Pagina:Cristoforo Colombo- storia della sua vita e dei suoi viaggi - Volume I (1857).djvu/361: differenze tra le versioni

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{{Pt|l’Occidente,|all’Occidente,}} formava tutto ad un tratto un gomito immenso e si dirigeva al Nord. Tempesta, quale non fu mai che europeo ne provasse una simile in quei climi, fecein correre gran pericolo: quando cessò, si trovarono in mezzo a scogli a fior d’acqua, ad isolotti fra cui si avanzarono manifestamente guidati dalla Provvidenza. Un numero infinito di bassi-fondi formavano colà una maniera di labirinto: a vederli somigliare mazzi di verzura e di fiori, Colombo li chiamò collettivamente ''i Giardini della Regina''. I suoi ufficiali lo supplicavano di uscir di là, ove l’indietreggiare non era men difficile dell’avanzare: si correva il risico di affondare ad ogni istante: colpi di vento, che venivano da diverse parti, costringevano a continue manovre. Impendeva doppio pericolo, a motivo degli scogli che minacciavano le chiglie e del fondo pantanoso che non tratteneva le áncore.
CAPITOLO QUARTO 355

r Occidente, formava tutto ad un tratto un gomito immenso
Fenomeni particolari attiravano l’attenzione dell’ammiraglio. I capricci dell’atmosfera presentavano una periodicità atta a sorprendere quel grande osservatore. Ogni mattina il vento veniva dall’est, ogni sera dall’ovest; e sull’entrar della notte nubi sinistre giungevano dall’Occidente, e si sviluppavano sul zenitth, presentando nelle loro profondità baleni seguiti da tuoni: ma appena la luna appariva sull’orizzonte, tai minaccianti apparenze si dileguavano incontanente. Queste singolarità atmosferiche, e questo numero prodigioso di picciole isole recavano Colombo a credere di essere nell’arcipelago dei cinque mila isolotti situati all’estremità dell’India, di cui parlano {{AutoreCitato|Marco Polo|Marco Polo}}, e {{AutoreCitato|John Mandeville|Mandeville}}; nè voleva abbandonarlo prima di averlo perfettamente riconosciuto.
e si dirigeva al Nord. Tempesta , quale non fu mai che euro-

peo ne provasse una simile in quei climi , fecegli correre gran
Seguitò, pertanto, in mezzo ad incessanti pericoli, e fatiche incredibili, l’esplorazione di quelle isole, disseminate non meno di bellezze, che di pericoli: la maggior parte era disabitata: nella più grande, che l’ammiraglio chiamò Santa Maria, trovò capanne i cui abitatori fuggirono, quantità di oche, di aironi e quattro cani muti di ignobile aspetto, che gl’indigeni ingrassavano per poi mangiarli. Una vegetazione gagliarda occultava infiniti uccelli marini, cormorani, alcatraz ed anitre. I voli e le grida di papagalli d’ogni colore animavano quelle solitudini.
pericolo : quando cessò , si trovarono in mezzo a scogli a fior
d' acqua , ad isolotti fra cui si avanzarono manifestamente
guidati dalla Provvidenza. Un numero infinito di bassi-fondi
formavano colà una maniera di labirinto : a vederli somigliare
mazzi di verzura e di fiori, Colombo li chiamò collettivamente
i Giardini della Regina. I suoi ufficiali lo supplicavano di uscir
di là, ove r indietreggiare non era men difficile dell' avanzare :
si correva il risico di affondare ad ogni istante : colpi di vento,
che venivano da diverse parti, costringevano a continue mano-
vre. Impendeva doppio pericolo, a motivo degli scogli che mi-
nacciavano le chiglie e del fondo pantanoso che non tratteneva
le àncore.
Fenomeni particolari attiravano l'attenzione dell'ammiraglio.
I capricci dell' atmosfera presentavano una periodicità atta a
sorprendere quel grande osservatore. Ogni mattina il vento ve-
niva dall'est, ogni sera dall'ovest; e suU' entrar della notte nubi
sinistre giungevano dall'Occidente, e si sviluppavano sul zenitth,
presentando nelle loro profondità baleni seguiti da tuoni: ma
appena la luna appariva suU' orizzonte , tai minaccianti appa-
renze si dileguavano incontanente. Queste singolarità atmosfe-
riche , e questo numero prodigioso di picciole isole recavano
Colombo a credere di essere neh' arcipelago dei cinque mila
isolotti situati all'estremità dell' India, di cui parlano Marco Polo,
e Mandeville; ne voleva abbandonarlo prima di averlo perfetta-
mente riconosciuto.
Seguitò , pertanto , in mezzo ad incessanti pericoli , e fatiche
incredibili, l' esplorazione di quelle isole, disseminate non meno
di bellezze, che di pericoli: la maggior parte era disabitata: nella
più grande, che l'ammiraglio chiamò Santa Maria, trovò capanne
i cui abitatori fuggirono , quantità di oche, di aironi e quattro
cani muti di ignobile aspetto , che gì' indigeni ingrassavano per
poi mangiarli. Una vegetazione gagliarda occultava infiniti uccelli
marini, cormorani , alcatraz ed anitre. I voli e le grida di pa-
pagalli d' ogni colore animavano quelle solitudini.
RosELLT, Crisi. Colombo, T. I. 23
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