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SCENA QUARTA
Creonte, Giocasta, Antigone, Polinice.
Gi oc. Ah! vieni; ah! cTun tremendo
dubbio orribile trammi... Esser può mai?...
Dimmi...
- Creon.
- Letizia, e vera pace io porto:
donne, asciugate il ciglio. È Polinice
il nostro re. — Primo a prestarten vengo
l’omaggio...
- Polin.
- A me ne fia lo augurio lieto:
chi, più di te, vedermi brama in trono?
GlOC. Vero parli?
- Creon.
- Sgombrate ogni sospetto;
cacciato io pure ogni sospetto ho in bando:
Eteócle cangiossi ; e ornai...
- Polin.
- Cangiossi
Eteócle? — Creonte, a me tu il dici?
Creon.
Svani per or la trama. ( x > — È ver, che vani
a piegarlo pur troppo eran miei sforzi,
s’altra non si aggiungea ragion più forte.
Mormora in Tebe ogni guerriero, e viene
ritroso all’armi a prò di un re spergiuro.
Il mal talento universal lo stringe;
noi dice ei già; ma, chi noi vede? è vinto
dalla necessità; pur d’alti sensi
velarla vuole.
- Gioc.
- Assai ti udia diverso
già favellar di lui.
Creon.
Temprare il vero
spesso in molli lusinghe al re mi udisti ;
noi niego io, no: ma il favellargli aperto
concede ei mai? Dura, e non nobil arte,
(1) Sommessamente a Polinice.