I naufraghi dello Spitzberg/12. Le pressioni dei ghiacci: differenze tra le versioni

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La tempesta invocata dal baleniere, brontolava sull'orizzonte settentrionale, ma non scoppiava ancora. Dense masse di vapori si accumulavano in direzione delle Spitzberg, pronte a lanciarsi attraverso l'Oceano Artico ai primi soffi del freddo vento polare, ma tre giorni erano già trascorsi da che il ''wacke'' era stato imprigionato fra il banco e le coste dell'isola degli Orsi, senza che il mare si accavallasse e rompesse, coi suoi formidabili urti, le barriere dei ghiacci.
 
L'equipaggio però non aveva perduto il suo tempo. Approfittando della vicinanza dell'isola, tutte le mattine bande di cacciatori raggiungevano la costa o col mezzo della baleniera che era stata trascinata sul margine esterno del ''wacke'' o passando attraverso ai banchi, facevano le fucilate contro gli uccelli marini, contro le foche e le morse che si mostravano numerose in quei paraggi.
 
In tal modo la carne fresca non mancava a bordo, con grande vantaggio della salute di tutti.
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La mattina del quarto giorno, cioè del 25 ottobre, il ''wacke'', pressato forse dai banchi che lo circondavano e che il freddo intenso dilatava, subì delle violenti oscillazioni ed il ghiaccio del bacino, che si era nuovamente formato, si sollevò attorno alla nave.
 
Nel pomeriggio, mentre le nebbie accumulate sull'orizzonte settentrionale cominciavano a coprire l'isola degli Orsi, il campo cominciò a crepitare, a tuonare ed a muggire. Qua e là si sollevavano dei grandi crostoni di ghiaccio, irrompevano dei blocchi di grossa mole, oscillavano le piramidi che si erano nuovamente formate, si aprivano buchi e crepacci.
 
La ''Torpa'', stretta dai ghiacci del bacino che continuavano a sollevarsi, gemeva, si spostava, oscillava tutta ed i suoi puntali e le traverse del frapponte pareva che si piegassero ad arco, sotto una pressione irresistibile.
 
Tutto l'equipaggio era salito precipitosamente in coperta, ma si trovava impotente a combattere quel formidabile nemico, che da un istante all'altro poteva sfondare i fianchi della nave. Tutti si erano muniti del loro sacco da viaggio, di provviste e del fucile per essere pronti ad abbandonare il legno ed a salvarsi nei magazzini dove si trovavano le scialuppe.
 
Tompson e Jansey, l'uno a prora e l'altro a poppa, osservavano attentamente le convulsioni del ''wacke'', mentre l'''ice-master'', aiutato da una dozzina di marinai, s'affannava a rinforzare frettolosamente le traverse ed i puntali.
 
Le pressioni continuarono parecchie ore con poche interruzioni, sollevando la ''Torpa'' specialmente a poppa ed a tribordo, poi le vibrazioni del banco a poco a poco cessarono, gli scricchiolìi s'indebolirono e la calma tornò.
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– Nessun danno alla stiva? – chiese Tompson all'''ice-master'', che era salito sul ponte.
 
– No, capitano – rispose il pilota. – La ''Torpa'' ha resistito meravigliosamente alla terribile prova.
 
– Ma temo che siano rimasti danneggiati i magazzini – disse Jansey, che li aveva raggiunti. – Da quella parte il ghiaccio si sollevava impetuosamente.
 
– Prima che la nebbia cali sul banco, andremo a vedere – disse Tompson. – Mi preme che le nostre provviste non vadano perdute.
 
– Andrò io, capitano – disse il pilota.
 
Si armò di un bastone colla punta ferrata per scandagliare i crepacci e senza chiedere l'aiuto di nessuno, si avventurò sul ghiaccio del bacino che si era ancora rinchiuso attorno alla ''Torpa''.
 
Osservò dapprima i fianchi della nave per vedere se avevano sofferto, poi si diresse verso il margine interno del bacino, evitando con cura i crepacci.
 
Il banco non tuonava più, però sotto la crosta si udivano ancora dei sordi fremiti i quali annunciavano nuove pressioni.
 
– Temo che passeremo una brutta notte – mormorò il vecchio pilota.
 
Giunto presso i magazzini, constatò che le muraglie di ghiaccio delle tettoie erano state gravemente danneggiate, ma che il fabbricato centrale aveva resistito. Solamente una parete si era screpolata, ma si poteva facilmente riparare.
 
