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de Thalie, ed. da Aldo Ravà, Contributo alla bìhl. di G. Casanova, estratto dal G. Stor., LV, 1910), che Goldoni non ne fa menzione, e non dovette conoscerle prima del ’62, quando ne trovò il ricordo sul Teatro Italiano di Parigi, a nessuno verrebbe voglia di scoprire affinità di natura fra il salotto della vecchia signora di Lambert, ultimo rifugio di qualche preziosa, e la locanda goldoniana che sa di biancheria fresca e di manicaretti, fra Silvia Balletti e Maddalena Marliani, fra il ritratto psicologico e il dramma. In vece del mi- nuetto a mezza voce, nel viale del giardino favoloso, familiare agli amori delle antiche ninfe e delle antiche maschere, l’azione che incalza e prorompe sul palcoscenico della vita con grida e con rabbia.

Non rimarrebbe dunque che da ricercare nell’opera stessa di Goldoni, dove la fortuna aiuta lo studioso a seguire le tracce fuggevoli di Mirandolina, in qual modo dal Prodigo, dalla Donna di garbo, dalla Vedova scaltra, dal Poeta fanatico, dalla Castalda, dall’Amante militare, dai Puntigli dome- stici ecc. balzò d’improvviso il tipo meraviglioso. («Quel caro demonietto in gonnella ch’è la Mirandolina Locandiera, riassume in se tutta l’indiavolata birichineria delle servette goldoniane » : Giacinta Gallina, Le maschere goldo- niane, in Soccorriamo i poveri bambini rachitici, strenna venez. pel 1 907, p. 32. V. anche Mciria Vaccaro Osterman, Servi e servette nelle comm. di C. G., in Critica ed arte, Cateinia, marzo 1907). Se ci rimanesse lo scenario del Pro- digo, come fu steso nel 1 739, vorremmo gettare uno sguardo sulla prima Co- lombina, castalda di Momolo : accontentiamoci di udire nel ’5 1 Corallina, la Castalda di Pantalone, che ci rammenta con originalità goldoniana le tante serve padrone del Settecento : «... Gh’ho un certo no so che, che bisega. Son dretta la mia p8U’te. Della lengua e dei occhi fazzo quello che voggio. E con una occhiadina, e con una paroletta, m’impegno de far cascar un omo, s’el fusse de piera viva » (a. I, se. 3 ed. Bettinelli: vol. VII della presente ed., p. 188).

Ma Mirandolina è Mirandolina, e non assomiglia a nessun’altra figura nel regno dell’arte : essa emana dal pieno Settecento, come Manon, e sconvolge il cuore degli uomini. Chi tenta resistere, chi la disprezza, offende il sesso, e più degli altri resta vinto e diviene suo schiavo. In lei nessuna corruzione, nessuna deformità morale, tolta l’arte di fingere; Mirandolina è sema, allegra, spiritosa : specialmente è donna, innamorata e gelosa del suo potere femminile.

«Tutto il mio piacere consiste m vedermi servita, vagheggiata, adorata ecc

Voglio burlarmi di tante caricature d’amanti spasimati ; e voglio usar tutta r arte per vincere, abbattere e conquassare quei cuori barbari e duri, che son nemici di noi, che siamo la miglior cosa che abbia prodotto al mondo la bella madre Natura » : I, 9. Quando Grimm in Francia, nel 1 764 (Correspondance : cit. da Rabany, C. G., Peu-is, 1896, p. 351), osservò che bisognava far cadere a sua volta la eroina nell’amore per il Cavaliere, mostrò di non aver nulla capito: cosi poteva scrivere La Noue una Civetta punita (1756), ma cosi non si crea Mirandolina. Eppure le scene della Locandiera, d’una psicologia naturale e vigorosa, si seguono limpidissime. Quando a’ nostri giorni il Rabany (1. e, p. 165) volle scusare Goldoni, poiché non ebbe «la pretesa d’offrire uno studio di carattere » , mostrò di non aver capito il suo autore. Quando lo Sche- doni, nel 1828 (Principii morali del Teatro, Modena, 51-52), rimproverò il