Pagina:Il Baretti - Anno II, n. 11, Torino, 1925.djvu/3: differenze tra le versioni

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Misero in carta quasi unicamente la loro enfasi. Si applicarono con perfetta consapevolezza i principii ormai codificati, si tracciò l’orizzonte espressionista, si svilupparono lo stile e la lingua espressionisti; si parlò di Germania all’avanguardia delle nazioni; si formò l’onorata compagnia dell’avvenire («Il mattino». «L’aratro», «drarat» ecc. si chiamavano i cenacoli sorti qua e là, devoti alla buona causa), e di quei visi feroci tutti ebbero paura o soggezione, e anche i critici maggiori si tennero in guardia con un fare paterno di cauti consiglieri, mentre i minori si misero a soffiar certe trombe così assordanti da togliere agli osannati fin l’ultimo briciolo di cervello. Della critica i non poeti credevano di potersi ridere, perchè avevano in precedenza dichiarato di non voler la perfezione, nè la bellezza, nè l’armonia, nè altrettali virtù dello spregiatissimo spirito, e d’essere non dei realizzatori, ma dei cercatori, dei contemplanti, dei pellegrini. Non si vide mai tanta superbia congiunta con tanta ostentata umiltà.
Misero in carta quasi unicamente la loro enfasi. Si applicarono con perfetta consapevolezza i principii ormai codificati, si tracciò l’orizzonte espressionista, si svilupparono lo stile e la lingua espressionisti; si parlò di Germania all’avanguardia delle nazioni; si formò l’onorata compagnia dell’avvenire («Il mattino». «L’aratro», «drarat» ecc. si chiamavano i cenacoli sorti qua e là, devoti alla buona causa), e di quei visi feroci tutti ebbero paura o soggezione, e anche i critici maggiori si tennero in guardia con un fare paterno di cauti consiglieri, mentre i minori si misero a soffiar certe trombe così assordanti da togliere agli osannati fin l’ultimo briciolo di cervello. Della critica i non poeti credevano di potersi ridere, perchè avevano in precedenza dichiarato di non voler la perfezione, nè la bellezza, nè l’armonia, nè altrettali virtù dello spregiatissimo spirito, e d’essere non dei realizzatori, ma dei cercatori, dei contemplanti, dei pellegrini. Non si vide mai tanta superbia congiunta con tanta ostentata umiltà.


La loro vera giustificazione (ciò che li rende interessanti cioè) è questa: di non essere dei poeti, ma delle voci del tempo. Voci così immediate, che esplodono come eruzioni telluriche, pura materialità, gridi. I limiti delle arti si confondono. Pittori e scultori scrivon liriche e drammi, e scolpiscono e dipingono e scrivono come se trattassero la stessa materia. E’ invero la stessa materia. Invece di forme, linee, colori, ritmi, conflitti, situazioni, invece di differenziare limitare costruire, questi cacciatori dell’assoluto vogliono l’essenza delle essenze, lo ''Urerlebnis'', il ''noumeno'', cioè l’ineffabile. Tutti «fratelli» anche in arte come in politica, essi si stringono insieme attorno ad uno stagno, dove ribolle il caos della vita, e tentano con un balbettio infantile d’imitare i suoni che danno gli urti delle contemplate forze contrastanti. Poiché, purtroppo, l’ideale è irraggiungibile e la vita quotidiana e limitazione e miseria, essi in veste d’eversori o di sofferenti danno la storia della loro schiavitù e delle loro aspirazioni. I loro drammi si chiamano «una passione», «un cammino», «uno scenario estatico», «un mistero», e son divisi in quadri in stazioni, e talvolta si chiudono con un ''«Actus phantasticus»''. Alla fine del lungo viaggio sta Dio, o il suo surrogato la Natura, una natura mistica come il Dio impersonale. Il gran viaggio non può esser compiuto da nessun mortale; e quindi la lunga catena di errori, di atti d’accusa, di maledizioni, di dolore è coronota da un naufragio o da una beatifica visione. E’ la storia eterna dell’uomo questa, e perciò questi drammi sono quasi tutti autobiografici. Ed essendo quella sempre una faccenda personale con Dio, questi drammi si riducono a dei monologhi (o a degli appelli). Come possa venir applicato tutto l’armamentario ormai tradizionale, — contenuto e tecnica, — s’intende di leggeri.
La loro vera giustificazione (ciò che li rende interessanti cioè) è questa: di non essere dei poeti, ma delle voci del tempo. Voci così immediate, che esplodono come eruzioni telluriche, pura materialità, gridi. I limiti delle arti si confondono. Pittori e scultori scrivon liriche e drammi, e scolpiscono e dipingono e scrivono come se trattassero la stessa materia. E’ invero la stessa materia. Invece di forme, linee, colori, ritmi, conflitti, situazioni, invece di differenziare limitare costruire, questi cacciatori dell’assoluto vogliono l’essenza delle essenze, lo ''Urerlebnis'', il ''noumeno'', cioè l’ineffabile. Tutti «fratelli» anche in arte come in politica, essi si stringono insieme attorno ad uno stagno, dove ribolle il caos della vita, e tentano con un balbettio infantile d’imitare i suoni che danno gli urti delle contemplate forze contrastanti. Poiché, purtroppo, l’ideale è irraggiungibile e la vita quotidiana e limitazione e miseria, essi in veste d’eversori o di sofferenti danno la storia della loro schiavitù e delle loro aspirazioni. I loro drammi si chiamano «una passione», «un cammino», «uno scenario estatico», «un mistero», e son divisi in quadri in stazioni, e talvolta si chiudono con un ''«Actus phantasticus»''. Alla fine del lungo viaggio sta Dio, o il suo surrogato la Natura, una natura mistica come il Dio impersonale. Il gran viaggio non può esser compiuto da nessun mortale; e quindi la lunga catena di errori, di atti d’accusa, di maledizioni, di dolore è coronata da un naufragio o da una beatifica visione. E’ la storia eterna dell’uomo questa, e perciò questi drammi sono quasi tutti autobiografici. Ed essendo quella sempre una faccenda personale con Dio, questi drammi si riducono a dei monologhi (o a degli appelli). Come possa venir applicato tutto l’armamentario ormai tradizionale, — contenuto e tecnica, — s’intende di leggeri.


