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NOTA STORICA

Alle eroine goldoniane, che la malvagità maschile riescono a vincere con la bontà e la virtù (alleate sempre un po’al lieto fine), ecco aggiungersi questa Rosaura. Virtù non di sola memsuetudine la sua. Meno piagnucolosa di Vittoria (Bottega del caffè) e di Bettina (Buona moglie), accoppia all’abilità di Pa- mela e di Eleonora (Cavaliere e la dama) una forte energia che l’apparente remissività cela assai bene. Né del differente reagire contro la sfortuna rende ragione il diverso ceto, cui appartengono la figlia di Pantalone e la popolana Bettina, come mostra di credere l’autore (Premessa nell’ediz. Paperini). Que- stione d’indole, nulla più. Già nelle pjirole a suo padre (1, XV) Rosaura si mostra ben conscia de’ suoi diritti e per nulla disposta a cederli. Cosi non ci stupisce se in una scena ch’è il punto saldo e il momento più felice della commedia, ella affronta la rivale e la lascia confusa.

Con questo duello muliebre entra nel nostro Teatro una ventata di vita nuova, la cui eco lontana giunge fino alla Gioconda del D’Annunzio e a un dramma già dimenticato del Donnay (Georgeile Lemeunier). Avverte giusta- mente il Dejob : « l’idée d’une lemme douce et tendre, que son affection coniugale enhardit tour à tour en face de son pére, de sa rivale, de son mari, qui lasse à la fin et ramène l’infidéle, était neuve et toucheinte » . (Les fem- mes dans la comédie franf. et ital. au XVIII siede. Paris, 1899, p. 257). Altri critici ancora plaudono alla scena forte ed wdita. « Di una squisita finezza, tenera e commovente quanto una tragica » la dice il Gavi (Della vita di C. G. e d. sue comm. Mil. 1826, p. 126). Anche chi in Rosaura scorge ecces- siva saggezza, nota che il carattere « acquista rilievo . . . nella bellissima scena con la marchesa rivale » (Braggio. Le donne del Qoldoni. Strenna dei rachi- tici. Genova, 1 888, p. 1 24). Indovinato sembra al Rabany il riscontro comico offerto da Brighella e Corallina alla poco avventurata coppia de’ loro padroni (op. cit. p. 344). Se buone tutte le scene dei servi, ottima quella d’introdu- zione, di cui tanto si compiaceva l’autore (Mem. II, e. XIV) - e addirittura un piccolo capolavoro di comicità il dialogo tra Arlecchino e Brighella, col quale s’apre l’atto secondo. Ma se le Iodi, e meritate, non mancano, nessuno risparmia al Goldoni il nmprovero d’aver abusato anche una volta del veleno. Già ai suoi giorni, in un poemetto a suo encomio, si lesse : « soffrir non posso... un crudele marito, che in una tazza morte | Destina all’amorosa e saggia sua consorte » . (// Museo d’Apollo, in Le comm. d- dott. C. Q., ecc. Torino, 1 758, v. XIII, p. 16). Volle difendersi alla meglio il poeta (Premessa) accennando a « esempi di tale barbarità, non lontani dal suo secolo ». Emesto Masi invece ne’ frequenti avvelenamenti del giovine teatro goldoniano vede solo « spogli, avanzi, ritagli della commedia dell’arte » (Scelta di comm. di C. G. Fir. 1 897, voi. Il, p. 9). Ma, concesso sempre l’artifizio soverchio ond’è condotto l’epi- sodio, perché negare senz’altro l’inverisimiglianza al veneficio ? L’indole bru- tale d’Ottavio, la cieca sua passione, l’odio per la consorte — e costei risoluta a non lasciare il suo posto (Atto I, se. 1 5) non bastano a renderlo possibile ? Siiuno in commedia, è vero, ma questa volta la meurca copre male la merce.