Viaggio in Dalmazia: differenze tra le versioni

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funebre. Eccovi, Mylord, quanto io ho creduto meritare di cader sotto ai riflessi vostri de’ costumi d’una nazione disprezzata, o svantaggiosamente conosciuta sino ad ora. Io non m’impegno che ad ogni villaggio di Morlacchi esattamente convengano tutti i dettagli che ho notati, viaggiando pel loro paese in luoghi assai discosti gli uni dagli altri: ma le differenze che vi si potessero trovare saranno minime. Crederò fortunate abbastanza le mie diligenze su di questo proposito, se avranno avuto il merito d’occupare non disaggradevolmente, uno di que’ ritagli del prezioso tempo, cui Voi di raro togliete alle serie applicazioni degli studi più gravi.
 
ARGOMENTO
Asan, capitano turco, resta ferito in un combattimento per modo che non può ritornarsene alla casa propria. Va a visitarlo nel campo la madre e la sorella: ma, trattenuta da un pudore che parrebbe strano fra noi, non ha il coraggio d’andarvi la di lui moglie. Asan prende per un tratto di poco buon animo questa ritrosia; si sdegna colla sposa, in un momento di primo impeto, e le manda il libello di repudio. L’amorosa donna, con angoscia acerbissima di cuore, si lascia condurre lontano da cinque tenere creaturine, e particolarmente dall’ultimo suo bambino, che giacevasi peranche nella culla. Appena ritornata alla casa paterna, fu chiesta in moglie da’ principali signori del vicinato. Il beghbegh107 Pintorovich, di lei fratello, stringe il contratto coi cadì, o giudice d’Imoski; e non bada ai prieghi dell’afflitta giovane, che amava di perfetto amore il perduto marito e i figliuolini suoi. La comitiva, per condurla a Imoski, dovea passare dinanzi alla casa dell’impetuoso
 
107 Forma turco-orientale per sovrano, principe, Nell’uso ottomano, in particolare, titolo di sovrani di Stati vassalli della Turchia.
Asan, capitano turco, resta ferito in un combattimento per modo che non può ritornarsene alla casa propria. Va a visitarlo nel campo la madre e la sorella: ma, trattenuta da un pudore che parrebbe strano fra noi, non ha il coraggio d’andarvi la di lui moglie. Asan prende per un tratto di poco buon animo questa ritrosia; si sdegna colla sposa, in un momento di primo impeto, e le manda il libello di repudio. L’amorosa donna, con angoscia acerbissima di cuore, si lascia condurre lontano da cinque tenere creaturine, e particolarmente dall’ultimo suo bambino, che giacevasi peranche nella culla. Appena ritornata alla casa paterna, fu chiesta in moglie da’ principali signori del vicinato. Il begh Pintorovich, di lei fratello, stringe il contratto coi cadì, o giudice d’Imoski; e non bada ai prieghi dell’afflitta giovane, che amava di perfetto amore il perduto marito e i figliuolini suoi. La comitiva, per condurla a Imoski, dovea passare dinanzi alla casa dell’impetuoso
 
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Asan, che di già guarito delle sue ferite se n’era tornato e trovavasi pentitissimo del repudio. Egli, conoscendo benissimo il di lei cuore, manda a incontrarla due de’ suoi fanciulli, a’ quali ella fa dei regali che di già aveva preparati. Asan si fa sentire a richiamarli in casa, dolendosi che la loro madre ha un cuore inflessibile. Questo rimprovero, il distacco de’ figliuoli, la perdita d’un marito che nel suo modo aspro l’amava quanto era amato, operano una sì forte rivoluzione nell’anima della giovane sposa, ch’ella ne cade morta all’improvviso, senza proferir parola.
<poem>
XALOSTNA PJESANZA
PLEMENITE
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Nego sciator Aghie Asan-Aghe.
On bolu-je u ranami gliutimi.
a Non essendo i vari caratteri usati in Dalmazia molto comunemente noti, credo prezzo dell’opera il trascrivere questi quattro versi ne’ tre principali, cioè nel glagolitico o geronimiano de’ libri liturgici, nel cirilliano de’ documenti antichi, e nel corsivo cirilliarso de’ Morlacchi, che molto somiglia al corsivo de’ Russi, se alcune sue note particolari se n eccettuinoneccettuino.
 
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a Non essendo i vari caratteri usati in Dalmazia molto comunemente noti, credo prezzo dell’opera il trascrivere questi quattro versi ne’ tre principali, cioè nel glagolitico o geronimiano de’ libri liturgici, nel cirilliano de’ documenti antichi, e nel corsivo cirilliarso de’ Morlacchi, che molto somiglia al corsivo de’ Russi, se alcune sue note particolari se n eccettuino.
 