Qualcuno che ha già scritto il suo bravo dramma autobiografico si trova però imbrogliato a proseguite nella carriera di drammaturgo espressionista. E allora, se non ha il muso di bronzo e si ripete, cerca aiuti nella bibbia, saccheggiatissima nella storia civile, nella storia letteraria, nella satira. La storia offre il modo dei travestimenti più efficaci. Così Hermann von Boetticher e Joachim von der Goltz misero bravamente in iscena Federico II di Prussia; W. Eidlitz ricorse a Hölderlin e Hanns Johst a Qrabbe; Max Mohr derise non senza garbo la presunzione americana dell’onnipotenza del danaro; e i misteri a fondo religioso non si contano.
Qualcuno che ha già scritto il suo bravo dramma autobiografico si trova però imbrogliato a proseguite nella carriera di drammaturgo espressionista. E allora, se non ha il muso di bronzo e si ripete, cerca aiuti nella bibbia, saccheggiatissima nella storia civile, nella storia letteraria, nella satira. La storia offre il modo dei travestimenti più efficaci. Così Hermann von Boetticher e Joachim von der Goltz misero bravamente in iscena Federico II di Prussia; W. Eidlitz ricorse a Hölderlin e Hanns Johst a Qrabbe; Max Mohr derise non senza garbo la presunzione americana dell’onnipotenza del danaro; e i misteri a fondo religioso non si contano.
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'''Bronner e Brecht.'''
'''Bronner e Brecht.'''


Ebbene, sforza sforza ecco saltar fuori (un Kokoschka, un Bronner o anche Brecht) chi dà colla sensualità e la violenza più crasse in una sorta di assai grossolano naturalismo. Anche da questa parte quindi il cerchio si chiude; e nondimeno si accende una gara per ottener sempre più sensazione, credendo di trovare qui la terra promessa, l’uomo nuovo. Bronner lo vede in un ''Parricida'', un ragazzo di diciott’anni, che per incestuoso amore della madre uccide il padre tirannico. Brecht lo celebra in un ''Baal'', un arciegoista briaco d’ogni libidine, spacciatoci per poeta (è il super-uomo di una volta), che vediamo passare instancabilmente dal letto all’osteria e da una vergogna all’altra, finche crepa abbandonato da tutti, come un cane. In siffatti eroi noi dovremmo evidentemente ammirare l’incoercibile spirito vitale, che si afferma al disopra d’ogni limite e a costo d’ogni sofferenza. Ma per portare a tali eroi quel minimo d’interesse, se non d’amore, necessario per derivare dai loro casi qualche sugo, magari al prezzo di trangugiare le più disgustose e inutili volgarità bisognerebbe che da loro tralucesse una scintilla almeno della conclamata nuova umanità. Ma perchè uccide il parricida di Bronner? Perchè ha un Oidipus-Komplex, perchè cioè il suo autore crede al vangelo di Freud; esser fatale che il figlio s’innamori della madre, che la madre desideri carnalmente il figlio e che il padre tra i due imbrogli; e il poeta s’è messo in testa che solo quella tale operazione dell’accoppamento del padre renda possibile ''«La nascita della Giovinezza»''. E perchè Baal conduce quella sua vita di porco? Per insegnare agli uomini schiavi delle abitudini, del danaro, dei pregiudizi, delle debolezze vili la vera libertà. Una specie di Cristo si vede!
Ebbene, sforza sforza ecco saltar fuori (un Kokoschka, un Bronner o anche Brecht) chi dà colla sensualità e la violenza più crasse in una sorta di assai grossolano naturalismo. Anche da questa parte quindi il cerchio si chiude; e nondimeno si accende una gara per ottener sempre più sensazione, credendo di trovare qui la terra promessa, l’uomo nuovo. Bronner lo vede in un ''Parricida'', un ragazzo di diciott’anni, che per incestuoso amore della madre uccide il padre tirannico. Brecht lo celebra in un ''Baal'', un arciegoista briaco d’ogni libidine, spacciatoci per poeta (è il super-uomo di una volta), che vediamo passare instancabilmente dal letto all’osteria e da una vergogna all’altra, finchè crepa abbandonato da tutti, come un cane. In siffatti eroi noi dovremmo evidentemente ammirare l’incoercibile spirito vitale, che si afferma al disopra d’ogni limite e a costo d’ogni sofferenza. Ma per portare a tali eroi quel minimo d’interesse, se non d’amore, necessario per derivare dai loro casi qualche sugo, magari al prezzo di trangugiare le più disgustose e inutili volgarità bisognerebbe che da loro tralucesse una scintilla almeno della conclamata nuova umanità. Ma perchè uccide il parricida di Bronner? Perchè ha un Oidipus-Komplex, perchè cioè il suo autore crede al vangelo di Freud; esser fatale che il figlio s’innamori della madre, che la madre desideri carnalmente il figlio e che il padre tra i due imbrogli; e il poeta s’è messo in testa che solo quella tale operazione dell’accoppamento del padre renda possibile ''«La nascita della Giovinezza»''. E perchè Baal conduce quella sua vita di porco? Per insegnare agli uomini schiavi delle abitudini, del danaro, dei pregiudizi, delle debolezze vili la vera libertà. Una specie di Cristo si vede!


