Canzone in lode della casa di Francia: differenze tra le versioni

Contenuto cancellato Contenuto aggiunto
IPork (discussione | contributi)
m Porto il SAL a SAL 50% - Manca il numero dei versi
Snark (discussione | contributi)
m passo al 75%
Riga 1:
{{Qualità|avz=5075%|data=3 giugno 2008|arg=Poesie}}
{{Intestazione letteratura
| Nome e cognome dell'autore = Annibal Caro
| Titolo = Canzone in lode della casa di Francia
Line 21 ⟶ 22:
e d'ambo insieme avinti
tessiam ghirlande a' nostri idoli, e fregi.
{{R|5}}E tu, signor, ch'io per mio sole adoro,
perchè non sian dall'altro sole estinti,
del tuo nome dipinti,
gli sacra, ond'io lor porga eterni pregi:
ché por degna corona a tanti regi
{{R|10}}per me non oso: e 'ndarno altri m'invita,
se l'ardire e l'aita
non vien da te. Tu sol m'apri e dispensi
Parnaso: e tu mi desta, e tu m'aviva
lo stil, la lingua e i sensi,
{{R|15}}sí ch'altamente ne ragioni e scriva.
 
Giace, quasi gran conca, infra due mari
Line 37 ⟶ 38:
parte delle piú amene
d'Europa, e di quant'anco il sol circonda:
{{R|20}}di tesori e di popoli e d'altari,
ch'al nostro vero nume erge e mantene,
di preziose vene,
d'arti e d'armi e d'amor madre feconda.
Novella Berecintia, a cui gioconda
{{R|25}}cede l'altra il suo carro e i suoi leoni:
e sol par ch'incoroni
di tutte le sue torri Italia e lei:
e dica: - Ite, miei Galli, or Galli interi,
gli indi e i persi e i caldei
{{R|30}}vincete, e fate un sol di tanti imperi. -
 
Di questa madre generosa e chiara,
Line 53 ⟶ 54:
regnano oggi fra noi
d'altri Giovi altri figli ed altre suore;
{{R|35}}e vie piú degni ancor d'incenso e d'ara,
che non fûr giá, vecchio Saturno, i tuoi.
Ma ciascun gli onori suoi
ripon nell'umiltate e nel timore
del maggior Dio. Mirate al vincitore
{{R|40}}d'Augusto invitto, al glorioso Errico,
come, di Cristo amico,
con la pietá, con l'onestá, con l'armi,
col sollevar gli oppressi e punir gli empi,
non coi bronzi o coi marmi,
{{R|45}}si va sacrando i simulacri e i tempi.
 
Mirate, come placido e severo
Line 69 ⟶ 70:
Vedete Iri e Bellona,
come dietro gli vanno, e Temi avanti,
{{R|50}}com'ha la ragion seco, e 'l senno e 'l vero:
bella schiera che mai non l'abbandona.
Udite come tuona
sopra de' licaoni e de' giganti.
Guardate quanti n'ha giá domi, e quanti
{{R|55}}ne percuote e n'accenna; e con che possa
scuote d'Olimpo e d'Ossa
gli svelti monti, e 'ncontro al ciel imposti.
Oh qual fia poi, spento Tifeo l'audace
e i folgori deposti!
{{R|60}}quanta il mondo n'avrá letizia e pace!
 
La sua gran Giuno in tanta altezza umile,
Line 85 ⟶ 86:
e non è sdegno o cura
che 'l cor le punga, o di Calisto o d'Io.
{{R|65}}Suo merto e tuo valor, donna gentile,
di nome e d'alma inviolata e pura.
E fu nostra ventura,
e providenza del superno Iddio,
ch'in sí gran regno, a sí gran re t'unio,
{{R|70}}perché del suo splendore e del tuo seme
risorgesse la speme
della tua Flora e dell'Italia tutta.
Che se mai raggio suo ver' lei si stende
(benché serva e distrutta),
{{R|75}}ancor salute e libertá n'attende.
 
Vera Minerva, e veramente nata
Line 101 ⟶ 102:
ch'ora è figlia e sorella
di regi illustri, e ne fia madre e sposa.
{{R|80}}Vergine, che di gloria incoronata,
quasi lunge dal sol propizia stella,
ti stai d'amor rubella,
per dar piú luce a questa notte ombrosa.
Viva perla, serena e preziosa,
{{R|85}}qual ha Febo di te cosa piú degna?
per te vive, in te regna;
col tuo sfavilla il suo bel lume tanto
ch'ogni cor arde, e 'l mio ne sente un foco
tal ch'io ne volo e canto
{{R|90}}infra i tuoi cigni, e son tarpato e roco.
 
Evvi ancor Cintia, e v'era Endimione:
Line 117 ⟶ 118:
se 'l fior che per lei crebbe,
oimè non l'era (e 'n su l'aprirsi) anciso!
{{R|95}}Ma che, se legge a morte amore impone?
se spento, ha quel che (piú vivendo) avrebbe?
se 'l morir non l'increbbe,
per viver sempre, e non da lei diviso?
Quante poi, dolci il core e liete il viso,
{{R|100}}v'hanno Ciprigne e dive altre simíli?
quanti forti e gentili,
che si fan, bene oprando, al ciel la via?
e se pur non son dèi, qual altra gente
è che piú degna sia
{{R|105}}o di clava o di tirso o di tridente?
 
Canzon, se la virtù, se i chiari gesti
Line 133 ⟶ 134:
l'alme di ch'io ragiono.
Tu lor queste di fiori umili offerte
{{R|110}}porgi in mia vece, e di': - Se non son elle
d'oro e di gemme inserte,
son di voi stessi, e saran poi di stelle.