nelle vetrate della Chiesa di Blecorto ècci alluminato per memoria.