Pagina:Il Baretti - Anno II, n. 10, Torino, 1925.djvu/1: differenze tra le versioni

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La risoluzione di questo problema si tradurrebbe in una vera e propria negazione stilistica del romanticismo tedesco: vedere come il romanticismo italiano sia sboccato in uno stile, o, quantomeno in una coscienza perentoria del problema dello stile (Leopardi) parrebbe lo stesso che negare la concretezza cui ambisce la filosofia tedesca del romanticismo.
La risoluzione di questo problema si tradurrebbe in una vera e propria negazione stilistica del romanticismo tedesco: vedere come il romanticismo italiano sia sboccato in uno stile, o, quantomeno in una coscienza perentoria del problema dello stile (Leopardi) parrebbe lo stesso che negare la concretezza cui ambisce la filosofia tedesca del romanticismo.


Ma il problema cosi impostato ha scarsi limiti di individuazione; presuppone una interpretazione assolutamente nuova di Goethe, presuppone cioè una giustificazione teologica della storia della letteratura tedesca costruita sul piano astratto in cui Goethe diventa il punto di convergenza e di risoluzione del romanticismo tedesco. Questo senza contare che una storia della letteratura europea, se vuol essere veramente storia, deve rinunziare ad ogni limite grettamente etnografico per la sua stessa ansia di voler conciliare l’apparente chiusura dello spirito nazionale, cosi fiaccamente recalcitrante all’universale storico, in un clima razionale ed antiparticolaristico.
Ma il problema così impostato ha scarsi limiti di individuazione; presuppone una interpretazione assolutamente nuova di Goethe, presuppone cioè una giustificazione teologica della storia della letteratura tedesca costruita sul piano astratto in cui Goethe diventa il punto di convergenza e di risoluzione del romanticismo tedesco. Questo senza contare che una storia della letteratura europea, se vuol essere veramente storia, deve rinunziare ad ogni limite grettamente etnografico per la sua stessa ansia di voler conciliare l’apparente chiusura dello spirito nazionale, cosi fiaccamente recalcitrante all’universale storico, in un clima razionale ed antiparticolaristico.


Ecco perchè si rinunzia, senza scrupolo, alla tentazione di costruire una storia della letteratura italiana più recente sulla falsariga dell’equivoco cnunciato, quantunque lo sviluppo del rinascimento italiano si ponga con irresistibile evidenza come una filosofia che cerchi la propria dignità nell’essere poesia (Campanella) e come una poesia che voglia superare il suo clima esclusivamente fantastico nell’assoluto e nel divino della filosofia (Bruno). Se questa suprema esigenza appare or chiusa e sorda, or declamativa ed effimeramente entusiastica nel Campanella e nel Bruno, non si può veramente negare che si componga nella chiarezza espressiva e quindi effettivamente stilistica del Galilei.
Ecco perchè si rinunzia, senza scrupolo, alla tentazione di costruire una storia della letteratura italiana più recente sulla falsariga dell’equivoco enunciato, quantunque lo sviluppo del rinascimento italiano si ponga con irresistibile evidenza come una filosofia che cerchi la propria dignità nell’essere poesia (Campanella) e come una poesia che voglia superare il suo clima esclusivamente fantastico nell’assoluto e nel divino della filosofia (Bruno). Se questa suprema esigenza appare or chiusa e sorda, or declamativa ed effimeramente entusiastica nel Campanella e nel Bruno, non si può veramente negare che si componga nella chiarezza espressiva e quindi effettivamente stilistica del Galilei.


