La Città del Sole (1995): differenze tra le versioni

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'''Dialogo poetico'''
 
''Interlocutori''<br />
''Ospitalario''<br />
''e''<br />
''Genovese nocchiero del Colombo''
</div>
 
''';Ospitalario'''
:Dimmi, di grazia, tutto quello che t'avvenne in questa navigazione.
''';Genovese'''
:Già t'ho detto come girai il mondo tutto e poi come arrivai alla Taprobana, e fui forzato metter in terra, e poi, fuggendo la furia di terrazzani, mi rinselvai, ed uscii in un gran piano proprio sotto l'equinoziale.
 
''';Ospitalario'''
:Qui che t'occorse?
 
''';Genovese'''
:Subito incontrai un gran squadrone d'uomini e donne armate, e molti di loro intendevano la lingua mia, li quali mi condussero alla Città del Sole.
 
''';Ospitalario'''
:Di', come è fatta questa città? e come si governa?
 
''';Genovese'''
:Sorge nell'alta campagna un colle, sopra il quale sta la maggior parte della città; ma arrivano i suoi giri molto spazio fuor delle radici del monte, il quale è tanto, che la città fa due miglia di diametro e più, e viene ad essere sette miglia di circolo; ma, per la levatura, più abitazioni ha, che si fosse in piano.
 
Riga 55:
:Nella sommità del monte vi è un gran piano ed un gran tempio in mezzo, di stupendo artifizio.
 
''';Ospitalario'''
:Di', di' mo, per vita tua.
 
''';Genovese'''
:Il tempio è tondo perfettamente, e non ha muraglia che lo circondi; ma sta situato sopra colonne grosse e belle assai. La cupola grande ha in mezzo una cupoletta con uno spiraglio, che pende sopra l'altare, ch'è uno solo e sta nel mezzo del tempio. Girano le colonne trecento passi e più, e fuor delle colonne della cupola vi son per otto passi li chiostri con mura poco elevate sopra le sedie, che stan d'intorno al concavo dell'esterior muro, benché in tutte le colonne interiori, che senza muro fraposto tengono il tempio insieme, non manchino sedili portatili assai.
 
Riga 67:
:Vi è sopra la cupola una banderuola per mostrare i venti, e ne signano trentasei; e sanno quando spira ogni vento che stagione porta. E qui sta anco un libro in lettere d'oro di cose importantissime.
 
''';Ospitalario'''
:Per tua fé dimmi tutto il modo del governo, ché qui t'aspettavo.
 
''';Genovese'''
:E' un Principe Sacerdote tra loro, che s'appella Sole, e in lingua nostra si dice Metafisico: questo è capo di tutti in spirituale e temporale, e tutti li negozi in lui si terminano.
 
Riga 97:
:Il Metafisico tratta tutti questi negozi con loro, ché senza lui nulla si fa, ed ogni cosa la communicano essi quattro, e dove il Metafisico inchina, son d'accordo.
 
''';Ospitalario'''
:Or dimmi degli offizi e dell'educazione e del modo come si vive; si è republica o monarchia o stato di pochi.
 
''';Genovese'''
:Questa è una gente ch'arrivò là dall'Indie, ed erano molti filosofi, che fuggiro la rovina di Mogori e d'altri predoni e tiranni; onde si risolsero di vivere alla filosofica in commune, si ben la communità delle donne non si usa tra le genti della provinzia loro; ma essi l'usano, ed è questo il modo. Tutte cose son communi; ma stan in man di offiziali le dispense, onde non solo il vitto, ma le scienze e onori e spassi son communi, ma in maniera che non si può appropriare cosa alcuna.
 
:Dicono essi che tutta la proprietà nasce da far casa appartata, e figli e moglie propria, onde nasce l'amor proprio; ché per sublimar a ricchezze o a dignità il figlio o lasciarlo erede, ognuno diventa o rapace publico, se non ha timore, sendo potente; o avaro ed insidioso ed ippocrita, si è impotente. Ma quando perdono l'amor proprio, resta il commune solo.
 
''';Ospitalario'''
:Dunque nullo vorrà fatigare, mentre aspetta che l'altro fatighi, come Aristotile dice contra Platone.
 
''';Genovese'''
:Io non so disputare, ma ti dico c'hanno tanto amore alla patria loro, che è una cosa stupenda, più che si dice delli Romani, quanto son più spropriati. E credo che li preti e monaci nostri, se non avessero li parenti e li amici, o l'ambizione di crescere più a dignità, seriano più spropriati e santi e caritativi con tutti.
 
''';Ospitalario'''
:Dunque là non ci è amicizia, poiché non si fan piacere l'un l'altro.
 
