Inferno monacale/Libro secondo: differenze tra le versioni

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La mansuetudine, le parole inzucerate e i titoli di disonestissime voci sono il sale che condisse la lor simulatione, sì ché, parlando di gente tale, il segretario di Dio disse: «Verba eius iniquitas et dolus». Da bocche così sacrilege non s'odono apunto altro che inganni occulti et inventar astutamente ciancie contro le sorelle con lingua peggio che di Momo, poi ché quello biasmava e lacerava tutti in presentia, ma queste, che meritarebbero d'haver così bipartita la lingua come hanno finte le parole, portan il miele sopra le labra et il tosco in seno. Quando s'offerisce loro occasione d'insidiare ad un'amica, pur all'hora trattano da nemiche per ché ogni simile occorre tal'hora che due fanciulle, simili nella fortuna e non dissimili nell'esser, ambi due state gabate da' parenti, coetanee, concordi di volere e di pensieri, che haveranno in un medemo tempo fatta la funtione di vestir habito religioso, si piglian vicendevole affetto et a vicenda l'una dell'altra si confida, scuoprendosi i più interni voleri e comunicandosi i più segretti pensieri, onde sono apunto sorelle in amore e di continuo compartono fra loro le cure, dandosi con ogni sicurezza le chiavi del cor in mano. E se Salamon disse: «Beatus vir qui invenit amicum verum», queste infelice vanno in questa guisa sollevandosi da tante gravi tribulationi che patono nell'Inferno monachale; e non rimanendo loro altro conforto, tengono simil metodo per mittigar la fierezza de' loro dolori. Queste non s'ingeriscono ne' fatti altrui, non si risentono de' biasmi et inventioni machinate lor contro, non ambiscono vana lode, ma vivono ingenuamente non entrando ne' conventicoli delle mormoratrici. Ma eccoti che, a turbar la quiete di questa coppia, entrano altre, simili d'habito, non di costumi, e, sotto fintioni d'amicitia, adopran ogni arte possibile per disunir quegli animi così caramente legati. Queste, tutte per invidia livide, per curiosità ansiose, per fraude inganevoli, anzi ché fraudolenti paiono apunto la stessa Fraude con faccia humana, poi ché sotto habito di mansoetudine e begninità portan ascoso il cortello della malitia. Così descrisse questa inganevol chimera il gentilissimo poeta ferrarese, dicendo ch'ella haveva:
 
::«Un humil volger d'occhi, un andar grave,
::un parlar sì begnino e sì modesto,
::che pareva Gabriel che dicess'Ave,
::era brutta e difforme in tutto 'l resto,
::ma nascondea le sue fatezze prave
::con lungh'habito e largo, e sotto quello,
::attosicato havea sempre il coltello».
 
Tali sono queste che, copiose d'inventioni, alle semplici che le stimano sinciere e l'amano al par di se stesse, vanno, con intrecciamenti di discorsi e con suppositioni false, adosando le proprie colpe altrui con stuzzicar la bontà loro in odio contro le mala dicenti per ché ciò che vedono e sanno per la confidenza, il riferiscono come rapportato da qualche altra et asseriscono con giuramento d'haver udito di proprio orecchio da bocca d'altre ciò di che elle sole son state fatte confidentamente consapevoli dal'ingenuità di queste pure colombe che, senza pensar più oltre, il tutto credono. Onde le scelerate tirano la rete de' lor tradimenti in tal modo, per potter a suo tempo far che dentro v'inciampino quelle povere sciocarelle che, più tosto che supponer inganni nell'iniqua tristitia di queste, si persuadono che in monastero vi siano delle spiritate che possin penetrar gli altrui pensieri. Ed elle scaltramente fingano di lodarle, ma con tal lode che ha faccia di lode ed è biassimo a chi ben el comprende, sì ché a loro s'agiustano benissimo quei versi del {{AutoreCitato|Torquato Tasso|Tasso}}:
 
::«Gran fabro di calunie adorne in modi
::novi che sono accuse e paion lodi».
 
