Don Chisciotte della Mancia/Capitolo XXXIII: differenze tra le versioni

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« — Mi sembra, Anselmo, che tu la pensi come i Mori, i quali non si possono convincere dell'errore della loro setta con l'autorità della sacra Scrittura, né con ragioni dedotte dalla speculazione dell'intelletto o fondate sopra articoli di fede, ma occorre metter sotto i loro occhi esempi di fatto, facili, intelligibili, dimostrativi, indubitabili, con dimostrazioni quasi matematiche, che non si possano negare, come sarebbe questa: « Se da due parti eguali si levano due parti eguali, i due resti sono ancora eguali ». E poiché non bastano le sole parole a persuaderli nemmeno di queste verità, occorre fargliele toccar con mano, e porgliele dinanzi agli occhi; e neppur questo è sufficiente a persuaderli della verità della nostra religione. Mi vedo ora costretto a trattarti al medesimo modo, perché il tuo capriccio è tanto strano e tanto lontano da tutto ciò che ha ombra di ragionevolezza, che mi sembra tempo perduto darti la prova della tua semplicità (che non voglio per ora chiamarla con altro nome), e starei quasi per abbandonarti alla tua follia in pena del tuo cattivo desiderio, se non me lo vietasse l'amicizia che ho per te e che non mi consente di abbandonarti nel momento del pericolo. Ed affinchè tu veda questo pericolo, dimmi, Anselmo: non mi hai tu comandato di tentare una donna che vive appartata dal mondo? di insidiare un'onesta? di offrire doni ad una disinteressala? di importunare una prudente? Questo m'hai detto di fare. Ora, se tu sei certo di avere una moglie riservata, onesta, disinteressata e prudente, che cosa vai tu cercando? E se credi che possa uscire vittoriosa da tutte le seduzioni, come ne uscirà senza dubbio, di quali speziose qualità pensi tu di onorarla, oltre a quelle che già possiede? Come potrà diventar migliore, dopo questa vittoria, di quello che è presentemente? O tu, dunque, non la stimi come dici, o non sai quello che vuoi. Se non la tieni nel conto che vuoi far credere, tu non puoi desiderare cotesta prova altro che per avere occasione di vendicarti de' suoi torti: ma se ella è veramente quale mostri di crederla, sarà imprudente far l'esperienza delle sue qualità, perché, anche quando sieno confermate, non aumenta la stima che prima si aveva di lei. È, dunque, evidente che, tentare esperienze dalle quali può venire danno piuttosto che vantaggio, è da uomini di poco senno e da temerari, tanto più quando a queste esperienze nessuno li costringe, facendo vedere in questo caso che il loro proponimento nasce proprio da pazzia. Non si tentano le cose difficili se non per onore di Dio e del mondo, o per servire all'uno e all'altro insieme. In servigio di Dio sono le azioni compiute dai santi, i quali vollero vivere come angeli sotto spoglie umane: le altre che si compiono nell'interesse del mondo sono le navigazioni, i viaggi in paesi e climi diversi, e il trattar con genti straniere, allo scopo di acquistare quelli che si chiamano beni di fortuna; e finalmente le azioni che si tentano a servigio di Dio e del mondo insieme, sono le imprese militari ispirate dal desiderio di trionfare per la fede, per la patria, pel sovrano e affrontate con pericolo di ferite e di morte.
Queste, sì, son cose che si debbono sperimentare, e che ridondano ad onore, a gloria e vantaggio, quantunque piene d'inconvenienti e pericoli: ma quello che tu vuoi fare, non è davvero in gloria del Signore, né te ne deriveranno beni di fortuna o umana lode. E se pur tu riescissi nel tuo intento, non per questo te ne troveresti più contento, ricco o stimato di quello che sei; ma nel caso opposto cadresti nella più grande miseria che si possa immaginare. A nulla ti gioverebbe che la tua sventura rimanesse ignota a tutti, ma basterebbe ch'ella fosse nota a te solo, per averne afflizione e tormento. A conferma di questa verità voglio recarti un'ottava del celebre poeta Luigi Tansillo, che si legge alla fine della prima parte delle sue ''Lagrime di san Pietro'':
 
« Crebbe il dolore e crebbe la vergogna.
 
