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LETTERA DI RANIERI CALZABIGI 3
noi venne fin qui chiamata Tragedia. Il maggior vanto che dar le
possiamo è d’essere composta colle regole che Aristotele prescrisse;
perché avendocene il Trissino dato il modello nella sua Sofonisba,
niuno ha ardito di allontanarsene.
Ma perché, mi si dirá, ci siamo noi fermati in questi limiti,
tanto dalla perfezione tragica lontani? Perché nissuno fra noi
(quando per altro ad ogni passo c’incontriamo in poeti, o che tali
si chiamano) ha fin qui prodotto una tragedia da mettere in confronto
con quelle de’ Greci, o almeno de’ Francesi, che si ammirano?
Perché, quasi disperando di rivaleggiarli, ci siam noi rivolti
a quel genere di drammi per musica, che ridicoli nel caduto secolo,
sono poi stati dal Zeno resi piú sopportabili, e dal Metastasio
perfezionati; lasciando in potere di quei nostri vicini il coturno e
la laurea tragica, senza tentare sforzi ulteriori per disputargliela?
Risponderò separatamente a questi quesiti, figurandomi d’averne
trovata la soluzione.
Dopo la Sofonisba del Trissino di sopra citata, che andò in
scena in Roma; dopo alcune altre tragedie (che furono i nostri
primi vagiti tragici) in Firenze e in Ferrara rappresentate, non ci
mancarono in vero i poeti che continuarono a scriverne delle
nuove, ed ottennero di esporle sopra i teatri.
Ma quali furono questi nostri teatri? Alcune poche volte teatri
di Corte, e per lo piú di signori, i quali, o ne’ loro palazzi, o nelle
loro ville, li fecero fabbricare. In queste temporarie scene, o da
cortigiani comandati dal principe, o da cavalieri e dame amici,
volontariamente uniti in compagnia, quelle tragedie che si sceglievano,
una o poche piú volte si recitavano in societá. Cosi l’Italia
non avendo mai posseduto teatro tragico permanente né attori
di professione, questi tali spettacoli non si poterono propriamente
chiamare che tentativi passaggieri, e di poco o nissun profitto
per l’arte.
Peggio poi fu quando le truppe d’istrioni, che sole han sempre
sulla scena italiana regnato, s’impadronirono di quelle piú o meno
informi tragedie, fatte comuni per via della stampa. Ognuno sa di
qual sorte di sciocchi, e sgraziati buffoni, queste truppe vagabonde
siano per lo piú state composte. È noto a tutti, che la maggior
parte di questi barbari attori, gente della plebe piú inculta e meno
educata, è per lo piú nata in quelle provincie nelle quali la pura
nostra lingua, né si parla, né si sa pronunziare: e però scilinguando
costoro una tragedia, producono negli uditori quella sensazione