Galileo Galilei (Favaro)/II: differenze tra le versioni

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{{Qualità|avz=5075%|data=10 aprile 2008|arg=Biografie}}{{Intestazione matematica
| Nome e cognome dell'autore = Antonio Favaro
| Titolo = Galileo Galilei
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Questi copiosi frutti da lui côlti nello studio delle matematiche giustificavano bensì l'abbandono di quelli di medicina, ma non offrivano ancora al giovane Galileo alcun mezzo per corrispondere all'aspettazione del padre, il quale dal suo ingegno tanto promettente aveva sperato un valido aiuto per sopperire ai gravi bisogni della numerosa famiglia.
 
A tanto non bastando nè una problematica lettura pubblica di matematica in Siena, nè alcune lezioni nella stessa materia privatamente impartite e in Firenze e in Siena, pensò di sottoporre i suoi lavori a studiosi che risiedevano nei principali Archiginnasi del tempo, e ciò non solo per sentire in proposito il loro parere, ma ancora per farsi conoscere in quei celebratissimi centri di studi, a fine di ottenervi una cattedra, mèta delle sue aspirazioni. E forse ebbero lo stesso scopo quelle lezioni pubbliche da lui tenute in Firenze "{{TestoCitato|Due lezioni all'Accademia fiorentina circa la figura, sito e grandezza dell'inferno di Dante|intorno la figura, sito e grandezza dell'Inferno di Dante Alighieri}}" dettate nell'Accademia Fiorentina per difendere il Manetti dalle opposizioni che in tale materia erangli state mosse contro dal Vellutello.
 
Un tentativo da lui fatto per ottenere la lettura di matematica nello Studio di Bologna, col quale forse si connette un suo primo viaggio a Roma, gli andò fallito, e prima ancora ch'egli ne deponesse la speranza aveva vagheggiato l'idea di ottenere la cattedra padovana rimasta vacante per la morte di Giuseppe Moletti nel marzo 1588. Certissimo è poi che il nostro giovane matematico fin dai primi mesi di questo medesimo anno 1588 aspirò alla lettura di matematiche nello Studio di Pisa ed a tal fine ricorse anche al marchese Guidobaldo del Monte, già discepolo del Commandino ed influentissimo, tanto per la sua posizione di famiglia e le sue relazioni con la Corte di Toscana, quanto per l'alta e meritata fama di scienziato nella quale era per cospicui lavori venuto. Perduta anche questa speranza, perchè il Lettore che aveva abbandonata quella cattedra l'aveva poi rioccupata, chiese gli venisse concessa una lettura di matematiche già istituita in Firenze dal granduca Cosimo I, senza però ottenerla; e così tutto l'anno 1588 e buona parte del 1589 trascorsero senza ch'egli vedesse in qualche modo rimunerati quegli studi, per i quali non aveva fino allora riscosso altro che il plauso degli intelligenti.