La fame del Globo/Cap. 4: differenze tra le versioni

Contenuto cancellato Contenuto aggiunto
Nessun oggetto della modifica
Ilcolono (discussione | contributi)
mNessun oggetto della modifica
Riga 1:
{{Qualità|avz=50%|data=14 aprile 2008|arg=Saggi}}{{Intestazione
| Nome e cognome dell'autore = Antonio Saltini
| Titolo =La fame del globo
| Iniziale del titolo = L
| Nome della pagina principale =La fame del Globo
| Eventuale titolo della sezione o del capitolo = L’Asia abbandona il riso: è la più grande rivoluzione alimentare della storia
| Anno di pubblicazione = 2005
| Eventuale secondo anno di pubblicazione =
| Secolo di pubblicazione = XXI secolo
| Il testo è una traduzione? = no
| Lingua originale del testo =
| Nome e cognome del traduttore =
| Anno di traduzione =
| Secolo di traduzione =
| Abbiamo la versione cartacea a fronte? = no
| URL della versione cartacea a fronte =
}}
 
L’Asia abbandona il riso: è la più grande rivoluzione alimentare della storia
L’ultimo notiziario della Fao propone due notizie chiave. Dopo quattro anni le produzioni cerealicole hanno tornato a superare i consumi: la penuria è scongiurata. Ma l’Asia pare consumare meno riso, più frumento e più mais: la prova di una mutazione degli equilibri alimentari destinata a trasformare l’economia del Pianeta
 
Il lettore dell’ultimo notiziario Fao, la più completa fonte di informazioni sulla produzione e gli scambi di derrate alimentari del Pianeta, è colpito da due notizie. La prima: superando la storica vetta dei due miliardi di tonnellate di frumento, riso e mais, la campagna 2004-5 ricondurrà la somma delle produzioni cerealicole al si sopra dell’entità dei consumi. La seconda: la stessa campagna segnerà la seconda contrazione successiva nel commercio mondiale del riso. {{Qualità|avz=50%|data=14 aprile 2008|arg=Saggi}}{{Intestazione
| Nome e cognome dell'autore = Antonio Saltini
| Titolo =La fame del globo
Line 17 ⟶ 38:
}}
 
Il mondo è ormai, una sola grande collettività: tutte le sere i cittadini del Globo sono informati del numero dei soldati deceduti, nelle ultime ventiquattro ore, nelle guerre intercontinentali di George Bush, eppure per quattro anni successivi i campi del Pianeta hanno prodotto cereali in quantità inferiore ai consumi e nessuno ne ha informato sei miliardi di consumatori ugualmente interessati alla sicurezza degli approvvigionamenti. Per quattro anni i consumi sono stati assicurati contraendo le scorte, che sono giunte al livello più basso degli ultimi decenni: 440 milioni di tonnellate, il 20 per cento del fabbisogno, l’equivalente dei consumi di sessanta giorni, una quantità che non permetterebbe all’umanità di superare un’annata in cui un andamento climatico avverso imperversasse su continenti diversi.
Possiamo sperare nel futuro, ma il faticoso recupero della produzione, dopo quattro anni deficitari, ci ricorda che l’equilibrio tra produzione e consumo di alimenti si realizza, ormai, nel confronto sempre più teso tra una domanda che continua a crescere impetuosa e una produzione che ansima: su decine di milioni di ettari la fertilità si deteriora, si dilata il cemento, le disponibilità d’acqua si contraggono.
 
Riso: si contraggono gli scambi
La seconda notizia è assai meno clamorosa: la riduzione delle quantità di riso esportate nel 2004 è stata di 400.000 tonnellate, per l’anno successivo è prevista di 900.000 tonnellate. Il commercio internazionale del riso supera ancora i 26 milioni di tonnellate: si è indotti a relegare i due dati tra le fluttuazioni che caratterizzano tutti gli scambi di derrate, a negare loro qualunque significato. Una riflessione sulle tendenze poliennali del quadro alimentare induce, tuttavia, a riconoscere nei due dati indizi di un fenomeno tutt’altro che privo di significato: se li connettiamo alla constatazione che l’Asia produce sempre più frumento e mais, e al rilievo che le produzioni di frumento e mais crescono, nel Continente, ad un ritmo assai più rapido di quello che conosce il riso, quei dati si rivelano elementi di un fenomeno che potrebbe produrre effetti capitali per gli equilibri del Pianeta.
 