''';Genovese'''
:Anzi grandissima: perché è bello a vedere, che tra loro non possono donarsi cosa alcuna, perché tutto hanno del commune, e molto guardano gli offiziali, che nullo abbia più che merita. Però quanto è bisogno tutti l'hanno. E l'amico si conosce tra loro nelle guerre, nell'infirmità, nelle scienze, dove s'aiutano e s'insegnano l'un l'altro. E tutti li gioveni s'appellan frati e quei che son quindici anni più di loro, padri, e quindici meno figli. E poi vi stanno l'offiziali a tutte cose attenti, che nullo possa all'altro far torto nella fratellanza.
 
''';Ospitalario'''
:E come?
 
''';Genovese'''
:Di quante virtù noi abbiamo, essi hanno l'offiziale: ci è un che si chiama Liberalità, un Magnanimità, un Castità, un Fortezza, un Giustizia, criminale e civile, un Solerzia, un Verità, Beneficienza, Gratitudine, Misericordia, ecc.; e a ciascuno di questi si elegge quello, che da fanciullo nelle scole si conosce inclinato a tal virtù. E però, non sendo tra loro latrocini, né assassinii, né stupri ed incesti, adultèri, delli quali noi ci accusamo, essi si accusano d'ingratitudine, di malignità, quando un non vuol far piacere onesto, di bugia, che abborriscono più che la peste; e di questi rei per pena son privati della mensa commune, o del commerzio delle donne, e d'alcuni onori, finché pare al giudice, per ammendarli.
 
''';Ospitalario'''
:Or dimmi, come fan gli offiziali?
 
''';Genovese'''
:Questo non si può dire, se non sai la vita loro. Prima è da sapere che gli uomini e le donne vestono d'un modo atto a guerreggiare, benché le donne hanno la sopravveste fin sotto al ginocchio, e l'uomini sopra.
 
Riga 133:
:Gli offiziali poi s'eleggono da quelli quattro capi, e dalli mastri di quell'arte, li quali molto bene sanno chi è più atto a quell'arte o virtù, in cui ha da reggere, e propongono in Consiglio, e ognuno oppone quel che sa di loro. Però non può essere Sole se non quello che sa tutte l'istorie delle genti e riti e sacrifizi e republiche ed inventori di leggi ed arti. Poi bisogna che sappia tutte l'arti meccaniche, perché ogni due giorni se n'impara una, ma l'uso qui le fa saper tutte, e la pittura. E tutte le scienze ha da sapere, matematiche, fisiche, astrologiche. Delle lingue non si cura, perché ha l'interpreti, che son i grammatici loro. Ma più di tutti bisogna che sia Metafisico e Teologo, che sappia ben la radice e prova d'ogni arte e scienza, e le similitudini e differenze delle cose, la Necessità, il Fato, e l'Armonia del mondo, la Possanza, Sapienza e Amor divino e d'ogni cosa, e li gradi degli enti e corrispondenze loro con le cose celesti, terrestri e marine, e studia molto bene nei Profeti ed astrologia. Dunque si sa chi ha da esser Sole, e se non passa trentacinque anni, non arriva a tal grado; e questo offizio è perpetuo, mentre non si trova chi sappia più di lui e sia più atto al governo.
 
''';Ospitalario'''
:E chi può saper tanto? Anzi non può saper governare chi attende alle scienze.
 
''';Genovese'''
:Io dissi a loro questo, e mi risposero: "Più certi semo noi, che un tanto letterato sa governare, che voi che sublimate l'ignoranti, pensando che siano atti perché son nati signori, o eletti da fazione potente. Ma il nostro Sole sia pur tristo in governo, non sarà mai crudele, né scelerato, né tiranno un chi tanto sa. Ma sappiate che questo è argomento che può tra voi, dove pensate che sia dotto chi sa più grammatica e logica d'Aristotile o di questo o quello autore; al che ci vol sol memoria servile, onde l'uomo si fa inerte, perché non contempla le cose ma li libri, e s'avvilisce l'anima in quelle cose morte; né sa come Dio regga le cose, e gli usi della natura e delle nazioni. Il che non può avvenire al nostro Sole, perché non può arrivare a tante scienze chi non è scaltro d'ingegno ad ogni cosa, onde è sempre attivissimo al governo. Noi pur sappiamo che chi sa una scienza sola, non sa quella né l'altre bene; e che colui che è atto a una sola, studiata in libro, è inerte e grosso. Ma non così avviene alli pronti d'ingegno e facili ad ogni conoscenza, come è bisogno che sia il Sole. E nella città nostra s'imparano le scienze con facilità tale, come tu vedi, che più in un anno qui si sa, che in diece o quindici tra voi, e mira in questi fanciulli."
 
Riga 143:
:Li tre offiziali primi non bisogna che sappiano se non quell'arti che all'offizio loro partengono. Onde sanno l'arti communi a tutti, istoricamente imparandole, e poi le proprie, dove più si dà uno che un altro: così il Potestà saperà l'arte cavalieresca, fabricar ogni sorte d'armi, cose di guerra, machine, arte militare, ecc. Ma tutti questi offiziali han d'essere filosofi, e più, ed istorici, naturalisti ed umanisti.
 
