Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1923, XXII.djvu/451: differenze tra le versioni

Errore di battitura
Nessun oggetto della modifica
Corpo della pagina (da includere):Corpo della pagina (da includere):
Riga 2: Riga 2:


All’Albergati il Goldoni stesso dà notizia dell’insuccesso con lettera nota a noi solo in questo breve riassunto del Tognetti, senza data (Biblioteca Comun. di Bologna, Spogli Ortolani): "
All’Albergati il Goldoni stesso dà notizia dell’insuccesso con lettera nota a noi solo in questo breve riassunto del Tognetti, senza data (Biblioteca Comun. di Bologna, Spogli Ortolani): "
"Dice d’aver dato il suo <i>Avaro fastoso</i> alla Corte in Fontanablò (<i>sic</i>). Ma sì freddamente è stato recitato che non vuol esporlo in Parigi. Lo ha tradotto in italiano. Si è saputo in Venezia. L’Ecc.<sup>mo</sup> S.r Andrea Querini di S. M. Formosa lo ha dimandato per i suoi nepotini, e glielo spedisce". La traduzione dunque è contemporanea alla recita. Traduzione molto libera se raffrontata con l’originale com’è noto oggi a noi, ma forse vicina all’una o all’altra delle lezioni tentate dall’autore per rendere il lavoro meno ostico al palato dei comici francesi. Diverso intanto lo scioglimento - che risponde al riassunto delle <i>Memorie</i> - con i personaggi tutti in scena, secondo la buona tradizione, compresi il gioielliere che ricupera la sua merce. Giacinto, sceso da letterato pitocco a ricattatore, e il notaio. Il protagonista non pensa più a una comoda fuga, ma fatto buon viso ad un bruttissimo giuoco, s’accinge coi suoi invitati a festeggiare nozze non più sue. La chiusa, strozzata, del copione può apparire originale, ma non aveva nulla di goldoniano. L’impose verisimilmente all’autore economia di tempo nella recita. Vi hanno altre innovazioni più o meno felici. Con la promozione al titolo comitale <i>Casteldoro</i> cresce a trenta il numero de’suoi invitati, di che si preoccupa non poco Frontino data l’avarizia del padrone che non voleva pagare neanche il conto di una cena di soli tre invitati. Savia cosa ritenne questa volta il G. presentare al pubblico, prima ch’entri in scena, quel Marchese che aveva contribuito all’insuccesso della commedia originale. Del suo intercalare <i>bene bene benissimo</i> si fa qua e là buon uso comico. Si duole il conte di non trovare a dispetto di forti spese e vistosi doni, che <i>ingratitudine e ingiustizia.</i> " Bene, bene, benissimo" interloquisce il <i>marchese</i>. E il conte: "maledettissimo intercalare!" "<i>Quelle sottise</i>" diceva <i>Araminte</i> quando sente il numero degli invitati. Con maggior effetto comico la traduzione: "Quest’è un uomo che si rovina". <i>Casteldoro</i> avverte il <i>cavaliere</i>, arrivato allora e ignaro che la sua Eleonora sta per isposare il conte, che di là ci sono persone di sua conoscenza cioè <i>Araminta</i> e sua figlia. "Andate", gli dice, "vi diranno là delle nuove che voi non potete ancora sapere, ma che vi faranno piacere". Evidente dunque la ricerca di maggior comicità. Prolissità e nuovi particolari sciupano la scena col sarto (A. I, V). Quella con Giacinto (A. III, II), delle più fredde già nell’<i>Avare fastueux</i>, è allungata non poco da un’aggiunta, dove il G. si vendica dei comici del <i>Théàtre francais</i>. Il poeta
"Dice d’aver dato il suo <i>Avaro fastoso</i> alla Corte in Fontanablò (<i>sic</i>). Ma sì freddamente è stato recitato che non vuol esporlo in Parigi. Lo ha tradotto in italiano. Si è saputo in Venezia. L’Ecc.<sup>mo</sup> S.r Andrea Querini di S. M. Formosa lo ha dimandato per i suoi nepotini, e glielo spedisce". La traduzione dunque è contemporanea alla recita. Traduzione molto libera se raffrontata con l’originale com’è noto oggi a noi, ma forse vicina all’una o all’altra delle lezioni tentate dall’autore per rendere il lavoro meno ostico al palato dei comici francesi. Diverso intanto lo scioglimento - che risponde al riassunto delle <i>Memorie</i> - con i personaggi tutti in scena, secondo la buona tradizione, compresi il gioielliere che ricupera la sua merce. Giacinto, sceso da letterato pitocco a ricattatore, e il notaio. Il protagonista non pensa più a una comoda fuga, ma fatto buon viso ad un bruttissimo giuoco, s’accinge coi suoi invitati a festeggiare nozze non più sue. La chiusa, strozzata, del copione può apparire originale, ma non aveva nulla di goldoniano. L’impose verisimilmente all’autore economia di tempo nella recita. Vi hanno altre innovazioni più o meno felici. Con la promozione al titolo comitale <i>Casteldoro</i> cresce a trenta il numero de’suoi invitati, di che si preoccupa non poco Frontino data l’avarizia del padrone che non voleva pagare neanche il conto di una cena di soli tre invitati. Savia cosa ritenne questa volta il G. presentare al pubblico, prima ch’entri in scena, quel Marchese che aveva contribuito all’insuccesso della commedia originale. Del suo intercalare <i>bene bene benissimo</i> si fa qua e là buon uso comico. Si duole il conte di non trovare a dispetto di forti spese e vistosi doni, che <i>ingratitudine e ingiustizia.</i> " Bene, bene, benissimo" interloquisce il <i>marchese</i>. E il conte: "maledettissimo intercalare!" "<i>Quelle sottise</i>" diceva <i>Araminte</i> quando sente il numero degli invitati. Con maggior effetto comico la traduzione: "Quest’è un uomo che si rovina". <i>Casteldoro</i> avverte il <i>cavaliere</i>, arrivato allora e ignaro che la sua Eleonora sta per isposare il conte, che di là ci sono persone di sua conoscenza cioè <i>Araminta</i> e sua figlia. "Andate", gli dice, "vi diranno là delle nuove che voi non potete ancora sapere, ma che vi faranno piacere". Evidente dunque la ricerca di maggior comicità. Prolissità e nuovi particolari sciupano la scena col sarto (A. I, V). Quella con Giacinto (A. III, II), delle più fredde già nell’<i>Avare fastueux</i>, è allungata non poco da un’aggiunta, dove il G. si vendica dei comici del <i>Théâtre francais</i>. Il poeta