Il problema essenziale del Galilei ha tutta l’aria di porsi così: come può lo stile scientifico tradursi e separarsi nella fantasia? Ma su questa traccia c’è il caso di costruire un Galilei lirico che in ultima analisi risulterebbe frammentario ed arbitrario.
Il problema essenziale del Galilei ha tutta l’aria di porsi così: come può lo stile scientifico tradursi e separarsi nella fantasia? Ma su questa traccia c’è il caso di costruire un Galilei lirico che in ultima analisi risulterebbe frammentario ed arbitrario.
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Il settecento va, anche, oltre al puro problema del Vico, della poesia come fantasia: ricerca nella poesia il ''poiéin'', il fare (Parini). Se Vico è l’apposizione, l’ultima e la più vigorosa opposizione peripatetica al rinascimento platonico, il settecento è la più ardita negazione dell’estetica vichiana. E’ negatore anche quando residuati moralistici e civili, come forme perniciosamente avventizie, impediscano alla sua letteratura di conquistarsi uno stile: anche quando il secolo minacci di soffocare attorno al più illustre ed appariscente frutto dell'estetica vichiana che è il Metastasio.
Il settecento va, anche, oltre al puro problema del Vico, della poesia come fantasia: ricerca nella poesia il ''poiéin'', il fare (Parini). Se Vico è l’apposizione, l’ultima e la più vigorosa opposizione peripatetica al rinascimento platonico, il settecento è la più ardita negazione dell’estetica vichiana. E’ negatore anche quando residuati moralistici e civili, come forme perniciosamente avventizie, impediscano alla sua letteratura di conquistarsi uno stile: anche quando il secolo minacci di soffocare attorno al più illustre ed appariscente frutto dell'estetica vichiana che è il Metastasio.


Metastasio è colui che si sforza di tradurre in uno stile l’estetica del Vico e l’Arcadia è il segno della sua influenza e della sua prepotenza. Questo mondo intermedio tra i bestioni ed i sapienti non può essere che il ''bosco parrasio'': il semplice, il primitivo, l’idillio; e, quindi, la trasposizione intenzionale dell' orrido, del brutale, del notturno e del funerario. Tutto ciò nasce da questa matrice vichiana.
Metastasio è colui che si sforza di tradurre in uno stile l’estetica del Vico e l’Arcadia è il segno della sua influenza e della sua prepotenza. Questo mondo intermedio tra i bestioni ed i sapienti non può essere che il ''bosco parrasio'': il semplice, il primitivo, l’idillio; e, quindi, la trasposizione intenzionale dell’orrido, del brutale, del notturno e del funerario. Tutto ciò nasce da questa matrice vichiana.


Metastasio è lo sbocco naturale di questa estetica del luogo comune: il melodico, il grazioso, la maschera, il patetico, non sono che aspetti di un lirismo che non può diventare lirica perchè tagliato fuori da ogni dignità di ragione.
Metastasio è lo sbocco naturale di questa estetica del luogo comune: il melodico, il grazioso, la maschera, il patetico, non sono che aspetti di un lirismo che non può diventare lirica perchè tagliato fuori da ogni dignità di ragione.
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Ma Parini offre rilevanti punti di presa per una più minuta inchiesta del problema stilistico. La presenza del razionale è in lui rilevante a tal punto da impedirci di scorgere con chiarezza sufficiente il significato della sua lirica ed il significato lirico dell’opera sua. Guardate con quanta ferocia il Parini non discioglie il vecchio mondo mitologico servendosene non come un mezzo ed un appiglio ironico, ma addirittura come di un mezzo caricaturale. La mitologia del Parini è lo sfondo, l’aria ed in certo modo, la decorazione del suo processo satirico: certe volte l’ironia non gli basta e deve ricorrere alla satira ed alla caricatura. Questo materiale di eccitamento gli viene fornito dal mito classico. Or questa posizione anticlassica in Parini e naturalmente riflessa e tradisce un nodo critico non ancora risolto nel suo stile. Dice qualcosa di più dell’antimitologismo manzoniano, ad esempio, ma dice sempre qualcosa di meno dell’amitologismo della poesia leopardiana.
Ma Parini offre rilevanti punti di presa per una più minuta inchiesta del problema stilistico. La presenza del razionale è in lui rilevante a tal punto da impedirci di scorgere con chiarezza sufficiente il significato della sua lirica ed il significato lirico dell’opera sua. Guardate con quanta ferocia il Parini non discioglie il vecchio mondo mitologico servendosene non come un mezzo ed un appiglio ironico, ma addirittura come di un mezzo caricaturale. La mitologia del Parini è lo sfondo, l’aria ed in certo modo, la decorazione del suo processo satirico: certe volte l’ironia non gli basta e deve ricorrere alla satira ed alla caricatura. Questo materiale di eccitamento gli viene fornito dal mito classico. Or questa posizione anticlassica in Parini e naturalmente riflessa e tradisce un nodo critico non ancora risolto nel suo stile. Dice qualcosa di più dell’antimitologismo manzoniano, ad esempio, ma dice sempre qualcosa di meno dell’amitologismo della poesia leopardiana.


