I pescatori di trepang/18. Caccia alle testuggini: differenze tra le versioni

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{{Centrato|18.}}
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Il tetto costruito di foglie di ''arecche'', di cocco e di leggeri bambù, aveva preso fuoco alle due estremità e si erano pure incendiate le pareti e il margine posteriore della grande piattaforma.
 
Le vampe, che ingigantivano rapidamente, trovando un buon alimento in quelle foglie ed in quei legni secchi, illuminavano la notte tingendo la sottostante pianura e le boscaglie d'una luce sanguigna. Densi nuvoloni di fumo s'alzavano vorticosamente sotto i soffi della brezza notturna
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e dal tetto rovinavano stuoie e graticci infiammati, tizzoni ardenti che rimbalzavano sulla piattaforma provocando altri incendi e nembi di scintille le quali volavano via, solcando le tenebre come stelle. Anche la piattaforma inferiore aveva preso fuoco e si udivano i bambù a crepitare sotto le fiamme e cadere al suolo con sordo rumore.
 
Il capitano ed i suoi compagni, impotenti a resistere in mezzo a quell'abitazione che diveniva una fornace ardente, balzarono sulla piattaforma esterna attraversando i vortici di fumo che li acciecavano.
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Si lasciarono scivolare a terra e s'allontanarono rapidamente, correndo in direzione opposta a quella dei pirati. S'arrestarono solamente all'estremità della pianura, celandosi in mezzo ad una folta foresta di ''arecche'' e di banani selvatici.
 
La casa aerea fiammeggiava come un'immensa torcia
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e stava per crollare. Lunghe fiamme s'alzavano e si abbassavano colle selvagge contrazioni dei serpenti, lanciando in aria nuvoloni di fumo e nembi di scintille.
 
Il tetto era crollato, le due piattaforme, già quasi tutte
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distrutte, cadevano a pezzi ed i bambù consumati alle estremità superiori e nei punti d'appoggio, precipitavano al suolo con grande fracasso, minacciando d'incendiare i cespugli e le piante arrampicanti.
 
– Era tempo! – esclamò Cornelio. – Pochi minuti di ritardo e noi precipitavamo da un'altezza di sedici metri, e mezzo arrostiti.
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– Lo credo, poiché non so come potremo poi guadagnar Timor.
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– Andiamo, amici, prima che giungano i pirati od i loro avversari. Cerchiamo un corso di acqua per dissetarci e delle frutta da porre sotto i denti.
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Sulle rive di quel fiume abbondavano i mangostani che producono delle frutta colla polpa bianca, divisa in chicchi, racchiusa in una buccia amara e somigliante a quella di un melogranato. Sono senza dubbio le migliori che esistano, riunendo l'aroma di mille frutta, ed in bocca si fondono come un gelato.
 
Non mancavano nemmeno i ''pombo'', aranci colossali, grossi come la testa di un fanciullo, prodotti dal ''citrus
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decumanus'' chiamato dai malesi ''buà kadangsa'', ottimi a mangiarsi.
 
Calmata la fame, rassicurati dal silenzio profondo che regnava sotto quella gigantesca foresta e sulle rive del fiumicello, si sdraiarono in mezzo ad una folta macchia di cespugli e s'addormentarono tranquillamente, in attesa del sole. Il loro sonno non fu turbato da alcun avvenimento. Le grida d'una banda di pappagalluzzi che aveva preso dimora fra i rami d'un gigantesco ''tek'', li svegliò ai primi albori.
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Wan-Stael non s'ingannava: attraverso alle piante acquatiche si vedevano avanzarsi sui banchi di sabbia, degli animali bizzarri, di forma circolare ma un po' allungata, del diametro di oltre mezzo metro, con delle brevi gambe che pareva uscissero da una specie di scudo.
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– Cosa sono? – chiesero Cornelio e Hans.
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– Di erbe, di radici, di lombrichi, d'insetti acquatici e quelle marine di alghe e di piccoli crostacei.
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– Si trovano anche in altri paesi?
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– Il quale non tarderà a morire, così spaventosamente mutilato.
 
– No, Cornelio. Quantunque privo del suo guscio, che fu la
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sua culla e che dovrebbe essere anche la sua cassa mortuaria, il povero anfibio vive. Va a nascondersi in qualche fessura che diventa il suo ospitale, rifà la pelle scorticata dall'avido cacciatore ed a poco a poco il suo guscio, il quale però non sarà più così bello, né così liscio come il primo.
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– Poveri anfibi!.. Perdono la casa e rifanno un abituro forse incomodo.