Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1910, VII.djvu/97: differenze tra le versioni
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{{Capolettera|D}}OPO aver io parlato intorno la presente Commedia nella precedente Lettera all’Illustrissimo ed eruditissimo Signor Marchese {{AutoreCitato|Scipione Maffei|Maffei}}, poco mi resta da trattenermi su tal proposito col Lettore. Tuttavolta defraudar non voglio di una piccola Prefazione quei che delle Opere mie si compiacciono, qualche cosa aggiungendo, che disutile non mi sembra. Avviserò gli Attori principalmente, che senza di me avessero il mio ''Moliere'' a rappresentare, valersi nel recitare i versi d’una maniera la quale, secondo me, è la più facile per l’Attore, e la più grata agli Ascoltatori. Non si canti il verso, non si declami, non gli si dia un suono caricato, vibrato, fuor di natura; ma per lo contrario non si avvilisca soverchiamente, non si nasconda il metro, e non facciasi lo studio vano di rendere i versi una stucchevole prosa. |
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A CHI L E G G E (’) . |
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Cotali versi (dicansi di quattordici piedi, o di due settesillabi uniti) hanno un certo suono naturale ed umano, che alla prosa infinitamente somiglia; che però recitandoli, come naturalmente si leggono, senza sublimarli e senza confonderli, non può a meno qualsisia Recitante di non riuscirvi. Ciò non ostante, alcuni ho io sentito recitarli assai male, appunto per questo, perchè credevano con una soverchia caricatura di migliorarli. Non evvi cosa più fastidiosa, oltre la declamazione dei versi, e in questa parte non loderò mai li Francesi per le loro esclamazioni, i loro lunghi sospiri, e la caricatura non meno delle loro piume, che delle espressioni loro; siccome non loderò nè tampoco quegli Italiani, che con soverchia familiarità intendono recitare in prosa i più sonori versi della Tragedia. Siccome i tragici Eroi sono persone per lo più ideali, o nelle virtù, o nei vizj, dai Poeti caricatissime, e parlano un linguaggio fuor del comune, e con pensieri non usitati e strani, sembra altresì ragionevole |
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DOPO aver io parlato intomo la presente Commedia nella pre- |
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cedente Lettera all’Illustrissimo ed eruditissimo Signor Mar- |
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chese Maffei, poco mi resta da trattenermi su tal proposito col |
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Lettore. Tuttavolta defraudar non voglio di una piccola Prefazione |
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quei che delle Opere mie si compiacciono, qualche cosa aggiun- |
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gendo, che disutile non mi sembra. Avviserò gli Attori principal- |
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mente, che senza di me avessero il mio Molière a rappresentare, |
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valersi nel recitare i versi d’una maniera la quale, secondo me, |
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è la più facile per l’Attore, e la più grata agli Ascoltatori. Non |
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si canti il verso, non si declami, non gli si dia un suono caricato, |
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vibrato, fuor di natura; ma per lo contrario non si avvilisca sover- |
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chiamente, non si nasconda il metro, e non facciasi lo studio vano |
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di rendere i versi una stucchevole prosa. |
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Colali versi (dicansi di quattordici piedi, o di due settesillabi |
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uniti) hanno un certo suono naturale ed umano, che alla prosa infi- |
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nitamente somiglia ; che però recitandoli, come naturalmente si leg- |
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gono, senza sublimarli e senza confonderli, non può a meno qual- |
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sisia Recitante di non riuscirvi. Ciò non ostante, alcuni ho io sentito |
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recitarli assai male, appunto per questo, perchè credevano con una |
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soverchia caricatura di migliorarli. Non ewi cosa più fastidiosa, oltre |
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la declamazione dei versi, e in questa parte non loderò mai li Fran- |
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cesi per le loro esclamazioni, i loro lunghi sospiri, e la caricatura |
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non meno delle loro piume, che delle espressioni loro ; siccome non |
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loderò né tampoco quegli Italiani, che con soverchia familiarità in- |
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tendono recitare in prosa i più sonori versi della Tragedia. Siccome |
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i tragici Eroi sono persone per lo più ideali, o nelle virtù, o nei |
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vizj, deli Poeti caricatissime, e parlano un linguaggio fuor del co- |
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mune, e con pensieri non usitati e strani, sembra altresì ragionevole |
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