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SCENA II.
Donna Placida, poi don Carolina.
Vanta innocenza meco, e poi si cambia in viso.
E troppo scarsa al mondo la pietà, l’amicizia;
Temo che i cento ruspi non sian senza malizia.
Vuol parlare a Luigia, e la ragion mi asconde;
Le dico un mio sospetto, si turba e si confonde.
Ah, queste serve giovani, dove ci son zitelle,
Non son guardie bastanti a custodir agnelle.
Carolina. Oh nipote, ho piacere di ritrovarvi qui.
Parliamo un po’ sul serio, pria che tramonti il dì.
Quando risolto avete d’andare a ritirarvi?
Placida. Son pronta ogni momento.
Carolina. Ed io per contentarvi,
Per darvi, qual bramate, consolazione vera,
Son pronto nel ritiro a chiudervi stassera.
Placida. S’è di già ritrovato?
Carolina. Certo, e obbligazione
Abbiamo a don Anselmo. Ei trovò l’occasione.
Placida. Signore, 1 vostri cenni solo obbedir mi cale;
Anch’io bramo il ritiro, ma non con mezzo tale.
Pace non mi prometto fra incognite persone,
Qualor mi sia di scorta un falso bacchettone.
Carolina. Voi di quell’uom dabbene che opinione avete?
Credetemi, nipote, che voi noi conoscete.
Ha un vero amor per tutti, di voi parlò in maniera
Che si conosce in esso la carità sincera.
Pentito ero, il confesso, di chiudervi sì presto;
Che non fè’, che non disse il galantuomo onesto,
Perchè mi risolvessi di non frappor dimora?
Per voi, per persuadermi, ha faticato un’ora.
Placida. Essere non potrebbe l’amor, la carità,
Timor ch’io gì’impedissi l’usata libertà?