Divina Commedia/Inferno/Canto XX: differenze tra le versioni
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|Nome e cognome dell'autore=Dante Alighieri
|Titolo=Divina Commedia
|Iniziale del titolo=D
|Nome della pagina principale=Divina Commedia
|Eventuale titolo della sezione o del capitolo=[[Divina Commedia/Inferno|Inferno]]
|Anno di pubblicazione=
|Secolo di pubblicazione=XIV secolo
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<poem>
Di nova pena mi conven far versi
e dar matera al ventesimo canto
de la prima canzon, ch'è d'i sommersi. {{r|3}}
Io era già disposto tutto quanto
a riguardar ne lo scoperto fondo,
che si bagnava d'angoscioso pianto; {{r|6}}
e vidi gente per lo vallon tondo
venir, tacendo e lagrimando, al passo
che fanno le letane in questo mondo. {{r|9}}
Come 'l viso mi scese in lor più basso,
mirabilmente apparve esser travolto
ciascun tra 'l mento e 'l principio del casso, {{r|12}}
ché da le reni era tornato 'l volto,
e in dietro venir li convenia,
perché 'l veder dinanzi era lor tolto. {{r|15}}
Forse per forza già di parlasia
si travolse così alcun del tutto;
ma io nol vidi, né credo che sia. {{r|18}}
Se Dio ti lasci, lettor, prender frutto
di tua lezione, or pensa per te stesso
com'io potea tener lo viso asciutto, {{r|21}}
quando la nostra imagine di presso
vidi sì torta, che 'l pianto de li occhi
le natiche bagnava per lo fesso. {{r|24}}
Certo io piangea, poggiato a un de' rocchi
del duro scoglio, sì che la mia scorta
mi disse: "Ancor se' tu de li altri sciocchi? {{r|27}}
Qui vive la pietà quand'è ben morta;
chi è più scellerato che colui
che al giudicio divin passion comporta? {{r|30}}
Drizza la testa, drizza, e vedi a cui
s'aperse a li occhi d'i Teban la terra;
per ch'ei gridavan tutti: "Dove rui, {{r|33}}
Anfïarao? perché lasci la guerra?".
E non restò di ruinare a valle
fino a Minòs che ciascheduno afferra. {{r|36}}
Mira c' ha fatto petto de le spalle;
perché volse veder troppo davante,
di retro guarda e fa retroso calle. {{r|39}}
Vedi Tiresia, che mutò sembiante
quando di maschio femmina divenne,
cangiandosi le membra tutte quante; {{r|42}}
e prima, poi, ribatter li convenne
li duo serpenti avvolti, con la verga,
che rïavesse le maschili penne. {{r|45}}
Aronta è quel ch'al ventre li s'atterga,
che ne' monti di Luni, dove ronca
lo Carrarese che di sotto alberga, {{r|48}}
ebbe tra ' bianchi marmi la spelonca
per sua dimora; onde a guardar le stelle
e 'l mar non li era la veduta tronca. {{r|51}}
E quella che ricuopre le mammelle,
che tu non vedi, con le trecce sciolte,
e ha di là ogne pilosa pelle, {{r|54}}
Manto fu, che cercò per terre molte;
poscia si puose là dove nacqu' io;
onde un poco mi piace che m'ascolte. {{r|57}}
Poscia che 'l padre suo di vita uscìo
e venne serva la città di Baco,
questa gran tempo per lo mondo gio. {{r|60}}
Suso in Italia bella giace un laco,
a piè de l'Alpe che serra Lamagna
sovra Tiralli, c' ha nome Benaco. {{r|63}}
Per mille fonti, credo, e più si bagna
tra Garda e Val Camonica e Pennino
de l'acqua che nel detto laco stagna. {{r|66}}
Loco è nel mezzo là dove 'l trentino
pastore e quel di Brescia e 'l veronese
segnar poria, s'e' fesse quel cammino. {{r|69}}
Siede Peschiera, bello e forte arnese
da fronteggiar Bresciani e Bergamaschi,
ove la riva 'ntorno più discese. {{r|72}}
Ivi convien che tutto quanto caschi
ciò che 'n grembo a Benaco star non può,
e fassi fiume giù per verdi paschi. {{r|75}}
Tosto che l'acqua a correr mette co,
non più Benaco, ma Mencio si chiama
fino a Governol, dove cade in Po. {{r|78}}
Non molto ha corso, ch'el trova una lama,
ne la qual si distende e la 'mpaluda;
e suol di state talor esser grama. {{r|81}}
Quindi passando la vergine cruda
vide terra, nel mezzo del pantano,
sanza coltura e d'abitanti nuda. {{r|84}}
Lì, per fuggire ogne consorzio umano,
ristette con suoi servi a far sue arti,
e visse, e vi lasciò suo corpo vano. {{r|87}}
Li uomini poi che 'ntorno erano sparti
s'accolsero a quel loco, ch'era forte
per lo pantan ch'avea da tutte parti. {{r|90}}
Fer la città sovra quell'ossa morte;
e per colei che 'l loco prima elesse,
Mantüa l'appellar sanz'altra sorte. {{r|93}}
Già fuor le genti sue dentro più spesse,
prima che la mattia da Casalodi
da Pinamonte inganno ricevesse. {{r|96}}
Però t'assenno che, se tu mai odi
originar la mia terra altrimenti,
la verità nulla menzogna frodi". {{r|99}}
E io: "Maestro, i tuoi ragionamenti
mi son sì certi e prendon sì mia fede,
che li altri mi sarien carboni spenti. {{r|102}}
Ma dimmi, de la gente che procede,
se tu ne vedi alcun degno di nota;
ché solo a ciò la mia mente rifiede". {{r|105}}
Allor mi disse: "Quel che da la gota
porge la barba in su le spalle brune,
fu - quando Grecia fu di maschi vòta, {{r|108}}
sì ch'a pena rimaser per le cune -
augure, e diede 'l punto con Calcanta
in Aulide a tagliar la prima fune. {{r|111}}
Euripilo ebbe nome, e così 'l canta
l'alta mia tragedìa in alcun loco:
ben lo sai tu che la sai tutta quanta. {{r|114}}
Quell'altro che ne' fianchi è così poco,
Michele Scotto fu, che veramente
de le magiche frode seppe 'l gioco. {{r|117}}
Vedi Guido Bonatti; vedi Asdente,
ch'avere inteso al cuoio e a lo spago
ora vorrebbe, ma tardi si pente. {{r|120}}
Vedi le triste che lasciaron l'ago,
la spuola e 'l fuso, e fecersi 'ndivine;
fecer malie con erbe e con imago. {{r|123}}
Ma vienne omai, ché già tiene 'l confine
d'amendue li emisperi e tocca l'onda
sotto Sobilia Caino e le spine; {{r|126}}
e già iernotte fu la luna tonda:
ben ten de' ricordar, ché non ti nocque
alcuna volta per la selva fonda". {{r|129}}
Sì mi parlava, e andavamo introcque.
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