 
Il corsivo de’ Morlacchi è men bene ortografato, ma mantiene più la verità della loro qualunque siasi pronunzia, da cui nel testo io mi sono un po’ allontanato.
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Il serviano maiuscolo de’ Calogeri, e il corsivo usato nell’interiore della Bosna, ch’è quasi arabizzato, sono anch’essi curiosi; ma sarebbe di noia il riferirli.
 
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CANZONE DOLENTE
DELLA NOBILE
SPOSA D’ASAN AGA’AGA’45108
 
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Che mai biancheggia là nel verde
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Nel mio bianco cortil; non nel cortile,
Né fra’ parenti miei». Nell’udir queste
 
g La mancanza di caratteri adattati mi ha costretto a usare della lettera z nostra, in luogo della slavonica, ch’equivale al ξ greco; lo hanno però fatto molti altri prima di me senza scrupolo, nel che mi è sembrato di doverli seguire a preferenza di quelli che usano della lettera alta. Non ho raddoppiato lettere, per uniformarmi all’ortografia de’ manoscritti slavonici più antichi.
108 Il gusto preromantico per la poesia popolare trovò in Fortis una precoce adesione. La Canzone della Sposa di Asan godette di un’immediata fortuna (fu tradotta da Goethe e inserita nei Volkslieder di Herder, 1778) e suscitò l’interesse di tutta Europa per i canti «illirici»: se ne occuparono Nodier, Scott, Mérimée, J. Muller, Grimm e, in Italia, Nicolò Tommaseo.
 
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Dure parole pensierosa e mesta
L’infelice rimase. Ella d’intorno
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Sui cavallo la pose, e fe ritorno
Con essa insieme alla magion paterna.
 
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Breve tempo restovvi. Ancor passati
Sette giorni non erano, che intorno
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Felicemente giunsero gli svati
Sino alla casa della sposa; e insieme
 
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Felicemente ne partir con essa.
Ma allor che presso alla magion d’Asano
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La terra percuotendo; e a un punto istesso
Del petto uscille l’anima dolente,
 
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Gli orfani figli suoi partir veggendo.
<poem>
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impressioni di varie piante palustri, fluviatili e ripensia. Questa sorte di tartarizzazione oltre all’essere curiosa è anche utile, perché opportunissima alla costruzione di muraglie e volte, agevolmente lavorabile, resistente all’azione dell’aria e poco pesante. Il corso del torrente superiore alle propriamente dette origini della Kerka non è costante, quindi l’alta cateratta d’ond’egli precipita trovavasi totalmente arida, allora che noi vi fummo verso la metà d’agosto. Dal livello del letto superiore a quello della caverna, da cui esce perenne la Kerka, v’avrà una differenza perpendicolare d’intorno a 100 piedi. Nel tempo che vi discende il torrente ingrossato, deve colà formarsi uno spettacolo magnifico. TI ciglione da cui l’acque precipitano è tutto di tofo, cui servono di base le lunghe barbe della gramigna e il musco. Egli curvasi, formando come una volta, sotto di cui v’hanno molti antri freschissimi e difesi dal sole perfettamente, ne’ quali s’entra per anguste aperture. Le falde del monte, che servono di sponde alla Kerka in quel luogo, sono tutte capovolte e mostrano stravagantissime confusioni nelle loro stratificazione. Elleno sono ripide e talvolta perpendicolari; l’impasto del marmo è il biancastro comune. Vi s’incontra qualche pezzo errante di lava durissima variolata, che dà molte scintille battuta coll’acciarino, di colore fra l’avvinato e ‘1 cenerognolo. Trovasi colà ripetuto il fenomeno, che mi colpì allora quando cavalcammo da Spalatro a Clissa sulle falde della montagna, e vidimo da lontano i lembi d’alcuni strati scoperti, che sembravano descrivere archi di cerchio coll’estremità volte all’insù. A Topolye è ancora più complicata la faccenda, imperocché non un sol ordine d’archi, ma due se ne veggono descritti l’un dopo l’altro su la medesima base, e l’estremità loro interne riunisconsi a foggia di tetto acuminato e cornuto alla chinese. Il resto del monte è tutto sconnesso, disequilibrato e rovinoso, com’è scoglioso e ineguale l’alveo della cascata. Per di sotto a questa, da un’oscura caverna esce con grande abbondanza d’acqua la Kerka. Io mi posi in capo d’entrarvi; e quindi messomi in uno zopolo (spezie di
a Stalactites vegetabilia incrustans, Linn., Syst. nat. Porus aquae crustaceus circa alia corpora concretus, Wall. Gli scheletri delle piante marciscono dopo la incrostazione e ne restano soltanto le impressioni nel tofo.
 