''';Ospitalario'''
:Vorrei che dicessi l'offizi tutti, e li distinguessi; e s'è bisogno l'educazion commune.
 
''';Genovese'''
:Sono prima le stanze communi, dormitori, letti e bisogni; ma ogni sei mesi si distinguono dalli mastri, chi ha da dormire in questo girone o in quell'altro, e nella stanza prima o seconda, notate per alfabeto.
 
Riga 161:
:Negli atri di fuora son orologi di sole e di squille per tutti i gironi, e banderuole per saper i venti.
 
''';Ospitalario'''
:Or dimmi della generazione.
 
''';Genovese'''
:Nulla femina si sottopone al maschio, se non arriva a dicinov'anni né maschio si mette alla generazione inanti alli vintiuno, e più si è di complessione bianco. Nel tempo inanti è ad alcuno lecito il coito con le donne sterili o pregne, per non far in vaso indebito; e le maestre matrone con gli seniori della generazione han cura di provederli, secondo a loro è detto in secreto da quelli più molestati da Venere. Li provedono, ma non lo fanno senza far parola al maestro maggiore, che è un gran medico, e sottostà ad Amore, Prencipe offiziale. Se si trovano in sodomia, sono vituperati, e li fan portare due giorni legata al collo una scarpa, significando che pervertiro l'ordine e posero li piedi in testa, e la seconda volta crescen la pena finché diventa capitale. Ma chi si astiene fin a ventun anno d'ogni coito è celebrato con alcuni onori e canzoni.
 
Riga 173:
:Li nomi loro non si mettono a caso, ma dal Metafisico, secondo la proprietà, come usavan li Romani: onde altri si chiamano il Bello, altri il Nasuto, altri il Peduto, altri Bieco, altri Crasso, ecc.; ma quando poi diventano valenti nell'arte loro o fanno qualche prova in guerra, s'aggiunge il cognome dall'arte, come Pittor Magno, Aureo, Eccellente, Gagliardo, dicendo Crasso Aureo, ecc.; o pur dall'atto dicendo: Crasso Forte, Astuto, Vincitore, Magno Massimo, ecc., e dal nemico vinto, come Africano, Asiano, Tosco, ecc.; Manfredi, Tortelio dall'aver superato Manfredi o Tortelio o simili altri. e questi cognomi s'aggiungono dall'offiziali grandi, e si donano conveniente all'atto o arte sua, con applauso e musica. E si vanno a perdere per questi applausi, perché oro e argento non si stima, se non come materia di vasi o di guarnimenti communi a tutti.
 
''';Ospitalario'''
:Non ci è gelosia tra loro o dolore a chi non sia fatto generatore o quel che ambisce?
 
''';Genovese'''
:Signor no, perché a nullo manca il necessario loro quanto al gusto; e la generazione è osservata religiosamente per ben pubblico, non privato, ed è bisogno stare al detto dell'offiziali. Platone disse che si dovean gabbare li pretendenti a belle donne immeritatamente, con far uscir la sorte destramente secondo il merito; il che qui non bisogna far con inganno di ballotte per contentarsi delle brutte i brutti, perché tra loro non ci è bruttezza; ché esercitandosi esse donne, diventano di color vivo e di membra forti e grandi, e nella gagliardia e vivezza e grandezza consiste la beltà appresso a loro. Però è pena di vita imbellettarsi la faccia, o portar pianelle, o vesti con le code per coprir i piedi di legno, ma non averiano commodità manco di far questo, perché chi ci li daria? E dicono che questo abuso in noi viene dall'ozio delle donne, che le fa scolorite e fiacche e piccole; e però han bisogno di colori ed alte pianelle, e di farsi belle per tenerezza, e così guastano la propria complessione e della prole. Di più, s'uno s'innamora di qualche donna, è lecito tra loro parlare, far versi, scherzi, imprese di fiori e di piante. Ma se si guasta la generazione, in nullo modo si dispensa tra loro il coito, se non quando ella è pregna o sterile. Però non si conosce tra loro se non amor d'amicizia per lo più, non di concupiscenza ardente.
 
Riga 183:
:Dicono ancora che la povertà grande fa gli uomini vili, astuti, ladri, insidiosi, fuorasciti, bugiardi, testimoni falsi; e le ricchezze insolenti, superbi, ignoranti, traditori, disamorati, presumitori di quel che non sanno. Però la communità tutti li fa ricchi e poveri: ricchi, ch'ogni cosa hanno e possedono; poveri, perché non s'attaccano a servire alle cose, ma ogni cosa serve a loro. E molto laudano in questo le religioni della cristianità e la vita dell'Apostoli.
 
