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Versione delle 20:10, 22 mar 2020


atto secondo 31

d’una spedizione contro la Polonia, ma che, ben riguardate trovaronsi dirette contro Vostra Maestà. Sdegnato che si abusasse così dell’età sua e de’ suoi mali, fece significare i suoi comandi a Fortebraccio, che, intimorito dalle minaccie del re, si sottomise giurando che non avrebbe mai più alzate le armi contro di voi. Il vecchio re, compiaciuto della di lui promessa, gli ha assegnato tre mila scudi di rendita, concedendogli di capitanar le schiere levate da lui contro la Polonia. Ora ei vi prega di dar libero passaggio pei vostri Stati a quell’esercito, sotto le garanzie di sicurezza che stan qui notate.     (dandogli un foglio)

Re. V’acconsento volontieri; leggerò questo scritto quando avrò tempo di esaminarlo e di pensare alla risposta che vi debbo fare. Per ora vi ringrazio delle cure che con tanto buon successo vi addossaste. Ite a riposarvi; questa sera farete parte della mia festa; vi riveggo con vero diletto.

(escono Voltimando e Cornelio)

Pol. Questa bisogna è felicemente compiuta. Signore, e voi madonna, far lunghi discorsi per saper ciò che esiga la maestà dei re, i dritti dei sudditi; perchè il giorno sia giorno, la notte notte, il tempo tempo, sarebbe spendere invano e tempo e giorno e notte. Dunque, poichè la concisione è l’anima dello spirito, e nulla è più mortale delle circonlocuzioni e delle perifrasi, sarò breve. — Il vostro nobile figlio è demente: demente oso dirlo; perocchè la follia, a ben definirla, altro non è che insensatezza. Ma lasciamo ciò.

Reg. Più cose e meno arte.

Pol. Signora, vi giuro che alcuna non ne adopero. Che insensato ei sia, è pretta verità: verità è che tal cosa è dolorosa, e doloroso che tal cosa sia vera. Frivola è l’antitesi! Obbliamola, perocchè adoperar non voglio alcuna arte. Conveniamo perciò che è insensato; resta ora a penetrarsi la cagione di tal effetto; perocchè questo effetto, o direi meglio difetto, ha una cagione. Ora badate a quel che rimane; a quel che mi rimane da dire; seguitemi con attenzione. — Ho una figlia (l’ho finchè mi appartiene) che per dovere ed obbedienza mi ha data questa lettera; uditela e concludete. «Alla celeste, alla vaghissima della mia anima, alla divina Ofelia». La frase ne è cattiva; ma badate al resto «Al di lei candido seno questi ecc.».

Reg. Le fu addirizzata da Amleto tal lettera?

Pol. Aspettate, buona signora: sarò fedele, (legge) «Dubita che le stelle sian di fuoco; dubita che il sole si muova; dubita che la verità sia verità, ma non dubitar del mio amore».