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barchetta cavata in un tronco d’albero, come le canoe de’ selvaggi americani), e provveduto di scheggie di pino accese tentai di navigare sotterra, in compagnia dell’egregio giovanetto signor Jacopo Hervey. Non fu del tutto vano il tentativo, quantunque grande impegno fosse il difendersi dalle protuberanze tartarose della volta e il cozzare coll’impeto dell’acqua contraria; ma le nostre fiaccole si spegnevano pella quantità di gocciole, che cadono colà dalle rupi superiori filtrandosi, e lo zopolo, affrontando il fiume laddove con molto romore scende per angusto e decive canale, se n’empiva più del bisogno. Si dovette replicatamente ritrocedere: ma con uno zopolo riparato saremmo certamente andati più oltre, e forse avremmo potuto passeggiare su le rive sotterranee del fiume. E da ricordarsi che i monti di Topolye sono della stessa catena, calcareo-marmorea, che quelli di Jerebiza, da’ quali esce con opposta direzione la Cettina. A un tiro di sasso dalla bocca della caverna, d’onde vien fuori la Kerka, v’hanno i mulini. Le ruote delle macine sono orizzontali, e i raggi loro fatti a foggia di cucchiai. Questa maniera di ruote, ch’è buona pe’ luoghi ne’ quali si può radunare poc’acqua, e l’alzarla esigerebbe molto dispendio, trovasi nel Libro delle Macchine di Fausto Veranzio114 da Sebenico, vescovo canadiense.
 
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120 Entrambi studiosi della biologia degli animali d’acqua dolce. Nel 1744 fu pubblicato, tradotto dall’inglese, l'Essai sur l’historie du polype di H. Baker, autore del famoso Microscope à la portée de tout le monde; nello stesso anno apparvero i Mémoires pour servir à l’histoire d’un genre de polypes d’eau docce à bras en former de cornes, di Trembley (1700-1784), osservazioni sulla rigenerazione dell’idra per incisione, che inaugurarono le ricerche di zoologia sperimentale.
121 Il riferimento è alle osservazioni del filosofo e naturalista svizzero Charles Bonnet (1720-1793) sulla rigenerazione dell’idra per incisione e sull’estensione ad altre specie della scoperta di Trembley.
 
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Andando per terra da Knin al monastero degli ospitalissimi CalogeriCalogeri122 di sant’Arcangeloa noi ci dilungammo mai sempre poco dal fiume, che di là alle foci scorre quasi costantemente fiancheggiato da monti marmorei, e di rado incontra valloni e campagne pelle quali si possa spandere allorché gonfia. Trovammo per la deserta Bukoviza vestigi di antiche abitazioni romane: ma che miserabili vestigi! Pietre rozzamente appianate, nelle quali veggonsi scalpellati de’ buchi in quadro per piantarvi travicelli, o altra cosa simile da sostenere le tende pegli accampamenti, giacciono da entrambi i lati lungo la via per quasi un miglio di cammino. Molti frammenti d’iscrizioni stritolate s’incontrano sparsi quà e colà, fra’ quali un pezzo di pilastro a quattro faccie adorno di basso-rilievi agli angoli, su di cui si legge in lettere massime e ben conservate un residuo d’antico elogio. V’ha ogni ragion di credere che la città distrutta in questo sito sia stata il Burnum di Procopio, e la Liburna di Straboneb123. La Tavola di Peutingero mette Burno a destra del fiume Tizio, sopra Scardona, 24 miglia lontano da Nedinum, ch’è il Nadino de’ giorni nostri, 25 miglia per l’appunto distante da questo luogo, da’ tre archi che tuttora vi si vedono chiamato Suppliacerqua, vale a dire Chiesa traforata. Non ha molti anni eglino erano cinque, e da un Morlacco due ne furono
 