Frumento e mais costituiscono, storicamente, i caposaldi di due civiltà alimentari, quella europea e quella mesoamericana. All’alba del Novecento il mais costituiva ancora l’alimento chiave di intere società: c’era, ad esempio, in Italia, una società che viveva di mais, il cibo dei contadini. Nello stesso paese convivevano una società del frumento, la società che comprendeva i ceti alti e quelli medi, e una società del mais, la società contadina. Oggi frumento e mais sono elementi della medesima civiltà alimentare, quella civiltà occidentale che consuma il pane come complemento a alimenti di origine animale, carni di pollo, di suino e di vitellone, e latticini. Carne e latticini sono ottenuti, nel quadro agrario occidentale, dal mais, il fondamento della nutrizione degli animali, quindi la base di tutti gli alimenti che derivano dagli allevamenti. Con il contributo dell’orzo, consumato in quantità imponenti per ricavarne la birra, frumento e mais sono la chiave delle consuetudini alimentari dell’Occidente, le consuetudini dei paesi di matrice europea ubicati sulle sponde dell’Atlantico, Stati Uniti e Canada su quella occidentale, i paesi dell’antica Comunità Europea su quella orientale. La chiave della civiltà alimentare che si è contrapposta, nella seconda metà del Ventesimo secolo, a quella dell’Africa e dell’America Latina, che con qualche semplificazione possiamo definire civiltà del mais e del sorgo, e a quella dell’Asia, la civiltà del riso, nella quale la ciotola di riso è sempre stata integrata con verdure, dai germogli di bambù ai fagioli.
 
Il frumento sfida il riso
'''Produrre una tonnellata di cereale richiede 1.000 tonnellate d’acqua. Se l’umanità dovrà raggiungere la produzione di 4 miliardi di tonnellate di cereali il suo fabbisogno idrico sarà imponente. Ma nuovi invasi sono di realizzazione sempre più ardua, industria e usi civili sottraggono all’agricoltura quantità d’acqua crescenti
A metà degli anni Sessanta la Rivoluzione verde ha diffuso in Asia il frumento, le cui produzioni hanno iniziato una progressione vorticosa. Nei decenni successivi a fianco del frumento è iniziata lo coltura dei mais ibridi, e anche le produzioni di mais hanno iniziato a crescere a ritmi inarrestabili. La Cina, il paese emblematico del riso, nel quale mais e frumento erano le produzioni di aree peculiari, dove le condizioni climatiche erano avverse al riso, oggi produce 91 milioni di quintali di frumento, un’entità equivalente a quella dell’Unione Europea, primo produttore mondiale, prima dell’ultimo allargamento, e 141 milioni di tonnellate di mais, 10 meno dell’Unione Europea a venticinque membri, secondo produttore mondiale dopo il titano americano.
'''
 
Nella prefazione ad un volume di studi sull’irrigazione nel 1967 Giuseppe Medici annotava che la sete dell’umanità era soddisfatta, allora, dall’impiego di 210.000 metri cubi d’acqua al secondo, l’80 per cento destinato all’agricoltura, e si chiedeva quali problemi sarebbero insorti oltre la soglia, allora remota, del Duemila, quando, prevedeva, la popolazione mondiale si sarebbe avvicinata ai sette miliardi, e l’industria avrebbe conteso all’agricoltura quantità d’acqua imponenti. L’industria americana consumava allora, 700 milioni di metri cubi al giorno, metà del consumo americano totale: se sul planisfero l’industrializzazione avesse portato a consumi comparabili tutti gli equilibri che assicuravano il soddisfacimento dei bisogni agricoli sarebbero stati alterati.
 
[[Immagine:Pantano.gif||thumb|400px|Irrigazione mediante ''pivot'' nell'antico Pantano di Lentini in provincia di Siracusa]]
 
 
Si può misurare la quantità d’acqua necessaria all’agricoltura ricordando che sono necessari 500 litri per il compimento dei processi biologici necessari alla produzione di un chilogrammo di sostanza secca degli organi epigei di una coltura di frumento, 250 per una coltura di mais, 700 per una coltura di medica. La produzione di 8 tonnellate di frumento, corrispondente alla metà della materia secca prodotta dalla coltura al di sopra del suolo, richiede, quindi, 8.000 metri cubi d’acqua, altrettanto una produzione di 16 tonnellate di mais, la cui granella costituirà, anch’essa, la metà della sostanza secca epigea, 7.000 metri cubi richiederà la produzione di 10 tonnellate di fieno di medica, costituenti l’intera quantità della sostanza secca prodotta.
 
