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Versione delle 15:15, 24 giu 2019

SCENA XXVI.

/ tre gondolieri.

Nane. Anemo, adesso che ti xe vodo, dastu indrio? a Menego)

Menego. Sia ti, che ti xe vodo come che so mi.

Nane. Vusto zogar che co sto remo te spaco la testa?

Menego. Vien a mezzo, se ti voi che te daga gusto.

Nane. In terra, se ti è galantuomo.

Tita. Zito, fradei, zito, fermava. Lassarne vegnir in barca, che ve darò liogo. Perchè no l’aveu destrigada? va alla sua barca, passando per le altre due)

Menego. Me meravegio, fazzo el mastier come ch’ai va fato. Le barche dei galantomeni no le se desliga, no le se manda a torzio (1). a Tito)

Tita. Tiolè, andè, ch’el cielo ve benadiga. parte colla gondola)

Nane. Ti gh’ha rason che quel galantomo m’ha fatto liogo; da resto, viva Cochiato, che ti andavi a casa senza tasta. s ’incammina colla gondola)

Menego. Te voleva tagiar a lochi, vara; e volava ch’el pezzo più grando fusse una racchia. /«^ /" stesso)

Nane. Spaceimonti! allontanandosi colla gondola)

Menego. Capitan Covielo! allontanandosi colla gondola)

Nane. Ah musso!

Menego. Ah dindio! (maltrattandosi partono colle loro gondole Fine dell’Atto Secondo. ( 1 ) Abbandonate alla corrente.