''';Ospitalario'''
:E' bella cosa questa e santa; ma quella delle donne communi pare dura e ardua. S. Clemente Romano dice che le donne pur sian communi, ma la glosa intende quanto all'ossequio, non al letto, e Tertulliano consente alla glosa; ché i Cristiani antichi tutto ebbero commune, altro che le mogli, ma queste pur furo communi nell'ossequio.
 
''';Genovese'''
:Io non so di questo; e ben so che essi han l'ossequio commune delle donne e 'l letto, ma non sempre, se non per generare. E credo che si possano ingannare ancora; ma essi si difendono con Socrate, Catone, Platone ed altri. Potria stare che lasciassero quest'uso un giorno, perché nelle città soggette a loro non accomunano se non le robbe, e le donne quanto all'ossequio ed all'arti, ma non al letto; e questo l'ascrivono all'imperfezione di quelli che non ha filosofato. Però vanno spiando di tutte nazioni l'usanze, e sempre migliorano; e quando sapranno le ragioni vive del cristianesimo provate con miracoli, consentiranno, perché son dolcissimi. Ma fin mo trattano naturalmente senza fede rivelata; né ponno a più sormontare.
 
:Di più questo è bello, che fra loro non ci è difetto che faccia l'uomo ozioso, se non l'età decrepita, quando serve solo per consiglio. Ma chi è zoppo serve alle sentinelle con gli occhi; chi non ha occhi serve a carminar la lana e levar il pelo dal nervo delle penne per li matarazzi, chi non ha mani, ad altro esercizio; e se un membro solo ha, con quello serve nelle ville, e son governati bene, e son spie che avvisano alla republica ogni cosa.
 
''';Ospitalario'''
:Di' mo della guerra; ché poi dell'arti e vitto mi dirai, poi delle scienze, e al fine della religione.
 
''';Genovese'''
:Il Potestà tiene sotto di sé un offiziale dell'armi, un altro dell'artellaria, un delli cavalieri, un delli ingegneri; ed ognuno di questi ha sotto di sé molti capi mastri di quell'arte. Ma di più ci sono gli atleti, che a tutti insegnano l'esercizio della guerra. Questi sono attempati, prudenti capitani, che esercitano li gioveni e di dodici anni in suso all'arme; benché prima nella lotta e correre e tirar pietre erano avvezzi da mastri inferiori. Or questi insegnano a ferire, a guadagnar l'inimico con arte, a giocar di spada, di lancia, a saettare, a cavalcare, a seguire, a fuggire, a star nell'ordine militare. E le donne pure imparano queste arti sotto maestre e mastri loro, per quando fusse bisogno aiutar gli uomini nelle guerre vicine alla città; e, se venisse assalto, difendono le mura. Onde ben sanno sparar l'archibugio, far balle, gittar pietre, andar incontro. E si sforzano t“r da loro ogni timore, ed hanno gran pene quei che mostran codardia. Non temono la morte, perché tutti credono l'immortalità dell'anima, e che, morendo, s'accompagnino con li spiriti buoni e rei, secondo li meriti. Benché essi siano stati Bragmani Pitagorici, non credono trasmigrazione d'anima, se non per qualche giudizio di Dio. né s'astengono di ferir il nemico ribello della ragione, che non merita esser uomo.
 
:Fanno la mostra ogni dui mesi, ed ogni giorno ci è l'esercizio dell'arme, o in campagna, cavalcando, o dentro, ed una lezione d'arte militare, e fanno sempre leggere l'istorie di Cesare, d'Alessandro, di Scipione e d'Annibale, e poi donano il giudizio loro quasi tutti, dicendo: "Qui fecero bene, qui male"; e poi risponde il mastro e determina.
 
''';Ospitalario'''
:Con chi fan le guerre? e per che causa, se son tanto felici?
 
''';Genovese'''
:Se mai non avessero guerra, pure s'esercitano all'arte di guerra ed alla caccia per non impoltronire e per quel che potria succedere. Di più, vi son quattro regni nell'isola, li quali han grande invidia della felicità loro, perché li popoli desiderariano vivere come questi Solari, e vorriano star più soggetti ad essi, che non a' propri regi. Onde spesso loro è mossa guerra, sotto color d'usurpar confini e di viver empiamente, perché non sequeno le superstizioni di Gentili, né dell'altri Bragmani; e spesso li fan guerra, come ribelli che prima erano soggetti. E con tutto questo perdono sempre. Or essi Solari, subito che patiscono preda, insulto o altro disonore, o son travagliati l'amici loro, o pure son chiamati d'alcune città tiranneggiate come liberatori, essi si mettono a consiglio, e prima s'inginocchiano a Dio e pregano che li faccia ben consigliarsi, poi s'esamina il merito del negozio, e così si bandisce la guerra. Mandano un sacerdote detto il Forense: costui dimanda a' nemici che rendano il tolto o lascino la tirannia; e se quelli negano, li bandiscono la guerra., chiamando Dio delle vendette a testimonio contra di chi ha il torto; e si quelli prolungano il negozio, non li danno tempo, si è re, più d'un ora, si è republica, tre ore a deliberar la risposta, per non esser burlati; e così si piglia la guerra, se quelli son contumaci alla ragione. Ma dopo ch'è pigliata, ogni cosa esequisce il locotenente del Potestà; ed esso comanda senza consiglio d'altri; ma si è cosa di momento, domanda il Amor e 'l Sapienza e 'l Sole. Si propone in Consiglio grande, dove entra tutto il popolo di venti anni in su, e le donne ancora, e si dichiara la giustizia dell'impresa dal Predicatore, e mettono in ordine ogni cosa.
 