Ma passiamo dal noviziato alla professione, che poi anche non è per mancarci occassione di tornar alla malvagità di queste Sfingi diaboliche, così divenute per la tirania de' genitori.
Riga 85:
Spirato il tempo della probatione, si comincia il funesto trattato d'ordir un nodo così tenacce e forte che non possa esser disciolto da forza humana: dico la proffessione, che è un legame indissolubile, anzi un sepolcro della libertà di quelle che dentro v'inciampano. Sino a questo termine si può dir che la novizza habbia vissuto fra delitie e contenti, si è ben dolsutta sin hora della sua prigionia, ma non per anche s'è accorta dell'iminente ruina che, dall'altrui inganno orditale, le sovrasta: era troppo tenera d'età per penetrar l'astutie! Colui, che dal sententioso {{AutoreCitato|Torquato Tasso|Tasso}} fu indotto a dire:
 
::«E ben ché fossi guardian degl'horti,
::viddi e conobbi pur l'inique corti»,
 
era vecchio, et il tempo e la pratica son quelle che rendono sagacci le più pure menti...
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Anche l'{{AutoreCitato|Ludovico Ariosto|Ariosto}}, detestando questa mutabilità, inducce Rodomonte a lamentarsene e prudentemente il fa mentre pone in bocca ad un Saracino bestialissimo, senza raggione e senza legge e sempre nemico alla verità, tali parole:
 
::«O feminil ingenio, egli dicea,
::come ti volgi e muti facilmente!»
 
{{AutoreCitato|Publio Ovidio Nasone|Ovidio}}, anch'egli forse appassionato della sua Corrina, cantò:
 
::«Non sic incerto mutante flamine Syrtes
::nec foglia hiberno tam tremefacta Noto
::quam cito feminea non constat fedus in ira
::sive et ea gravis sive et causa levis».
 
{{AutoreCitato|Sesto Properzio|Propertio}}, anch'egli per non dissentir dall'altrui falsità, diceva:
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Altri malignamente dissero che le donne sono simili alla Fortuna, volendo dinotar nel'instabilità di questa dea la loro incostanza. Così il sudetto inviperito e sprezzato Rodomonte sogiunge:
 
::«Né so trovar cagione a casi miei
::se non quest'una: che Fortuna sei».
 
Ma se questi tali penetrassero a fondo, conoscerebber tal applicatione non risultar in dano e biasmo delle femine rispetto che, se ben la Fortuna è volubile, niente di meno produce et è d'ogni ben motrice dove che essi medemi vengano ad in ferire e confesar che da una rotta, posta in man di donna, dipenda ogni loro felicità; oltre che, da questa ruota derivando ogni cosa, conseguirà per necessità che in loro sian influiti incostantissimi pensieri.
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Altre non di meno prudentissime, non si danno in preda alla disperatione per ché conoscono esser pazzia l'affligersi di quei mali che son senza rimedio, onde, con lo scudo della soferenza, va tal'una d'esse riparando i colpi del tentator Demonio che, insinuando loro ragioni potenti, procura d'indurle a disperarsi. Così, d' necessità fatta virtù, comincian pacientamente a tolerar l'asprissimo giogo e stabiliscon di valersi di riccordi, dati già loro da colui che le sugerì il viver licencioso. E tall'uno, che ha la zia di buona consienza che li predica il viver religioso, ad ogni modo non la stima, anzi la sprezza, poi ché non si tengono elle obligate a cos'alcuna e si vaglian di quel deto:
 
::«ogni vergognia amorza
::il poter dir che le sia fatta forza».
 