Avendo osservato che al di là dei magazzini si apriva un canale, si spinse verso quella direzione per vedere fin dove si prolungava, ma aveva percorsi appena duecento passi, quando si sentì atterrare da una massa biancastra slanciatasi giù da un ''hummok''.
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Mandò un urlo acuto: in quella massa, che gli si era brutalmente scagliata addosso, aveva riconosciuto un orso bianco.
 
Colla rapidità del lampo, si sottrasse alla stretta mortale strisciando sul ghiaccio e cercò di rimettersi in piedi per fuggire verso la nave, ma l'orso con un colpo di zampa lo fece cadere.
 
– Aiuto!... – urlò il disgraziato.
 
Poi radunando tutte le sue forze, si mise a lottare con disperata energia contro quel pericoloso e affamato avversario. Era riuscito ad impugnare il bastone colla punta ferrata e colpire furiosamente, all'impazzata, ma non era un'arma adatta per ottenere la vittoria. L'animale pareva che nemmeno s'accorgesse di quei colpi di punta che appena attraversavano la sua folta pelliccia e avventava zampate per squarciare il cranio od il petto del pilota.
 
Già la casacca di pelle di foca era stata lacerata sopra la spalla destra e gli unghioni avevano intaccate le carni, quando si udirono due voci a gridare:
 
– Coraggio, ''ice-master''!
 
Due uomini correvano attraverso il banco: erano Tompson e Jansey.
 
Essi avevano udito il grido di soccorso, avevano scorto confusamente, fra la nebbia, l'orso bianco che assaliva il povero pilota e si erano precipitati sul ghiaccio del bacino, l'uno armato di fucile e l'altro di una scure, senza attendere i marinai che erano saliti frettolosamente in coperta.
 
A quaranta passi, Tompson puntò il fucile e fece fuoco. L'orso, colpito in una spalla, cadde emettendo un urlo di furore, ma si rialzò ben presto e si fece addosso al baleniere.
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Questi però non era uomo da spaventarsi: mancandogli il tempo di prendere una cartuccia, afferrò l'arma per la canna e servendosi a guisa di mazza, si mise a tempestare l'avversario con un vigore sovrumano e con una rapidità fulminea, mirando a colpirlo sul muso. Quell'abile manovra diede tempo a Jansey di giungere sul campo della lotta. Il capitano della ''Gotheborg'' non era da meno di Tompson e non era alle sue prime armi. Vedendo il compagno in pericolo, assalì l'orso a tergo e con due colpi di scure ben assestati riuscì ad abbatterlo e per sempre.
 
– Grazie, Jansey – disse Tompson. – Se tardavate ancora un po', mi si spezzava il fucile.
 
– Lo credo, Tompson – rispose il capitano del ''Gotheborg''.
 
Poi tutti e due si slanciarono verso il pilota che era rimasto sdraiato fra la neve. Il povero uomo era stato male conciato da quell'improvviso assalto. La sua giubba di pelle di foca era stata lacerata e gli artigli della belva gli avevano prodotte due profonde ferite alle spalle.
 
– Imprudente – gli disse Tompson. – È stata una vera pazzia scendere sul banco senz'armi.
 
– Non si era mai veduto un orso prima d'oggi, capitano – rispose il pilota.
 
– Ma voi sapete che quei furfanti, nascosti fra le nevi, attendono le prede per delle intere settimane.
 
– Bah!... Non mi ha poi divorato.
 
– Ma se tardavamo a giungere, quel birbante vi schiacciava il cranio come fosse un biscotto. Fortunatamente le vostre ferite non sono gravi e fra una settimana o due potrete riprendere le vostre funzioni.
 
I marinai della ''Torpa'', giungevano allora da tutte le parti. Quattro di loro presero il pilota e lo trasportarono
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a bordo, mentre gli altri trascinavano via l'orso che prometteva degli squisiti arrosti.
 
Durante il resto della notte le pressioni si fecero sentire ancora, ma debolmente. Verso le due del mattino però, il ''wacke'' subì una stretta violentissima che produsse altre spaccature e che fece crollare buona parte delle tettoie e la facciata del magazzino. Anche la ''Torpa'' fu sollevata a poppa con impeto e la catena di babordo del timone fu spezzata.
 