Riga 219:
:Perdonano volentieri a' nemici e dopo la vittoria li fanno bene. Se gettano mura o vogliono occider i capi o altro danno a' vinti, tutto fanno in un giorno, e poi li fanno bene, e dicono che non si deve far guerra se non per far gli uomini buoni, non per estinguerli. Se tra loro ci è qualche gara d'ingiuria o d'altro, perché essi non contendono se non di onore, il Principe ed i suoi offiziali puniscono il reo secretamente, s'incorse ad ingiuria di fatto dopo le prime ire; se di parole, aspettano in guerra a diffinirle, dicendo che l'ira si deve sfogare contra l'inimici. E chi fa poi in guerra più atti eroici, quello è tenuto c'abbia raggione nell'onoranza, e l'altro cede. Ma nelle cose del giusto ci son le pene; però in duello di mano non ponno venire, e chi vuol mostrarsi megliore, faccilo in guerra publica.
 
''';Ospitalario'''
:Bella cosa per non fomentar fazioni a roina della patria e schifar le guerre civili, onde nasce il tiranno, come fu in Roma e Atene. Narra or, ti prego, dell'artifici loro.
 
''';Genovese'''
:Devi avere inteso come commune a tutti è l'arte militare, l'agricoltura, la pastorale; ch'ognuno è obbligato a saperle, e queste son le più nobili tra loro; ma chi più arti sa, più nobile è, e nell'esercitarla quello è posto, che è più atto. L'arti fatigose, ed utili son di più laude, come il ferraro, il fabricatore; e non si schifa nullo a pigliarle, tanto più che nella natività loro si vede l'inclinazione, e tra loro, per lo compartimento delle fatiche, nullo viene a participar fatica destruttiva dell'individuo, ma solo conservativa. L'arti che sono di manco fatica son delle femine. Le speculative son di tutti, e chi più è eccellente si fa lettore; e questo è più onorato che nelle meccaniche, e si fa sacerdote. Saper natare è a tutti necessario, e ci sono a posta le piscine fuor delle fosse della città, e dentro vi son le fontane.
 
Riga 235:
:Hanno anche gran secreti di fuochi artifiziali per le guerre marine e terrestri, e stratagemme, che mai non restan di vincere.
 
''';Ospitalario'''
:Che e come mangiano? e quanto è lunga la vita loro?
 
''';Genovese'''
:Essi dicono che prima bisogna mirar la vita del tutto e poi delle parti; onde quando edificaro la città, posero i segni fissi nelli quattro angoli del mondo. Il Sole in ascendente in Leone, e Giove in Leone orientale dal Sole, e Mercurio e Venere in Cancro, ma vicini, che facean satellizio; Marte nella nona in Ariete, che mirava di sua casa con felice aspetto l'ascendente e l'afeta. e la Luna in Tauro, che mirava di buono aspetto Mercurio e Venere, e non facea aspetto quadrato al Sole. Stava Saturno entrando nella quarta, senza far malo aspetto a Marte ed al Sole. La Fortuna con il capo di Medusa in decima quasi era, onde essi s'augurano signoria, fermezza e grandezza. E Mercurio, sendo in buono aspetto di Vergine e nella triplicità dell'asside suo, illuminato dalla Luna, non può esser tristo; ma, sendo gioviale, la scienza loro non mendica; poco curando d'aspettarlo in Vergine e la congiunzione.
 