Sono esigenze ingenti, ma corrispondono alle necessità biologiche: secondo il sistema di irrigazione impiegato, quindi secondo la misura dell’acqua che sarà perduta per evaporazione e per percolazione, le necessità idriche delle medesime colture potranno essere raddoppiate o triplicate: in una rassegna dei problemi dell’approvvigionamento idrico del Pianeta Sandra Postel, autorevole conoscitrice della materia, postula che la produzione di ogni tonnellata di cereali richieda mille tonnellate d’acqua. Siccome i processi biologici non si possono mutare, si può supporre di ridurre quel consumo, impiegando procedure di microirrigazione, fino ad avvicinarsi alla sua metà, diminuire ancora è biologicamente impossibile. Ma applicare la microirrigazione alla coltura dei cereali è meta lontana anni luce dalle possibilità dell’agricoltura mondiale. Nei paesi più evoluti si pratica la somministrazione controllata a qualche campo di mais, ma immaginare di diffondere l’irrigazione “a goccia” sui 125 milioni di ettari di risaie dell’Asia è oggi, sogno agronomico irrealizzabile.
 
Il consumo supposto, nel 1967, da Giuseppe Medici in metri cubi al secondo corrispondeva al consumo annuale di 6.622 chilometri cubici di acqua dolce, 5.297 destinati all’agricoltura. Sulle soglie del Duemila la stima delle disponibilità mondiali è stata ridimensionata: nel 1996 Sandra Postel supponeva che il consumo mondiale consistesse in 4.430 chilometri cubici, di cui 2.280 destinati all’agricoltura. Se si considera che tra le due date sono stati realizzati alcuni tra i maggiori invasi del Pianeta, e che le superfici irrigate si sono dilatate di almeno 30 milioni di ettari, si deve verificare che le due cifre non sono comparabili, e tra le due dobbiamo reputare derivare da misure più precise quella usate da Sandra Postel che quella di cui disponeva, allora, Giuseppe Medici.
 
Il confronto tra le due stime è comunque illuminante siccome dimostra che l’agricoltura ha visto ridurre la quota a sua disposizione dall’80 al 65 per cento, che l’industria non ha seguito, su scala planetaria, il modello statunitense, ma si è aggiudicata il 22 per cento delle disponibilità, che gli usi civili hanno conquistato il 7 per cento.
 
Esaminando quanto sia mutato, tra le due date, nei rapporti tra l’uomo e l’acqua, si impone la constatazione che la realizzazione di immensi invasi sui grandi fiumi dei sei continenti si è avvicinata a limiti difficilmente valicabili. Alcune delle grandi realizzazioni degli ultimi decenni hanno prodotto autentiche catastrofi ecologiche: vale tra tutti l’esempio del Lago d’Aral, il più grande mare interno dell’Asia, trasformato in uno stagno melmoso. Gli ultimi grandi progetti suscitano radicali obiezioni climatologiche ed ambientali, alle quali si aggiungono resistenze sociali sempre più vigorose: le popolazioni delle aree destinate ad essere sommerse rifiutano di essere trasferite nelle bidonvilles urbane, e solo regimi dittatoriali indifferenti ad ogni consenso possono coartare popolazioni intere delegando l’esercito a evacuare le aree d’invaso.
 
Me se industria e impieghi civili hanno sottratto all’agricoltura, in tre decenni, il 15 per cento delle disponibilità, il processo è appena iniziato: in Asia l’industria sta nascendo, migliaia di stabilimenti saranno impiantati negli anni venturi, e su tre continenti milioni di persone dispongono di pochi litri di acqua, spesso di cattiva qualità, al giorno: esigenze di civiltà impongono che, per lavare le proprie persone ed i propri indumenti, possano disporre non di pochi litri, ma di centinaia di litri al giorno. La quantità d’acqua che l’industria e gli usi civili pretenderanno negli anni venturi saranno quantità imponenti. Che se non saranno realizzati nuovi imponenti sbarramenti, e abbiamo verificato che sarà difficile realizzarne, dovrà essere sottratta all’agricoltura.
 
