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Lindoro. Si, lo comando, lo voglio, e sarò capace di farmi ri- spettare e obbedire.
Zelinda. Non mi volete credere ? volete ancor sospettare ? (a/’era/a)
Lindoro. Fuori di qui, e poscia ne parleremo.
Zelinda. Volete ch’ io manchi alla mia parola ? Volete ch’ io commetta una mal’azione ? ch’ io parli ? ch’ io dica ? ch’ io vi soddisfi ? animo. Eccomi qui, son pronta, parlerò, vi soddisferò. (rabbiosamente)
Lindoro. Tutte cabale ; tutte invenzioni...
Zelinda. Sì, cabale, invenzioni, per far del bene, per evitar dei scandali, delle turbolenze. Sappiate che il signor don Fla- minio... Ma no, non è giusto, non vo’ mancare. Caschi il mondo, non parlerò.
Lindoro. Non mi curo di saper altro. Fuori subito di questa casa.
Zelinda. Volete uscire di questa casa ?
Lindoro. E voi dovete venir con me.
Zelinda. E dove volete andare ?
Lindoro. Ove mi pare e piace. Seguitemi, e non ci pensate, e non mi fate scaldar maggiormente il sangue.
Zelinda. Avete risolto ? (con sdegno)
Lindoro. Ho risolto. (con sdegno)
Zelinda. S’ ha da partire ?
Lindoro. S’ ha da partire.
Zelinda. Subito ?
Lindoro. Immediatamente. (con sdegno)
Zelinda. Aspettatemi che saprò soddisfarvi, (con sdegno, e parte)
SCENA XVI.
Lindoro, poi Zelinda.
Lindoro. Son marito, son padrone, posso comandare, e a suo dispetto mi dee obbedire. (con forza)
Zelinda. ("Uutta sdegno e collera, strascinando il baule che s’è ceduto) nella prima commedia, e lo tira in mezzo la scena) Eccomi qui,