Riga 245:
:Tra loro non ci è podagre, né chiragre, né catarri, né sciatiche, né doglie coliche, né flati, perché questi nascono dalla distillazione ed inflazione, ed essi per l'esercizio purgano ogni flato ed umore. Onde è tenuto a vergogna che uno si vegga sputare, dicendo che questo nasce da poco esercizio, da poltroneria o da mangiar ingordo. Patiscono più tosto d'infiammazioni e spasmi secchi alli quali con la copia del buon cibo e bagni sovvengono; ed all'etica con bagni dolci e latticini, e star in campagne amene in bello esercizio. Morbo venereo non può allignare, perché si lavano spesso li corpi con vino ed ogli aromatici; e il sudore anche leva quell'infetto vapore, che putrefà il sangue e le midolle. né tisici si fanno, per non essere distillazione che cali al petto, e molto meno asma, poiché umor grosso ci vuole a farla. Curano le febri ardenti con acqua fresca, e l'efimere solo con odori e brodi grassi o con dormire o con suoni ed allegrie; le terzane con levar sangue e con reubarbaro o simili attrattivi, e con bevere acque di radici d'erbe purganti ed acetose. Di rado vengono a medicina purgante. Le quartane son facili a sanare per paure sùbite, per erbe simili all'umore od opposite; e mi mostraro certi secreti mirabili di quelle. Delle continue tengono conto assai, e fanno osservanza di stelle e d'erbe, e preghiere a Dio per sanarle. Quintane, ottane, settane poche si trovano, dove non ci sono umori grossi. Usano li bagni e l'olei all'usanza antica, e ci trovaro molti più secreti per star netto, sano, gagliardo. Si sforzano con questi ed altri modi aiutarsi contra il morbo sacro che ne pateno spesso.
 
''';Ospitalario'''
:Segno d'ingegno grande, onde Ercole, Socrate, Macometto, Scoto e Callimaco ne patiro.
 
''';Genovese'''
:E s'aiutano con preghiere al cielo e con odori e confortanti della testa e cose acide ed allegrezze e brodi grassi, sparsi di fiori di farina. Nel condir le vivande non han pari: pongono macis, mele, butiro e con aromati assai, che ti confortano gradevolmente. Non beveno annevato, come i Napolitani, neanche caldo, come li Chinesi, perché non han bisogno d'aiutarsi contra l'umori grossi in favor del natio calore, ma lo confortano con aglio pesto ed aceto, serpillo, menta, basilico, l'estate e nella stanchezza; né contra il soverchio calor dell'aromati aumentato, perché non escono di regola. Hanno pur un secreto di rinovar la vita ogni sette anni, senza afflizione, con bell'arte.
 
''';Ospitalario'''
:Non hai ancora detto delle scienze e degli offiziali.
 
''';Genovese'''
:Sì, ma poiché sei tanto curioso, ti dirò più. Ogni nove luna ed ogni opposizione sua fanno Consiglio dopo il sacrifizio; e qui entrano tutti di venti anni in suso, e si dimanda ad ognuno che cosa manca alla città, e chi offiziale è buono e chi è tristo. Dopo ogn'otto dì, si congregano tutti gli offiziali, che con il Sole, Pon, Sir, Mor; ed ognun di questi ha tre offiziali sotto di sé che son tredici, ed ognun di questi tre altri, che son tutti quaranta; e quelli han l'offizi dell'arti convenienti a loro, il Potestà della milizia, il Sapienza delle scienze, il Amore del vitto, generazione e vestito ed educazione; e li mastri d'ogni squadra, cioè caporioni, decurioni, centurioni sì delle donne come degli uomini. E si ragiona di quel che bisogna al publico, e si eleggon gli offiziali, pria nominati in Consiglio grande. Dopo ogni dì fa consiglio Sole e li tre Principi delle cose occorrenti, e confirmano e conciano quel che si è trattato nell'elezione e gli altri bisogni. Non usano sorti, se non quando son dubbi in modo che non sanno a qual parte pendere. Questi offiziali si mutano secondo la volontà del popolo inchina, ma li quattro primi no, se non quando essi stessi, per consiglio fatto tra loro, cedono a chi veggono saper più di loro, ed aver più purgato ingegno; e son tanto docili e buoni, che volentieri cedeno a chi più sa ed imparano da quelli; ma questo è di rado assai.
 
Riga 269:
:Le leggi son pochissime, tutte scritte in una tavola di rame alla porta del tempio, cioè nelle colonne, nelle quali ci son scritte tutte le quiddità delle cose in breve: che cosa è Dio, che cosa è angelo, che cosa è mondo, stella, uomo, ecc., con gran sale, e d'ogni virtù la diffinizione. E li giudici d'ogni virtù hanno la sedia in quel loco, quando giudicano, e dicono: "Ecco, tu peccasti contra questa diffinizione: leggi"; e così poi lo condanna o d'ingratitudine o di pigrizia o d'ignoranza; e le condanne son certe vere medicine, più che pene, e di soavità grande.
 
''';Ospitalario'''
:Or dire ti bisogna delli sacerdoti e sacrifizi e credenza loro.
 