Vanno per la maggiore ora, Bronner e Brecht nei circoli dell’avvenire, in Germania. Non ignari dell’arte dell’effetto, con talento di regie, sanno chiudere in lavori di ritmo cinematografico quel che può stuzzicare i nervi sovreccitati e le immaginazioni avide di quei provinciali del gusto, che hanno la loro patria naturale tra l’asfalto e i camini delle grandi città. Aveva cominciato Brecht abbastanza simpaticamente con certi ''Tamburi nella notte'', dove mostrava colla storia d’un reduce creduto morto in guerra e preso dal turbine rivoluzionario sazietà d’ogni tumulto e desiderio d’una modesta, ma intima umanità. (Consimile sazietà e consimile desiderio mostrò anche Toller in due drammi scritti in carcere ''Massa - Uomo e Eugenio Kinkemann'', artisticamente superiori alla ''Trasformazione''). Le speranze fatte concepire allora di sè dal giovane bavarese non si sono finora avverate. E’ ben vero che dei solleciti critici seguirono con crescente soddisfazione la sua carriera senza smarrirsi in un intricatissimo ''Folto'', e arrivando a proclamare ''La Vita di Edoardo II d’Inghilterra'', — un’orgia d’abbiezioni e di dolori accumulati con insaziabile sedismo — superiore all’originale di Chr. Marlowe. Ma le facili digestioni di tali critici dimostrano appunto come certi cibi da loro proclamati pantagruelici siano — quanto a sostanza artistica — appena delle frittelline piene d’aria.
Vanno per la maggiore ora, Bronner e Brecht nei circoli dell’avvenire, in Germania. Non ignari dell’arte dell’effetto, con talento di regie, sanno chiudere in lavori di ritmo cinematografico quel che può stuzzicare i nervi sovreccitati e le immaginazioni avide di quei provinciali del gusto, che hanno la loro patria naturale tra l’asfalto e i camini delle grandi città. Aveva cominciato Brecht abbastanza simpaticamente con certi ''Tamburi nella notte'', dove mostrava colla storia d’un reduce creduto morto in guerra e preso dal turbine rivoluzionario sazietà d’ogni tumulto e desiderio d’una modesta, ma intima umanità. (Consimile sazietà e consimile desiderio mostrò anche Toller in due drammi scritti in carcere ''Massa - Uomo e Eugenio Kinkemann'', artisticamente superiori alla ''Trasformazione''). Le speranze fatte concepire allora di sè dal giovane bavarese non si sono finora avverate. E’ ben vero che dei solleciti critici seguirono con crescente soddisfazione la sua carriera senza smarrirsi in un intricatissimo ''Folto'', e arrivando a proclamare ''La Vita di Edoardo II d’Inghilterra'', — un’orgia d’abbiezioni e di dolori accumulati con insaziabile sedismo — superiore all’originale di Chr. Marlowe. Ma le facili digestioni di tali critici dimostrano appunto come certi cibi da loro proclamati pantagruelici siano — quanto a sostanza artistica — appena delle frittelline piene d’aria.