Il 26 ottobre il ''wacke'', sotto le continue pressioni dei banchi della costa, del ''floe'' e degli ''ice-bergs'' che si accumulavano dietro di lui, cominciò a spostarsi. Il vento del nord soffiava con grande violenza sollevando grosse ondate e raddoppiava la velocità della corrente; quelle spinte continue, irresistibili e gli urti degli ''ice-bergs'' dovevano finire col farlo trionfare.
 
Infatti i banchi a poco a poco si disgregavano ed il ''floe'', percosso lungo i suoi margini, diminuiva a vista d'occhio e cedeva sotto gli sforzi del ''wacke'', il quale tentava di aprirsi il passo per riprendere la sua discesa verso il sud.
 
A mezzodì il ''wacke'' tornò a spostarsi con lunghi crepitìi e nello sforzo che faceva, esercitava delle pressioni violentissime sul bacino, il cui ghiaccio non aveva che poco spessore. I margini interni del grande banco tendevano a restringersi sempre ed a riunirsi prendendo in mezzo la ''Torpa''.
 
– La faccenda diventa seria – disse Tompson a Oscar, che osservava l'avvicinarsi dei margini interni. – Noi resteremo senza il bacino.
 
– Ma il ''wacke'' riprenderà la sua libertà e si rimetterà in marcia verso il sud, capitano – rispose il professore.
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– È vero, ma la ''Torpa'' corre il pericolo di rimanere schiacciata. Se viene presa fra i margini del ''wacke'', che devono avere uno spessore enorme, non potrà resistere.
 
– La nave però tende sempre a sollevarsi.
 
– È vero, professore, ma correrà anche il pericolo di rovesciarsi.
 
– Riprenderà più tardi il suo appiombo.
 
– Purché non le manchi poi il tempo e invece s'inabissi. Toh!... Il ''wacke'' si sposta ancora.
 
– E sempre verso il sud, signor Tompson. Vuole lasciare l'isola degli Orsi e condurci gentilmente in Norvegia.
 
– Farei a meno della sua compagnia, professore. Se poi...
 
Una serie di detonazioni formidabili gli troncò la frase. I margini esterni del ''wacke'' che stringevano il ''floe'' ed i banchi della costa, diroccavano con grande fracasso, mentre i margini interni del bacino, compressi da una spinta irresistibile, s'avanzavano gli uni contro gli altri, frantumando il debole ghiaccio formatosi alla superficie del mare.
 
Tutto l'equipaggio erasi radunato in coperta e guardava, con ansietà, l'avanzarsi dei ghiacci. Perfino gli ''ice-bergs'' che avevano ostruito il canale del bacino si erano messi in moto e marciavano, tutto fracassando dinanzi a loro, in direzione della ''Torpa''. Se il ''wacke'' non riusciva a riacquistare la sua libertà ed a sfuggire a quelle strette, per la nave stava per suonare la sua ultima ora.
 
Grida di terrore e domande angosciose s'alzavano tra i marinai:
 
– Stiamo per venire schiacciati!...
 
– Ai magazzini!...
 
– Si salvi chi può!...
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– Capitano Tompson!... Fuggiamo!... Capitano Jansey!...
 
– Calma, ragazzi!... – tuonavano i due comandanti, i quali, anche in mezzo a quel grave pericolo, conservavano una calma ammirabile. – Attendiamo alcuni istanti ancora!...
 
I margini continuavano a restringersi minacciosamente attorno alla ''Torpa'', mentre l'intero ''wacke'' oscillava, si screpolava, muggiva e tremava. Lo sforzo che esercitava sui banchi e contro il ''floe'' doveva essere tremendo, poiché si vedevano perfino degli ''ice-bergs'' stritolarsi, come se fossero rinchiusi in una morsa di ferro di potenza incalcolabile.
 
Guai se la ''Torpa'' si fosse trovata in mezzo a quelle pressioni: sarebbe stata schiacciata come una semplice nocciuola.
 
Il pericolo aumentava sempre con rapidità spaventevole. Già i margini interni non erano lontani che pochi metri e stavano per far scomparire tutto il bacino, quando si udì una detonazione così orribile, che parve che tutto il banco fosse saltato in aria sotto la spinta di una polveriera in fiamme.
 
Un istante dopo, fra il diroccare dei ghiacci, si udì il capitano Jansey a gridare:
 
– Siamo salvi!... Il ''wacke'' è libero e deriva al sud!