Pagina:Alfieri, Vittorio – Tragedie postume, 1947 – BEIC 1726528.djvu/36: differenze tra le versioni

Stato della paginaStato della pagina
-
Pagine SAL 50%
+
Pagine SAL 75%
Corpo della pagina (da includere):Corpo della pagina (da includere):
Riga 1: Riga 1:
<poem>
<poem>
Per ischernirti, o sorte, assai m’avanza
Per ischernirti, o sorte, assai m’avanza
quando restami un ferro a darmi morte.<ref>1790. Ponendo, ''o sorte'', in fin del primo, questi due versi non sarebbero;
quando restami un ferro a darmi morte.<ref>1790. Ponendo, ''o sorte'', in fin del primo, questi due versi non sarebbero cattivi in un’ottava: e qui son pessimi per la loro trivialitá, e uniformità di armonia.</ref>
cattivi in un’ottava: e qui son pessimi per la loro trivialitá, e uniformità di armonia.</ref>
</poem>
</poem>
{{ct|f=100%|l=30em|t=2|v=1|SCENA QUINTA<ref name="pag36">1790, Maggio. Per mio divertimento. — A voler provare cosa operi la locuzione,
{{ct|f=100%|l=30em|t=2|v=1|SCENA QUINTA<ref name="pag36">1790, Maggio. Per mio divertimento. — A voler provare cosa operi la locuzione, ho rifatto il piú de' versi di questa scena senza mutarvi un pensiero; e ciascuno giudichi quale sia l’influenza dello stile.
ho rifatto il piú de' versi di questa scena senza mutarvi un pensiero; e ciascuno giudichi quale sia l’influenza dello stile.


{{outdent
{{outdent
Riga 11: Riga 9:


{{outdent
{{outdent
|''Antonio''{{gap}}Da che fra noi si bipartiva il mondo,<br>e ch’io Roma lasciava, il ciel ne attesto,<br>altro che pace io non bramai. Ma. noto<br>troppo ben t’è. qual rimaneasi Roma<br>da che inondata di romano sangue<br>l’ebbero e Mario e Silla. Ah! da quel giorno<br>non fu piú Roma. Ogni virtú sua prima<br>scemar vedendo, al troppo vasto impero<br>ella indarno volgea gli attonit’occhi;<br>che al troppo grave peso era pur forza<br>che soggiacesse da se stessa vinta.<br>Non nasco io no tiranno; in petto un’alma<br>Romana io vanto; inutil pregio, allora<br>che più Roma non è! Cesare vivo,<br>non isdegnai d'esser a lui secondo<br>ma il mondo intero ei debellato avea;<br>e adorno il crine d’immortali allori,<br>ebbe a vile il diadema. Ahi, di tant’uomo<br>indegna orrida morte! inique spade<br>troncaro i giorni suoi: ma almen non giacque<br>inulto ei, no: di Grecia e d’Asia i campi<br>il san per me, se n’irrigò la tomba<br>più sangue assai che pianto. Allor, le antiche<br>mie vittoi e, il mio lustro. e gli anni miei,<br>tutto allor mi fea di Roma il primo;<br>e allor di Ottavio esser pur volli io pari.<br>L’armi poscia impugnai, quel di ch’io vidi,<br>a certa prova, che me ugual sdegnavi.
|''Antonio''{{gap}}Da che fra noi si bipartiva il mondo,<br>e ch’io Roma lasciava, il ciel ne attesto,<br>altro che pace io non bramai. Ma, noto<br>troppo ben t’è, qual rimaneasi Roma<br>da che inondata di romano sangue<br>l’ebbero e Mario e Silla. Ah! da quel giorno<br>non fu piú Roma. Ogni virtú sua prima
|6}}</ref>
|6}}</ref>
}}
}}