122 Monaci di rito bizantino.
Andando per terra da Knin al monastero degli ospitalissimi Calogeri di sant’Arcangeloa noi ci dilungammo mai sempre poco dal fiume, che di là alle foci scorre quasi costantemente fiancheggiato da monti marmorei, e di rado incontra valloni e campagne pelle quali si possa spandere allorché gonfia. Trovammo per la deserta Bukoviza vestigi di antiche abitazioni romane: ma che miserabili vestigi! Pietre rozzamente appianate, nelle quali veggonsi scalpellati de’ buchi in quadro per piantarvi travicelli, o altra cosa simile da sostenere le tende pegli accampamenti, giacciono da entrambi i lati lungo la via per quasi un miglio di cammino. Molti frammenti d’iscrizioni stritolate s’incontrano sparsi quà e colà, fra’ quali un pezzo di pilastro a quattro faccie adorno di basso-rilievi agli angoli, su di cui si legge in lettere massime e ben conservate un residuo d’antico elogio. V’ha ogni ragion di credere che la città distrutta in questo sito sia stata il Burnum di Procopio, e la Liburna di Straboneb123. La Tavola di Peutingero mette Burno a destra del fiume Tizio, sopra Scardona, 24 miglia lontano da Nedinum, ch’è il Nadino de’ giorni nostri, 25 miglia per l’appunto distante da questo luogo, da’ tre archi che tuttora vi si vedono chiamato Suppliacerqua, vale a dire Chiesa traforata. Non ha molti anni eglino erano cinque, e da un Morlacco due ne furono
 
a I Calogeri di s. Arcangelo in Kerka conservano la pia tradizione, che s. Paolo abbia celebrato in una picciola cappellina contigua al loro monastero. I Morlacchi di rito greco concorrono a questo santuario con molta divozione, quantunque la povertà loro non permetta che vi portino ricchi doni.
b Il Menano (Topograph. Carniol.) ebbe molto men buone ragioni di mettere l’antica Burno dove ora è Gottschevia il di cui sito non fu abitato ne’ secoli romani, ed è lontanissimo da’ luoghi accennati dai geografi come vicini a Burno. Peggio ancora s’appose colui, che questa città antica si credette di ben collocare sul fiume di S. Vito, dove altre volte fu Tarsatica, e non mai Burno, che dev’essere lontano di là intorno a dugento miglia. V. Schonleben, Carniola Antiqua el Nova.
123 Qui e altrove Fortis esamina la tradizione storico-geografica antica e moderna, relativa alla Dalmazia, per ottenere una precisa e definitiva descrizione della regione. Le fonti sono vagliate anche al fine di stabilire l’esatta collocazione di un luogo o la Corrispondenza di un toponimo. E il caso di Procopio e Strabone, chiamati in causa per la presenza nelle loro opere di notizie relative alla Dalmazia. Strabone, storico e geografo greco (65 a.C. - 25 d.C. ca.) tratta, nel V libro della sua Geografia, della Tracia e dell’Illirico; Procopio (storico bizantino del VI sec.), nella sua opera maggiore, Le storie, è fonte di ricche e attendibili notizie sui popoli e le regioni dell’Impero di Giustiniano.
 
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disfabbricati per far uso del pietrame. Di quei tre che sussistono, uno ha ventun piede di corda; i due minori, che gli stanno a destra, la metà meno. Il tempo ha maltrattato assai quell’antico monumento, ch’è fabbricato di pietra dolce simile al moilon de’ Francesi, e meno compatta della nostra pietra di Nanto e di S. Gottardo ne’ monti vicentini. Quello che ce ne resta mostra però assai bene, ch’egli fu eretto ne’ buoni secoli dell’architettura. Se si potesse agevolmente far iscavare il terreno d’intorno ad esso si troverebbe ch’è benissimo proporzionato. Io l’ho fatto disegnare come attualmente si vede (Tav. V). Non vorrei determinare a qual fine sieno stati eretti i cinque archi di Suppliacerqua; sembra però dovessero stare isolati, perché le scannellature e cornici dell’arco si vedono egualmente da entrambe le facciate. Potrebb’egli essere stato un monumento trionfale di cinque archi? Rovine rimarchevoli non v’hanno colà presso: ma di sotterra cavansi grosse pietre, e ne’ contorni trovansi de’ resti d’una strada romana. Suppliacerqua è nome precisamente del sito dove sono gli archi, il tratto poi di campagna vicina sparsa di ruderi chiamasi Trajanski-grad, vale a dire Traianopoli.
 
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La differenza che passa fra la remora, o l’echeneide degli Antichi, e la paklara de’ nostri si è che la prima quasi costantemente trovasi descritta come un testaceo, la seconda è del genere delle murene. Amatemi, pregiatissimo amico; e pregatemi dal Cielo lunghi viaggi e buona salute.
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{{Centrato|A SUA ECCELLENZA MYLORD
FEDERICO HERVEY239 VESCOVO DI LONDONDERRY,
PARI D’IRLANDA,
ec. ec.}}
 