Considerate voi qui un poco, o ministri di Satanasso, che, sforzando le vostre figliuole ad entrar ne' monasteri, siete partecipi di tutte le loro attioni scandolose: qual riparo siate per impetrare nell'eterno e spaventevol giorno del Giudicio, quando la sonora tromba si farà con orido rimbombo sentire all'universo?' Rammenterei qui tutte le vostre crudeltà e tirannie, ma pur troppo son notte al Paradiso e non ignotte a gli huomeni spietatissimi e senza compassion alle povere sfortunate, che pur dovria esser abondantissima e senza fine per non haver elle preso l'habito religioso d'elettion propria. Che delle volontarie e sante non mai intendo parlar se non con profonda riverenza.
Riga 174:
Ah certo che, di questi, la maggior parte non ha core per ché, se si riguardano in seno, trovaran d'haverlo perso, chi nella proprietà, chi negli honori et ambitioni, chi ne' giochi et altri in amor vani! Questi vivono molto più sregolati delle monache et haverebbero bisognio di maggior rifforma: «Audi, popule stulte, qui non habes cor», dice Geremia. E qual maggior segnio d'esser privo di core ed inteletto può darsi che per trascuragine di non gettar l'ancora, perdersi nel porto? Dante segniò:
 
::«E legno viddi già dritto e veloce
::correr il mar per tutto suo camino
::perì al fin all'entrata della foce».
 
Avviene tal volta che, per elettion de' supperiori, ne' monasteri pianta alevata e frutifera ne' giardini della Religione ha meriti per sovrastar degnamente ad ogn'altro di superiorità: non ambisce, anzi riffiuta il carrico come quello apertamente conosce che gli orrori sono arrivati all'estremo peso nelle trasgretioni della regola.
Riga 200:
Se vedon che elle levino un occhio di terra, dicon balenar gli sguardi impudenti, anzi impudichi. Cognioscan la fersura su la paglia, anzi pupilla di loro sorella, ma nulla consideran alle travi che alla vista le s'interpongano. Tal'una di queste è sì di cognition priva che, capitandole all'orrecchie quelle voci, ad ogni uno proffitevoli - «Nosce te ipsum»! - se stiman un favoloso raccordo e perciò, senza prudenza e conoscimento, van rimproverando all'altre quei diffetti ne' quali elle più d'ogn'altra involte si trovano, sì ché le gare della gioventù e vecchiezza, i risi e mottegiamenti sopra l'etadi sono i primi fomenti e fondamenti delle male volontà. Una che nel numero degli anni sopravanzerà ad altra in guisa che madre potrebbe esserle, con pari humori di giovane multiplica a lustri con bugiardi e stolti accenti gli anni di colei che potrebbe esserle figlia, servendosi del detto del gentilissimo Ariosto:
 
::«Che a donna non si fa maggior dispetto
::che quando brutta o vecchia le vien detto.»
 
Quella che volse però prettender di passar i congressi senza framischiarvi qualche paroletta mordace farebbe vanità: trapassan tal'hor con vezzoso soriso le noiose proposte che irritan l'animo per usar prudenza, ma non per ciò resta nutrirsi nell'interno fuoco sdegnioso, parendo molto stranio a chi l'occassioni fugga d'offender altre, sentirsi unger, come dir si suole, spropositatamente a sangue freddo. E troppo duro il sentirsi sovente rinproverar da una cloaca di vitij, da una infimissima, di quei mancamenti non commessi e che in ella stessa sono eccessivi. Questo è sì periglioso golfo di naufraggio che è degno di gran lode quell'inteletto che ad incessante continuation d'onde così tempestose non si lascia dal sdegnio absorbere ai precipitij.
Riga 239:
L'essercitio di buona religiosa deve essere il lagrimare, non il chiarlare, orare, non dir male, riverire, non infamare, aiutare, non condennare, sollevar, non affligere, trattar pace, non discordie, diffendere, non tradire. Stimo che, quando Dio Benedetto disse: «Sedebit populus meus in pulchritudine pacis», per il suo populo volesse intender la gente religiosa, che a questi tempi diversamente opera dalle parole e dalla volontà divina, per ché le risse, discordie e simulationi non han de' monasterij più sicuro ricetto. E pure son quelle qualità che levano al religioso il pottersi vantar tale! S. Paolo, a lor parlando, disse: «Cum sit inter vos zelus et contentio nonne carnales estis et secundum hominem ambulatis» Non altrov'è più livida e maligna l'invidia, poi ché tal'una s'attosica di rabbia in veder la Fortuna girar più felice la ruota per commodo della sorella, onde vien che apre il varco a quelle parole et operationi che opprimer ponno l'invidiata da essa; et è proprietà, anzi essenza, del'invidioso che tutte le altrui cose gli paian migliori e maggiori. Ciò chiaramente comprobò il mantovano poeta:
 
::«Fertilior seges est aliorum semper in agris
::vicinunque pecus grandius uber habet».
 