Ma le esigenze biologiche non sono, per parte loro, comprimibili: le mille tonnellate supposte necessarie, per tonnellata di cereali, da Sandra Postel, si possono ridurre a metà, ma dimezzarle imporrebbe la diffusione di tecniche di microirrigazione su tutti gli arativi del Globo, oggi un obiettivo irrealizzabile. La futura crescita della popolazione, che si ritiene toccherà gli otto miliardi nel 2030, il numero di chi soffre la denutrizione, il mutamento della dieta dei popoli che stanno raggiungendo il benessere, impongono di raddoppiare, nel prossime tre decenni, la produzione agricola. Raddoppiare la produzione attuale significa mirare a 4 miliardi di tonnellate di cereali: usando il parametro di Sandra Postel, mille tonnellate d’acqua per tonnellata di cereali, non è difficile calcolare l’acqua necessaria. E’ vero che esistono paesi felici dove i cereali li irrigano le piogge, come in Francia e negli Stati Uniti, ma in continenti interi senza acqua non si produce che una tonnellata di grano per ettaro: quei campi dovrebbero essere irrigati: con quale acqua?
 
 
Chi cerchi di identificare, sul planisfero, le situazioni critiche, è obbligato a iniziare dalla Cina, il paese in cui si registra il più travolgente sviluppo economico che si verifichi sul Pianeta: secondo stime americane del 1994 lo sviluppo dell’economia cinese avrebbe dilatato le necessità di acqua, tra il 1995 e il 2030, da 31 a 134 milioni di metri cubi per gli usi residenziali, da 52 a 269 per quelli industriali, da 400 a 665 per quelli agricoli. Per soddisfarle il Governo ha predisposto uno dei progetti irrigui più ambiziosi di tutti i tempi, una grande diga sullo Yang Tze, ma il progetto ha sollevato perplessità radicali nella comunità scientifica internazionale. Al governo cinese si propone l’alternativa tra la rinuncia al progetto, frenando lo sviluppo del Paese, o la realizzazione, sfidando la collettività scientifica internazionale.
 
[[Immagine:Cassibile 71.gif||thumb|400px|Microirrigazione di un nuovo limoneto nelle campagne di Cassibile, sulla costa siracusana. La microirrigazione consente di ridurre drasticamente i consumi idrici rispetto ai sistemi irrigui tradizionali.]]
 
La rivoluzione alimentare asiatica è iniziata. Dove condurrà? La risposta è ardua, ma è ragionevole supporre che, se disponessero della ricchezza necessaria, i cittadini del Continente, che sono la metà della popolazione del Pianeta, realizzerebbero livelli di consumo comparabili a quelli occidentali. Quattro dati sono sufficienti a dimostrare quale sarebbe il significato dell’evento: il consumo di carne corrisponde a 120 chilogrammi pro capite all’anno negli Stati Uniti, a 90 nell’Unione Europea (quindici membri), corrisponde a 4 chilogrammi in India, a 46 in Cina. Supporre che il consumo di carne aumenti, nei prossimi dieci anni, di 30 chilogrammi pro capite in ciascuno dei due paesi, quindi di 30 chilogrammi per due miliardi di persone, significa postulare un fabbisogno di mais che, siccome il tasso di conversione del mais in carne corrisponde, secondo le specie animali, ad un fattore tre-otto, supponiamo cinque, toccherebbe i 300 milioni di tonnellate, l’equivalente della produzione degli Stati Uniti, un paese che è, esso solo, il continente del mais. E il computo ignora i latticini e la birra, e si limita ai due paesi chiave dello scacchiere, trascurando nazioni in cui si stanno sviluppando, con intensità diversa, gli stessi processi: Indonesia, Filippine, Pakistan.
 