Del Primorie, o sia regione Paratalassia degli Antichi
 
Al genio vostro, infaticabile ricercatore de’ segreti della natura, che vi il conduce sovente per vie rimote ed alpestri, non mai o molto di raro calcate da’ grandi, e a quell’amicizia, cui generosamente donate a coloro che non risparmiano fatiche o disagi per aggrapparsi a leggere, nelle più aspre e dirupate montagne, l’antica istoria fisica del nostro globo, io dovetti, Mylord, la mia prima escursione in Dalmazia, e ‘l vivissimo desiderio di ritornarvi. Nel momento in cui sembrava ch’io dovessi rinunziare a questo pensiere, ed abbracciando le generose proposizioni vostre, passare alla contemplazione d’oggetti maggiori in più rimote, e peranche sconosciute terre, prevalsero combinazioni pelle quali io rivarcai l’Adriatico invece di navigare in Oceano. Rivisitai quella parte della Dalmazia ch’io avev’avuto l’onore di scorrere rapidamente in compagnia vostra; e contando di dover passare altri due anni in quel regno, mi procurai delle notizie preliminari inoltrandomi anche in quelle contrade, alle quali non vi permisero d’andare i pressanti affari vostri. Il piano della mia spedizione soffrì una non prevedibile alterazione; e quindi del poco che ho veduto dovendo contentarmi, e in necessità di provare al mondo ch’io non sono stato ozioso, diedi alle osservazioni mie quella
 
239(1730-1803). Pari d’Irlanda e Vescovo di Londonderry dal 1768, fu amico e protettore di illustri scienziati e letterati dell’epoca, tra i quali Francesco Algarotti che gli dedicò il suo Viaggio in Russia. Appassionato cultore di storia naturale, fu compagno di Fortis nell’escursione scientifica in Italia e Dalmazia del 1771.
 
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forma di cui poterono essere suscettibili, non quella che avrei voluto dar loro se le avessi a dovere compiute.
Io conto sì fattamente, Mylord, su la bontà dell’animo vostro, che mi lusingo non isdegnerete di vedervene dirette alcune, e vorrete pazientemente occuparvene, come d’una prova della costante memoria, gratitudine e tenerezza che a Voi mi congiunge, e mi terrà unito a dispetto della lontananza mai sempre.
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Quel tratto di litorale che stendesi fra i due fiumi Cettina e Narenta, il primo de’ quali Nestus e Tilurus, il secondo Naro dagli Antichi fu detto, dove racchiudevasi due secoli prima dell’era nostra la propriamente detta Dalmazia, è stato da’ Greci de’ bassi tempi conosciuto sotto il nome di Paratalassia, e quindi dagli Slavi con denominazione equivalente fu chiamato Primorie, Dai racconti d’Appiano240 rilevasi che gran numero di città v’ebbero gli Ardiei, o Vardei, parte proprie, parte tolte per forza alle nazioni vicine da loro domate, prima dell’invasione de’ Romani; e dalla Tavola peutingeriana apparisce che parecchie ve ne rimasero dopo la conquista, nelle quali stabilironsi i vincitori che vi fondarono anche de’ nuovi municipi. Di questa verità, se ci mancassero le prove, manifesto indizio darebbono le frequenti iscrizioni, che svolgendo la terra s’incontrano per que’ luoghi vicini al mare, ed anche ne’ più internati fra’ monti. L’amenità della piaggia, la fecondità de’ terreni, l’opportunità della situazione rispettivamente al commercio delle provincie interiori col mare, la ricca pescagione di quelle acque deggiono aver invitato le antiche nazioni quantunque barbare a stabilirvisi; e dalla coltura sconsigliata de’ vicini monti, e dal taglio de’ boschi che que’ popoli si saranno trovati in necessità di fare, per provvedere a’
 