È l'invidiosa un infame mostro che, con occhi di lince, segue in ogni parte la perseguitata per potterle macchiar a sua voglia il buon concetto e sovente non le ne manca occassione, per ché la nova professa, già già in tal laberinto inviluppata, comincia dagli altrui raccordi ad apprender la scienza del mondo, ancor che ella sia quivi entratta, stante l'avaro padre per allontanarsi dal mondo, sente una Corisca che con scelerati consigli sì la persuade:
 
::«Come gioia conserva i miei consigli:
::sappi, o dilletta, che anch'io chiusa a forza
::l'arte del ben amar fanciulla appresi».
 
In oltre quel maledetto sesso che le racchiude, che non cessa tormentarli anche ne' chiostri, sì le dice:
 
::«Dandoli norma d'un trattar lascivo,
::l'haver quando bisognia
::le lacrim'a sua voglia, il sospir pronto
::e la lingua dal cor sempre diversa,
::l'inanimissce a gl'amori, con dirle
::che faccilmente ogni scusa s'ammette
::quand'in amor la colpa si rifflette».
 
Ma ché, inoltrandosi a poc'a poco nelle dellicatezze di corpo, s'ingiegna, quasi non cogniosca Dio, di sattolar in certo modo il senso, dà in bando la religione seguendo l'error di quei stolti de' qual cantò l'eruditissimo {{AutoreCitato|Giovan Battista Marino|Marino}}:
 
::«- Non è Dio, Dio non è privo di fede -
::tacito e fra' suo cor, dice lo stolto,
::stolto cui l'inteletto alzar disciolto
::ver la Prima Cagion non si concede.
 
::Dice l'iniquo: - In su le stelle siede,
::né le cose mortali Ei cura molto,
::miser, né sa come qua giù rivolto
::contro ogni foglia, e 'l tutto osserva e vede -
 
::Sentenz'horende, anzi bestemmie insane!
::Signor, che Tu non sappia e Tu non sia,
::osano d'affermar lingue profane
 
::per ché la Destra Tua tema non dia
::pena a' suoi falli in fra quest'ombre vane.
::L'empio sognando va quel che desia».
 
Non s'accorgano, queste infelici, che errano di gran lunga, poi ché l'occhio perspicacissimo del Supremo Mottore non solo conosce e vede ogni atto, interno et esterno, di qual si sia de' mortali, ma, come giudice retto et indifferente, registra le partite de' suoi, sian amici o nimici, spose o serve, per severamente punir li eccessi e remunerar i servigi, nulla trascurando e con partialità perdonando a quelli che han tittolo di suoi più cari. Così leggesi nell'antiche historie di molti principi, che a null'altra cosa havendo riguardo che alla sola giustitia, non perdonarono la vitta a' proprij figli caduti nelle trasgressioni delle leggi da loro ordinate. Bruto, console romano, per esser integerrimo osservante d'intatta giustitia, sofferse con gran costanza di veder i proprij figli, da lui condenati, morir misseramente ad un legno legati. L'istesso farà il Monarcha de' Celi, sententiando indifferentamente quell'anime che se offessero con violenza corpi forzati e quelle che fur dedicate al suo culto, come innosservanti e destrutrici degli ordeni claustrali e come reprobe figliole e seguacci di Sattanasso, non de' lor fondattori, le cancellerà dal libro della vitta, disheredando gli empi padri insieme con elle delle pretensioni che, come sue figlie, pottevano haver del Paradiso.