Comprendendo le variabili trascurate si impone, ineludibile, la domanda se Cina e India, e il resto dell’Asia, dispongano delle superfici, e dell’acqua, necessarie a raddoppiare la produzione mondiale di cereali foraggeri. Una domanda che impone, inequivocabilmente, una risposta negativa. Cina e India non dispongono della superficie necessaria a produrre, quanto elevati si possano postulare i rendimenti unitari, un miliardo di tonnellate di mais. La Cina, caso emblematico, dispone della più piccola superficie agraria pro capite al mondo, un decimo di ettaro, una superficie dalla quale è già prodigioso che riesca a ricavare la quantità di carne che i cinesi consumano annualmente, da cui è inverosimile si possa ricavare tanto mais da produrre la carne, il formaggio e la birra che consuma un europeo.
Offre un esempio paradigmatico di sottrazione dell’acqua all’agricoltura la vicenda di Israele, un paese dal clima arido e dalle disponibilità di acqua modeste, dove la tecnologia irrigua più avanzata del Globo consentì, fino agli anni Ottanta, la produzione di agrumi e ortaggi per l’esportazione, dove, tuttavia, la crescita demografica ha sottratto all’agricoltura risorse sempre più consistenti: se nel 1950 l’agricoltura israeliana poteva disporre di 332 milioni di metri cubi, quell’entità saliva a 1.340 nel 1970, quando essa conosceva il proprio apice, scendeva a 1.162 nel 1992, per percorrere, negli anni successivi, una china inarrestabile. Come conseguenza gli agricoltori ebraici erano costretti ad abbandonare la produzione di agrumi per quella di fiori e primizie, capaci di remunerare meglio l’ultima goccia d’acqua disponibile.
 
Quanta terra occorre per mangiare carne?
Propone un esempio simmetrico l’agricoltura della provincia messicana di Celaya, dove il clima tropicale e la diffusione di pratiche razionali assicurano, per le colture cerealicole quanto per quelle orticole, rese equivalenti a quelle dei paesi più evoluti. Ma a Celaya la piovosità è esigua, i bacini fluviali, seppure ne siano stati realizzati, non si riempiono regolarmente, ed i prezzi assicurati agli agricoltori dai canoni del liberismo imposto dagli Stati Uniti ai vassalli sono tanto esigui da non consentire l’accumulazione necessaria per l’acquisto delle attrezzature irrigue disegnate in Israele. Così le falde si abbassano di 6 metri all’anno, e la più florida regione messicana è destinata a convertirsi in deserto.
Ma se l’antico Celeste Impero dispone, tra i le potenze mondiali, di una superficie agricola pro capite esigua, tutti gli analisti concordano nel riconoscere che quella superficie sarà drasticamente contratta dal travolgente progresso economico in corso nel Paese, che imporrà di convertire in strade, aeroporti e aree industriali milioni di ettari dai quali oggi si ricava uno straordinario raccolto di riso e, nel corso dell’inverno, un abbondante raccolto di frumento. Come concordano nel ritenere pressoché impossibile che la Cina riesca a destinare alla propria agricoltura, in futuro, la quantità d’acqua che oggi destina alle proprie risaie, 400 miliardi di metri cubi, sempre più contesi dai centri urbani, dalle acciaierie e dalle industrie chimiche. Se muterà dieta, l’Asia importerà cereali, importerà tutti i cereali che le consentiranno le disponibilità economiche. Siccome quelle disponibilità economiche stanno dilatandosi ad un ritmo impressionante, è, probabilmente, già iniziata la più grande rivoluzione dei flussi di derrate della storia umana.
Antonio Saltini
E’ un rilevo non privo di significato per un paese, quale il nostro, che negli ultimi cinque decenni ha drasticamente contratto, confortato dalla facilità delle importazioni, le proprie capacità produttive. Non esistono dati certi, ma è verosimile che negli ultimi cinque lustri l’Italia abbia coperto di cemento la superficie corrispondente ai due terzi del proprio fabbisogno di frumento tenero. Che oggi non saprebbe più dove produrre. Eravamo certi di poterlo acquistare in cambio dei nostri televisori, delle nostre scarpe, di camicie, pantaloni e piastrelle ceramiche. Oggi televisori, scarpe, camicie, pantaloni e piastrelle ceramiche, ai nostri antichi clienti le vende la Cina. Che vuole mangiare quello che, fino ad oggi, abbiamo mangiato noi.
Antonio Saltini
 
'''Spazio rurale, L, n. 73, lugliomarzo 2005'''