Nel cor di Pietro all'apparir del giorno,
 
E benché non veda altri, si vergogna
 
Di sé medesmo, di ciò ch'ha d'intorno;
 
Che al magnanimo spirto non bisogna
 
La vista altrui per arrossir di scorno :
 
Ma di sé si vergogna talor ch'erra,
 
Sebben non veda altro che cielo e terra ».
 
Tu, dunque, non potrai celare il tuo segreto rammarico, perché li tradirà il continuo tuo pianto; e se non ti usciranno lagrime dagli occhi, ti sgorgherà sangue dal cuore, nello stesso modo con cui piangeva quel semplice dottore, secondo quanto racconta il nostro poeta (1), che fece la prova del vaso, da cui con saggio avviso s'astenne il prudente Rinaldo: e benché si tratti di una finzione poetica, racchiude però in se stessa molti segreti morali, degni di essere considerati e imitati. Ma con ciò che ho ancora da dirti finirai di convincerti del grand'errore che vorresti commettere! Dimmi, Anselmo: se il cielo e la buona fortuna ti avessero fatto padrone e legittimo possessore di un diamante finissimo, celebrato altamente da quanti gioiellieri l'avessero veduto, e unanimi si fossero accordati a proclamarlo perfetto di bontà e finezza, e tu medesimo lo credessi tale senza il minimo dubbio in contrario, sarebbe giusto e naturale che ti venisse il desiderio di prendere quel diamante, di metterlo fra l'incudine ed il martello, e provare a furia di colpi se è duro e fino come fu creduto? E dato il caso che la pietra resistesse al tuo folle sperimento, non perciò acquisterebbe un più grande valore od una maggiore celebrità. E se si rompesse? Tutto sarebbe perduto, e il solo guadagno per il possessore sarebbe la taccia di vero balordo. Fa conto, Anselmo, che Camilla sia il diamante finissimo, e tale è infatti nella tua e nella estimazione degli altri: non c'è ragione di cimentarlo, perché, quantunque rimanga intatto qual è, non può acquistare un pregio maggiore di quello che già possiede: e se si guastasse o cedesse, come ti rimarresti senza di lei, e con quanta ragione ti dorresti di te stesso per essere stato cagione della tua rovina! Considera che non v'è gioiello al mondo di maggior valore che una moglie casta e onorata, e che tutto l'onore delle mogli consiste nella stima che godono: e poiché Camilla tua sposa è, come sai, un modello di bontà, non mettere in dubbio, te ne prego, una verità così bella! Non conviene esporre la donna a cimenti in cui possa inciampare e cadere; anzi, si deve sgombrarle il cammino da ogni ostacolo, affinchè corra veloce a raggiungere la sua perfezione, che consiste nell'essere virtuosa. Raccontano i naturalisti che l'ermellino ha una pelle bianchissima, e che quando i cacciatori lo vogliono catturare, usano di cacciarlo verso certi luoghi da loro appositamente infangati; dove il candido animale, arrivando, si ferma e si lascia prendere, piuttosto che deturpare la sua bianchezza, che da lui è pregiata più che la libertà stessa e la vita. L'onesta e casta consorte è l'ermellino, e la virtù di lei è più tersa della neve: ma chi vuole che sia custodita gelosamente deve valersi di un modo diverso da quello che si usa con l'ermellino. Non si deve porle sott'occhio il fango dei regali e della servitù di importuni adoratori, perché forse, e senza forse, non è capace di sostenersi da se stessa e superare quegli ostacoli; ma bisogna allontanarglieli e metterle davanti la limpidezza della virtù e la bellezza che è nella buona riputazione. La moglie fedele si può inoltre paragonare ad uno specchio di cristallo lucido e senza macchia, il quale si appanna e si oscura con un alito. La moglie fedele esige il rispetto