Il nodo critico del Parini consiste nella irrisoluzione del problema della fantasia: e questa opacità è in tutto il secolo, malgrado l'estetica vichiana abbia cercato con un certo affanno di porlo.
Il nodo critico del Parini consiste nella irrisoluzione del problema della fantasia: e questa opacità è in tutto il secolo, malgrado l’estetica vichiana abbia cercato con un certo affanno di porlo.


Il Gravina, poniamo, che combatte l’''idea mistica'' del secentismo anche quando canonizzi per l'Arcadia e cerchi di strappare alla fantasia il suo dominio così tirannicamente esercitato è sempre più cauto del Vico a lasciare nel problema della fantasia uno spiraglio pel domani.
Il Gravina, poniamo, che combatte l’''idea mistica'' del secentismo anche quando canonizzi per l'Arcadia e cerchi di strappare alla fantasia il suo dominio così tirannicamente esercitato è sempre più cauto del Vico a lasciare nel problema della fantasia uno spiraglio pel domani.
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Questo accento polemico al secentismo acquista maggior valore di persuasione in quanto si rivolge in pari tempo al formalismo. Al seicento quindi rimprovera un eccesso psicologico: la sua interpretazione della meraviglia fine della poesia arriva qui. Il significato della favola è sempre per lui limitato da una partecipazione dell’individuale fantastico con l’universale razionale. In questo senso si può dire che il settecento nell’estetica del Gravina tenti una conciliazione notevolissima tra il reale (concetto) e l’ideale (favola), tenti, per intenderci storicamente, una contaminazione ed una utilizzazione sintetica della fantasia pura (seicento) con la ''mimesi naturalistica'' (cinquecento).
Questo accento polemico al secentismo acquista maggior valore di persuasione in quanto si rivolge in pari tempo al formalismo. Al seicento quindi rimprovera un eccesso psicologico: la sua interpretazione della meraviglia fine della poesia arriva qui. Il significato della favola è sempre per lui limitato da una partecipazione dell’individuale fantastico con l’universale razionale. In questo senso si può dire che il settecento nell’estetica del Gravina tenti una conciliazione notevolissima tra il reale (concetto) e l’ideale (favola), tenti, per intenderci storicamente, una contaminazione ed una utilizzazione sintetica della fantasia pura (seicento) con la ''mimesi naturalistica'' (cinquecento).


L’Arcadia non riuscì a costruirsi il poeta perchè’ fu agitata da molti scrupoli teoretici ed in particolar modo dalla rettorica che veniva contornandosi e gelidizzondosi attorno all' estetica del Gravina.
L’Arcadia non riuscì a costruirsi il poeta perchè’ fu agitata da molti scrupoli teoretici ed in particolar modo dalla rettorica che veniva contornandosi e gelidizzandosi attorno all’estetica del Gravina.


L’Arcadia in questo senso tradusse l’estetica in rettorica: Vico in Gravina.
L’Arcadia in questo senso tradusse l’estetica in rettorica: Vico in Gravina.