Pagina:Discorsi sopra la Prima Deca di Tito Livio (1824).djvu/50: differenze tra le versioni

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{{Pt|siderio|desiderio}} grande di dominare, ed in questi solo desiderio di non essere dominati; e per conseguente maggiore volontà di vivere liberi, potendo meno sperare di usurparla che non possono li Grandi; talchè essendo i Popolani preposti a guardia d’una libertà, è ragionevole ne abbiano più cura, e non la potendo occupare loro, non permettano che altri l’occupi. Dall’altra parte, chi difende l’ordine Spartano e Veneto dice, che coloro che mettono la guardia in mano de’ potenti, fanno due opere buone; l’una, che satisfanno più all’ambizione di coloro ch’avendo più parte nella Repubblica, per avere questo bastone in mano, hanno cagione di contentarsi più; l’altra, che lievano una qualità di autorità dagli animi inquieti della Plebe, che è cagione d’infinite dissensioni e scandali in una Repubblica, e atta a ridurre la Nobiltà a qualche disperazione, che col tempo faccia cattivi effetti. E ne danno per esempio la medesima Roma, che per avere i Tribuni della Plebe questa autorità nelle mani, non bastò loro avere un Console plebeo, che li vollono avere ambedue. Da questa e’ vollono la Censura, il Pretore, e tutti gli altri gradi dell’Imperio della città; nè bastò loro questo, che menati dal medesimo furore, cominciarono poi col tempo a adorare quelli uomini che vedevano atti a battere la Nobiltà; donde nacque la potenza di Mario, e la rovina di Roma. E veramente, chi discorresse bene l’una cosa e l’altra, potrebbe stare dubbio, quale da lui fusse eletto
{{Pt|siderio|desiderio}} grande di dominare, ed in questi solo desiderio di non essere dominati, e per conseguente maggiore volontà di vivere liberi, potendo meno sperare d’usurparla che non possono li Grandi; talchè essendo i Popolani preposti a guardia d’una libertà, è ragionevole ne abbiano più cura, e non la potendo occupare loro, non permettano che altri l’occupi. Dall’altra parte, chi difende l’ordine Spartano e Veneto dice, che coloro che mettono la guardia in mano de’ potenti, fanno due opere buone; l’una, che satisfanno più all’ambizione di coloro ch’avendo più parte nella Repubblica, per avere questo bastone in mano, hanno cagione di contentarsi più; l’altra, che lievano una qualità di autorità dagli animi inquieti della Plebe, che è cagione d’infinite dissensioni e scandali in una Repubblica, e atta a ridurre la Nobiltà a qualche disperazione, che col tempo faccia cattivi effetti. E ne danno per esempio la medesima Roma, che per avere i Tribuni della Plebe questa autorità nelle mani, non bastò loro avere un Console plebeo, che li vollono avere ambedue. Da questa e’ vollono la Censura, il Pretore, e tutti gli altri gradi dell’Imperio della città; nè bastò loro questo, che menati dal medesimo furore, cominciarono poi col tempo a adorare quelli uomini che vedevano atti a battere la Nobiltà; donde nacque la potenza di Mario, e la rovina di Roma. E veramente chi discorresse bene l’una cosa e l’altra, potrebbe stare dubbio, quale da lui fusse eletto