''';Genovese'''
:Sommo sacerdote è il Sole; e tutti gli offiziali son sacerdoti, parlando delli capi, ed offizio loro è purgar le conscienze. Talché tutti si confessano a quelli, ed essi imparano che sorti di peccati regnano. E si confessano alli tre maggiori tanto li peccati propri, quanto gli strani in genere, senza nominare gli peccatori, e li tre poi si confessano al Sole. Il quale conosce che sorti di errori corrono e sovviene alli bisogni della città e fa a Dio sacrifizio ed orazioni, a cui esso confessa li peccati suoi e di tutto il popolo publicamente in su l'altare, ogni volta che sia necessario per amendarli, senza nominar alcuno. E così assolve il popolo, ammonendo che si guardi in quelli errori, e confessa i suoi in publico e poi fa sacrifizio a Dio, che voglia assolvere tutta la città ed ammaestrarla e difenderla. Il sacrifizio è questo, che dimanda al popolo chi si vol sacrificare per gli suoi membri, e così un di quelli più buoni si sacrifica. E 'l sacerdote lo pone sopra una tavola, che è tenuta da quattro funi, che stanno a quattro girelle della cupola, e, fatta l'orazione a Dio che riceva quel sacrifizio nobile e voluntario umano (non di bestie involuntarie, come fanno i Gentili), fa tirar le funi; e questo saglie in alto alla cupoletta e qui si mette in orazione; e li si dà da magnare parcamente, sino a tanto che la città è espiata. Ed esso con orazioni e digiuni prega Dio, che riceva il pronto sacrifizio suo; e così, dopo venti o trenta giorni, placata l'ira di Dio, torna a basso per le parti di fuore o si fa sacerdote; e questo è sempre onorato e ben voluto, perché esso si dà per morto, ma Dio non vuol che mora.
 
Riga 301:
:Fanno metafisici princìpi delle cose l'ente, ch'è Dio, e 'l niente, ch'è il mancamento dell'essere, come condizione senza cui nulla si fa: perché non se faria si fosse, dunque non era quel che si fa. Dal correre al niente nasce il male e 'l peccato; però il peccatore si dice annichilarsi e il peccato ha causa deficiente, non efficiente. La deficienza è il medesimo che mancanza, cioè o di potere o di sapere o di volere, e in questo ultimo metteno il peccato. perché chi può e sa ben fare, deve volere, perché la volontà nasce da loro, ma non e contra. Qui ti stupisci ch'adorano Dio in Trinitate, dicendo ch'è somma Possanza, da cui procede somma Sapienza, e d'essi entrambi, sommo Amore. Ma non conosceno le persone distinte e nominate al modo nostro, perché non ebbero revelazione, ma sanno ch'in Dio ci è processione e relazione di sé a sé; e così tutte cose compongono di possanza, sapienza ed amore, in quanto han l'essere; d'impotenza, insipienza e disamore, in quanto pendeno dal non essere. E per quelle meritano, per queste peccano, o di peccato di natura nelli primi, o d'arte in tutti tre. E così la natura particolare pecca nel far mostri per impotenza o ignoranza. Ma tutte queste cose son intese da Dio potentissimo, sapientissimo ed ottimo, onde in lui nullo ente pecca e fuor di lui sì; ma non si va fuor di lui, se non per noi, non per lui, perché in noi la deficienza è, in lui l'efficienza. Onde il peccare è atto di Dio, in quanto ha essere ed efficienza; ma in quanto ha non essere e deficienza, nel che consiste la quidità d'esso peccare è in noi, ch'al non essere e disordine decliniamo.
 
''';Ospitalario'''
:Oh, come sono arguti!
 
''';Genovese'''
:S'io avesse tenuto a mente, e non avesse pressa e paura, io ti sfondacaria gran cose; ma perdo la nave, se non mi parto.
 
''';Ospitalario'''
:Per tua fé dimmi questo solo: che dicono del peccato d'Adamo?
 
''';Genovese'''
:Essi confessano che nel mondo ci sia gran corruttela, e che gli uomini si reggono follemente e non con ragione; e che i buoni pateno e i tristi reggono; benché chiamano infelicità quella loro, perché è annichilirsi il mostrarsi quel che non sei, cioè d'esser re, d'essere buono, d'esser savio, e non esser in verità. Dal che argomentano che ci sia stato gran scompiglio nelle cose umane, e stavano per dire con Platone, che li cieli prima giravano dall'occaso, là dove mo è il levante, e poi variano. Dissero anco che può essere che governi qualche inferior Virtù, e la prima lo permetta, ma questo pur stimano pazzia. Più pazzia è dire che prima resse Saturno bene, e poi Giove, e poi gli altri pianeti; ma confessano che l'età del mondo succedono secondo l'ordine di pianeti, e credeno che la mutanza degli assidi ogni mille anni o mille seicento variano il mondo. E questa nostra età par che sia di Mercurio, si bene le congiunzioni magne l'intravariano, e l'anomalie han gran forza fatale.
 
