Pagina:I Vicerè.djvu/644: differenze tra le versioni

CandalBot (discussione | contributi)
Bot: modifica fittizia Pywikibot
Sun-crops (discussione | contributi)
piccoli fix
Corpo della pagina (da includere):Corpo della pagina (da includere):
Riga 1: Riga 1:
{{Pt|ministrazione|amministrazione}}, dove c’era un baratro peggio che al municipio....
{{Pt|ministrazione|amministrazione}}, dove c’era un baratro peggio che al municipio....


Gli altri candidati, però, non si davano vinti, i più pericolanti si ostinavano peggio, ricorrevano a tutti i mezzi, contrattavano i voti, lanciavano accuse violente ai rivali fortunati, specialmente al principe. « Noi non abbiamo nipoti educati dai Gesuiti, nè zii Cardinali di Santa Chiesa, nè parenti reazionarii; non ci appoggiamo su tutti i partiti, dalla nobiltà alla canaglia!... » Consalvo lasciava dire, correva in provincia, tornava in città, allargava la cerchia dei proprii aderenti. I messi di Baldassarre, dal canto loro, predicavano nelle osterie la democrazia del principe, pagavano da bere a quanti gli promettevano il voto. Una sera, però, la discussione si fece brutta fra quelli che stavano dalla sua e gli oppositori che davano al principe del Rabagas, del gesuita e del traditore. Dalle parole vennero ai fatti, volarono sedie e bottiglie, luccicarono i coltelli, gravi minacce furono pronunziate. Allora Consalvo si rivolse agli antichi compagni di bagordo, alla gente con la quale aveva fatto vita, un tempo, nelle taverne e nelle case di tolleranza: ceffi spaventosi, pallidi bertoni con la faccia tagliata da cicatrici fecero la guardia al suo palazzo, alla sua persona; si disseminarono nei luoghi equivoci, minacciando, intimorendo... « Il candidato di Francesco II ha sguinzagliato la mafia per tutto il collegio allo scopo di spaventare gli onesti cittadini, » denunziarono i fogli avversarii; ma nella violenza della battaglia le più feroci accuse avevano perduto ogni efficacia, erano naturalmente attribuite all’odio di parte, al rancore di chi sentiva mancarsi il terreno sotto i piedi. Il nome di Francalanza era su tutte le bocche, nessuno dubitava oramai dell’elezione del principe. Egli preparava il discorso elettorale.
Gli altri candidati, però, non si davano vinti, i più pericolanti si ostinavano peggio, ricorrevano a tutti i mezzi, contrattavano i voti, lanciavano accuse violente ai rivali fortunati, specialmente al principe. « Noi non abbiamo nipoti educati dai Gesuiti, nè zii Cardinali di Santa Chiesa, nè parenti reazionarii; non ci appoggiamo su tutti i partiti, dalla nobiltà alla canaglia!... » Consalvo lasciava dire, correva in provincia, tornava in città, allargava la cerchia dei proprii aderenti. I messi di Baldassarre, da canto loro, predicavano nelle osterie la democrazia del principe, pagavano da bere a quanti gli promettevano il voto. Una sera, però, la discussione si fece brutta fra quelli che stavano dalla sua e gli oppositori che davano al principe del Rabagas, del gesuita e del traditore. Dalle parole vennero ai fatti, volarono sedie e bottiglie, luccicarono i coltelli, gravi minacce furono pronunziate. Allora Consalvo si rivolse agli antichi compagni di bagordo, alla gente con la quale aveva fatto vita, un tempo, nelle taverne e nelle case di tolleranza: ceffi spaventosi, pallidi bertoni con la faccia tagliata da cicatrici fecero la guardia al suo palazzo, alla sua persona; si disseminarono nei luoghi loschi, minacciando, intimorendo... « Il candidato di Francesco II ha sguinzagliato la mafia per tutto il collegio allo scopo di spaventare gli onesti cittadini, » denunziarono i fogli avversarii; ma nella violenza della battaglia le più feroci accuse avevano perduto ogni efficacia, erano naturalmente attribuite all’odio di parte, al rancore di chi sentiva mancarsi il terreno sotto i piedi. Il nome di Francalanza era su tutte le bocche, nessuno dubitava oramai dell’elezione del principe. Egli preparava il discorso elettorale.