240Una sezione dell’opera di Appiano (II sec. d.C.), narrazione organizzata con criteri etnografici della storia di Roma fino agli anni di Sesto Pompeo, è dedicata ai popoli illirici e traci dalle origini alla definitiva conquista romana.
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bisogni loro, deesi peravventura ripetere il deterioramento della contrada, l’inghiaiamento de’ fondi litorali, e la sfrenatezza furiosa delle acque montane, che ne rendono inabitabile qualche porzione. Macarska è a’ giorni nostri la sola città che vi s’incontri, e dalla situazione sua si puote arguire che sia sorta dalle rovine dell’antico Rataneum di Plinio, il quale dev’essere stato la cosa medesima che ‘l Retino di Dionea. Le grotte sotterranee, che in que’ contorni assai moltiplicate si trovano, sono analoghe a quelle che a detta dello storico intorno a Retino s’internavano nelle viscere de’ monti, e nelle quali ritiraronsi i Retinesi dopo d’avere incendiato la città loro, con dentro i Romani che l’aveano presa d’assalto. La totale distruzione di Retino non fece però abbandonare totalmente quel sito; da Procopio trovasi detto Muchirum e nel vi secolo trovasi chiamato Mucarum. Dal Concilio salonitano conservatoci da Tommaso arcidiacono si rileva che in quella età fu istituito un Vescovo mucarense. La lapida sepolcrale di Stefano, che il primo occupò quella sede, fu disotterrata a’ dì nostri. Poco dopo vennero gli Avari, ed occuparono il Primorie e le campagne di Narenta, che acquistarono allora il nome di Pagania perché questi nuovi ospiti erano idolatri, e s’usava di già nell’illirio il nome di Pogànini per qualificarli. E congetturabile che l’Inaronia della Peutingeriana sia un’altra denominazione di questo tratto di paese marittimo, tolta da Narona che n’era la capitale; se però non sembrasse più ragionevole il leggere Maronia con Tommaso arcidiacono: nel qual caso il vocabolo barbaro equivarrebbe a Paratalassia e a Primorie. L’Anonimo Ravennate241 prende in iscambio Mucaro per Inaronia, che nella Tavola viene nominata dodici miglia in oriente d’Oneo, o sia Almissa; Mucaro starebbe bene sette miglia più oltre, dove si vedono disegnate fabbriche senza titolo. Il Porfirogenito dà il nome di Mocros a Macarska, facendone la capitale d’una delle tre Zupanie comprese ne’ confini della Pagania, vale a dire fra le foci de’ soprannominati fiumi lungo il lido del mare. Come il nome di Pagania da Pogànin è derivato, così Mocros, e i corrotti Mucarum,
 
aDio. Cass., lib. LVI.
 
241Attribuita al cosiddetto Anonimo ravennate è una Cosmografia. rielaborazione di precedenti itinerari di provenienza romana.
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Muchirum e Muichirum probabilmente discendono dalla voce mokar ch’equivale a umido e innaffiato, e quindi conviene moltissimo al sito di Macarska bagnato da rivoli d’acqua perenne. Dopo d’aver formato parte dello stato de’ Narentani per vari secoli, distrutti que’ pirati, passò Macarska col resto del Primorie sotto l’obbedienza di vari Principi cristiani, ora piccioli or grandi, ne’ bassi tempi, indi obbedì alla Porta ottomana, e finalmente nel 1646 si diede volontariamente alla Serenissima Repubblica, che l’accolse e colmò di privilegi.
Qualunque opinione sia da tenersi del primiero nome e stato di Macarska, egli è certo che niente d’antico le rimane più a’ giorni nostri. Ella è fabbricata tutta di nuovo, ed è la sola fra le città della Dalmazia in cui non si vedano case rovinose e macerie. La sua estensione è picciola, poco numerosa la popolazione; non ha fortificazioni di sorte alcuna, anzi è del tutto priva di porte e di mura, checché ne dicano i geografi moderni, e segnatamente il Busching, che prende anche un grosso abbaglio mettendola su la cima d’un monte. Ella è al pié d’una gran montagna, e stendesi lungo le rive del suo picciolo e non ottimoa porto, in sito piano. L’aria di questo paese non era granfatto salubre nell’età passate; una palude salmastra le tramandava nel tempo distate aliti pestilenziali. Gli abitanti vennero in deliberazione di farla comunicare col mare, ben intendendo che un picciolo tratto di basso terreno, allagato da fetide acque, corrompe l’atmosfera ad una estensione molto maggiore; ed infatti l’esito corrispose perfettamente alle loro patriotiche mire, imperocché la popolazione vi va crescendo, e vi gode molto miglior salute che negli anni addietro.
I Macherani sono di svegliatissimo ingegno e particolarmente addetti al mercanteggiare. Riescono felicemente anche nella letteratura; e quant’oltre possano arrivare nella coltura dello spirito col proprio esempio, lo provava il conte abate Clemente Grubbisich242, nato in Macarska d’antica e nobile famiglia, che
 
aIl Maty e La Martiniere danno ne’ loro dizionari un gran porto a Macarska.
 
242Filologo e archeologo (1725-1773). Fu spesso a Venezia dove frequentò il Museo Nani al quale contribuì con oggetti di scavo provenienti dalla Dalmazia. Su alcuni di questi scrisse osservazioni e memorie. Studioso di lingue antiche e moderne, pubblico nel 1766 il trattato, qui
 
