Pagina:Deledda - La giustizia, Milano, Treves, 1929.djvu/296: differenze tra le versioni
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— Al babbo!, sentenziò Stefano senza esitazione.
— È vero.
Allora don Piane non ebbe più soggezione di don Costantino; s’avvicinò, stese sul bimbo i braccini tremanti, in atto di possesso, e baciando Maria si mise a pianger di gioia.
Nel veder suo padre per sempre stretto a Maria, Stefano, anzi che trovar ridicolo quel puerile pianto di gioia, provò un principio di dolcezza.
— Che matto!, disse don Costantino curvo a piè del letto, accomodando la coperta. — Sicuro che ti somiglia! Ti mancano solo le fasce, Piane Arca!
Stefano seguì con gli occhi i movimenti delle mani del suocero, e s’avvide che la coperta del letto, a fondo bianco sparso di rose vermiglie, era quella stessa tessuta da Maria, cominciata nel dolore della disperazione e terminata nel gaudio di una speranza; e non seppe come, e non seppe perché; ma questo particolare finì d’intenerirlo. Nella penombra della camera, fra lo stordimento che continuava a velargli la mente, il letto nuziale gli parve coperto da una splendida profusione di rose; rose create dalle pure delicate mani della sposa per adagiarvi la vivente rosa del suo amore.
Infatti, mentre il pallidissimo volto di lei svaniva nel candore delle lenzuola e dei guanciali,