:Finalmente dicono ch'è felice il cristiano, che si contenta di credere che sia avvenuto per il peccato d'Adamo tanto scompiglio, e credono che dai padri a' figli corre il male più della pena che della colpa. Ma dai figli al padre torna la colpa, perché trascuraro la generazione, la fecero fuor di tempo e luoco, in peccato e senza scelta di genitori, e trascuraro l'educazione, ché mal l'indottrinaro. Però essi attendeno assai a questi due punti, generazione ed educazione; e dicono che la pena e la colpa redonda alla città, tanto de' figli, quanto de' padri; però non si vedeno bene e par che il mondo si regga a caso. Ma chi mira la costruzione del mondo, l'anatomia dell'uomo (come essi fan de' condannati a morte; anatomizzandoli) e delle bestie e delle piante, e gli usi delle parti e particelle loro, è forzato a confessare la providenza di Dio ad alta voce. Però si deve l'uomo molto dedicare alla vera religione, ed onorar l'autor suo; e questo non può ben fare chi non investiga l'opere sue e non attende a ben filosofare, e chi non osserva le sue leggi sante: "Quel che non vuoi per te non far ad altri, e quel che vuoi per te fa' tu il medesimo." Dal che ne segue, che si dai figli e dalle genti noi onor cercamo, alli quali poco damo, assai più dovemo noi a Dio, da cui tutto ricevemo, in tutto siamo e per tutto. Sia sempre lodato.
 
''';Ospitalario'''
:Se questi, che seguon solo la legge della natura, sono tanto vicini al cristianesimo, che nulla cosa aggiunge alla legge naturale si non i sacramenti, io cavo argumento di questa relazione che la vera legge è la cristiana, e che, tolti gli abusi, sarà signora del mondo. E che però gli Spagnuoli trovaro il resto del mondo, benché il primo trovatore fu il Colombo vostro genovese, per unirlo tutto ad una legge; e questi filosofi saran testimoni della verità, eletti da Dio. E vedo che noi non sappiamo quel che facemo, ma siamo instromenti di Dio. Quelli vanno per avarizia di danari cercando nuovi paesi, ma Dio intende più alto fine. Il sole cerca strugger la terra, non far piante ed uomini; ma Dio si serve di loro in questo. Sia laudato.
 
''';Genovese'''
:Oh, se sapessi che cosa dicono per astrologia e per l'istessi profeti nostri ed ebrei e d'altre genti di questo secolo nostro, c'ha più storia in cento anni che non ebbe il mondo in quattro mila; e più libri si fecero in questi cento che in cinque mila: e dell'invenzioni stupende della calamita e stampe ed archibugi, gran segni dell'union del mondo; e come, stando nella triplicità quarta l'asside di Mercurio a tempo che le congiunzioni magne si faceano in Cancro, fece queste cose inventare per la Luna e Marte, che in quel segno valeno al navigar novo, novi regni e nove armi. Ma entrando l'asside di Saturno in Capricorno, e di Mercurio in Sagittario, e di Marte in Vergine, e le congiunzioni magne tornando alla triplicità prima dopo l'apparizion della stella nova in Cassiopea, sarà grande monarchia nova, e di leggi riforma e d'arti, e profeti e rinovazione. E dicono che a' cristiani questo apporterà grand'utile; ma prima si svelle e monda, poi s'edifica e pianta.
 
Riga 325:
:Questo sappi, c'han trovato l'arte del volare, che sola manca al mondo, ed aspettano un occhiale di veder le stelle occulte ed un oricchiale d'udir l'armonia delli moti di pianeti.
 
''';Ospitalario'''
:Oh! oh! oh! mi piace. Ma Cancro è segno feminile di Venere e di Luna, e che può far di bene?
 
''';Genovese'''
:Essi dicono che la femina apporta fecondità di cose in cielo, e virtù manco gagliarda rispetto a noi aver dominio. Onde si vede che in questo secolo regnaro le donne, come l'Amazoni tra la Nubbia e 'l Monopotapa, e tra gli Europei la Rossa in Turchia, la Bona in Polonia, Maria in Ongheria, Elisabetta in Inghilterra, Catarina in Francia, Margherita in Fiandra, la Bianca in Toscana, Maria in Scozia, Camilla in Roma ed Isabella in Spagna, inventrice del mondo novo. E 'l poeta di questo secolo incominciò dalle donne dicendo: "Le donne, i cavalier, l'armi e l'amori." E tutti son maledici li poeti d'ogge per Marte; e per Venere e per la Luna parlano di bardascismo e puttanesmo. E gli uomini si effemminano e si chiamano "Vossignoria"; ed in Africa, dove regna Cancro, oltre l'Amazoni, ci sono in Fez e Marocco li bordelli degli effeminati publici, e mille sporchezze.
 
Riga 341:
:L'eresia è opera sensuale, come dice S. Paolo, e le stelle nelli sensuali inchinano a quella, nelli razionali alla vera legge santa della prima Raggione, sempre laudanda. Amen.
 
''';Ospitalario'''
:Aspetta, aspetta.
 
''';Genovese'''
:Non posso, non posso.