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nello scaduto anno 1773 immaturamente fu tolto dalla morte alla repubblica letteraria, alla patria di cui era lo splendore, ai viaggiatori che ne ritraevano lumi ed ospitalità nobilissima, a tutti i buoni che lo amavano giustamente. Egli dee aver lasciato delle pregevoli cose manoscritte, fra le quali meritano particolar menzione una Storia narentina condotta a buon termine, e un Trattato delle origini ed analogie della lingua slavonica, pieno di laboriosa erudizione. Quest’uomo dotto e di costume aureo s’era ritirato in una casa di campagna, dove coll’esempio avea intrapreso di riformare la rozza agricoltura de’ Primoriani, e attendeva da tranquillo filosofo agli studi, gustando delle vere delizie d’una solitudine ch’egli aveasi resa piacevole ed amena. Come la sua famiglia nobilissima fra le altre, così si distinse fra i letterati cittadini di Macarska monsignore Kadcich243, arcivescovo di Spalatro, che dié alla luce una Teologia morale in islavo, ad uso del clero illirico glagolitico, che ne mancava totalmente, e lasciò la sua biblioteca provveduta di buoni libri ecclesiastici a beneficio della patria, con esempio commendabilissimo. Né si vuoi fra gli scrittori macherani lasciar di nominare F. Andrea Cadcich Miossich244, del quale fu pubblicata una raccolta di canzoni eroiche nazionali; quantunque egli n’abbia fatto la scelta con poco buon gusto, e con meno criterio v’abbia introdotto una quantità di cose inutili ed apocrife.
 
Il suolo su di cui sta fabbricata Macarska è attissimo a produrre olio, vino, mandorle, mori, miele e qualche poco di grani. L’indole del terreno è leggiera e ghiaiosa, né manca d’umidità come pell’ordinario gli altri paesi litorali della Dalmazia. Si riconosce manifestamente che da’ piccioli torrenti n’è stata formata la superficie esteriore; e i torrenti medesimi nelle materie che triturarono
ricordato da Fortis, In originern et historiam alphabeti sclavonici glagolitici, vulgo hieronymiani disquisitio.
243Autore di un Manductor Illyricus (Bologna, 1729), teologia morale che si richiama agli antichi canoni, dedicata al clero illirico.
244(1704-1760). Legato apostolico in Dalmazia, Bosnia ed Erzegovina Riprendendo il gusto e la sensibi1it popolare compose una raccolta di documenti e fatti storici, da Alessandro al sec. XVIII, esposti in versi Razgovor ugodni naroda sloviskoga (Discorso piacevole sulla nazione slava, 1756), che costituisce un classico della letteratura slava. Tre poesie della raccolta, tradotte da Fortis, furono pubblicate anche da Herder nei Volkslieder.
 
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anticamente sonosi scavati gli alvei. Un ruscelletto d’acqua detto Vrutak attraversa la piazza della città; non è però così dolce che possa servire a bevanda salubre, quantunque sorga da luogo elevato di molto sopra il livello del mare. Il popolo attinge acqua leggiera e purissima dal ruscello Budieviza, che scende dalla villetta di Cotisina e mette in mare vicino a Macarska. Sembra che ad onta delle ghiaie portate al lido dalle acque montane, il mare abbia guadagnato, e guadagni continuamente, in quelle vicinanze. Nel tempo di calma vedesi sott’acqua nell’imboccatura del porto un pezzo di muraglia, che non dovett’essere fabbricato certamente sotto l’onde ne’ tempi antichi; e lo scoglio detto di S. Pietro, che copre il porto medesimo, soffre uno smantellamento assiduo, quantunque non rapido, dalla violenza de’ flutti, come gli altri promontori di quel litorale. La palude contigua, dove l’acque stagnavano negli ultimi tempi per non poter avere libero corso in mare, somministrò anch’essa una prova di questo alzamento del livello. Nello scavarvi la comunicazione, di cui vi ho già fatto cenno, si trovarono i residui d’un magnifico sepolcro, e pezzi di nobili colonne. Io ho veduto a Macarska una bellissima medaglia di Marco Giulio Filippo in oro, tratta da queste fondamenta che non saranno state originariamente piantate in un sito allagato.
 
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Il più alto monte che sorga lungo le rive del Primorie si è il Biocova, alle radici del quale giace la città di Macarska. Egli apparisce di lontano bianco e spoglio d’alberi, e ben gli convengono ad un tratto ambedue i nomi d’Albio e d’Adrio che portò anticamente. L’aspetto nudo, sassoso e scosceso di questa montagna disabitata, presenta tutte le male qualità bastevoli a dissuaderne il viaggio. Non è possibile l’andarvi con cavalcature di sorte alcuna: e riesce per conseguenza malagevole anche l’arrampicarvisi co’ piedi e colle mani. La curiosità d’andar a
 
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vedere le ledenizze, o conserve naturali di ghiaccio, che nell’ardente bollore della state mantiensi nelle caverne della più alta parte della montagna, mi spinse ad intraprenderne la scalata. Il soavissimo amico mio, signor Giulio Bajamonti, acconsentì a tenermi compagnia. Noi partimmo allo spuntare del giorno da Macarska, con due Primoriani per guide, senza de’ quali non sarebbe venuto il mio prudente compagno, che non istimava benfatto d’esporsi a qualche incontro di Haiduci, molti de’ quali assicurati dall’asprezza del sito abitano come lupi pelle grotte del Biocovo. Io più inconsiderato, o più disposto a contare su la probità di que’ banditi, i quali pur troppo spesso Io sono pell’avarizia d’un rapace ministro, piucché per un vero delitto commesso, sarei andato volontieri anche solo il dorso della montagna è tutto rovinoso, e i sentieri meno impraticabili a’ quali dovemmo determinarci furono quelli pe’ quali scendono le piovane; le ghiaie e i sassi rotti ci mancavano sotto i piedi, e ricordavanmi la faticosa salita del Vesuvio, nella quale io ebbi l’onore d’accompagnarvi, dove pur troppo a lungo ci accadde di mettere un piede innanzi, per trovarci un passo addietro.
La bella vista del mare, de’ promontori e dell’isole, che di lassù si gode perfettamente, fu quasi il solo compenso della nostra fatica. Le diacciaie, alle quali per un ben lungo e disastroso cammino, saltando di roccia in roccia vollimo portarci, non aveano più ghiaccio sul principio d’ottobre. Noi discesimo in una profondissima voragine, che riceve lume dall’alto, e di fianco poi diramasi chi sa quanto addentro le viscere della montagna; vi trovammo un freddo acutissimo. Al di fuori vidimo degli abbeveratoi di legno, dove i pastori sogliono squagliare il diaccio e la neve pelle loro greggie. La montagna è quasi del tutto spoglia d’alberi, anche nelle profondità più impraticabili; molto di raro in proporzione della sua estensione, vi si vedono residui di selva antica, i quali pur vi si dovrebbono ritrovare lontano dall’abitato e in luoghi inaccessibili, d’ond’è fisicamente impossibile il trasporto de’ gran tronchi. Ma il fuoco acceso da’ pastori, talora per riscaldarsi, e talor anche per procurarsi uno spettacolo selvaggio, ha distrutto
 
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anche questi. Dicono che gl’incendi cagionati da sì tenui principi durarono alcuna volta de’ mesi interi.
La parte alta del Biocovo è composta di breccia e di marmo biancastro volgare. Così ne’ massi della prima, come in quelli della seconda pasta, trovansi erranti de’ pezzi di selce angolosa, screpolosa al di fuori, piena di corpicelli marini, e che nell’interno è poi dura, unita, semidiafana, e capace di lucidissimo ed uguale pulimento. Le radici di questa montagna stendonsi lungo il mare, da un capo all’altro del territorio di Macarska, e quindi alla litografia245litografia di essa appartengono tutti i fossili, de’ quali m’accaderà di farvi parola in questa mia lunga diceria, a misura che anderò toccandovi i vari luoghi dove gli ho osservati e raccolti.
Prima però di finir di parlare del mio viaggio al Biocovo, per darvi un saggio del carattere de’ Primoriani contadini, voglio aggiungere una picciola avventura che abbiamo incontrato nello scendere da quella montagna. I due uomini che ci precedevano, armati secondo il solito della nazione, incontrarono una vipera lungo il sentiero che se ne andava tranquillamente pe’ fatti suoi. L’uno e l’altro a gara eccitaronsi ad ucciderla a colpi di pietra, e malgrado alle intercessioni nostre si ostinarono a farlo, dicendo ch’ella era un demone malefico nascosto sotto quell’aspetto; eglino deviarono anche pell’orrore dalla strada per cui ella poteva avere strisciato. Il signor Bajamonti, avendo detto loro molte cose affinché conoscessero la stravaganza di questo pensare, tolse di terra la morta bestia, ch’era da essi ancora guardata di lontano con occhio pauroso, e andò verso di loro perché vedessero che veramente ell’era morta. Que’ due brutali ad un tempo si posero in istato di scaricare due armi da fuoco contro di lui, prorompendo nell’ingiurie e nelle minaccie più decisive: e fu veramente un tratto di buona fortuna che l’amico nostro non gettasse la morta biscia, come avea accennato di fare, verso di loro; nel qual caso indubitatamente sarebbe restato ucciso sui momento. Or non ebb’egli il torto di voler delle guide primoriane per difesa della persona? Fu detto per iscusarli che la superstizione è causa di tutto questo; tanto
 
245Ovviamente da intendersi come quella parte della scienza naturale che studia l’origine e la natura delle pietre.
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peggio affedidieci246! Io troverei questa gente orribile se fosse capace di tanto, anche mossa dallo spirito di buona religione.