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La singolare chiarezza degli scrittori francesi elude la ricerca delle cagioni occulte o dissimulate dei loro scritti; la dirittura della loro espressione può’ indurre a credere a un animo aggressivo e lineare, a un portamento cavalleresco di polemisti che nella lotta toccano sul vivo e pure rispettano gli avversari, ma non tendono tranelli e non gioiscono malignamente delle proprie arti subdole. In vero, il congegno della loro psicologia è più complesso: la bella parata e la finta, che sembrano arti guerresche e esterne, sono anche una difesa, un’occlusione dell’intimo, una specie di serrato inganno del quale i lettori vengono malagevolmente a capo: Quando si riuscisse a spianarlo, si sarebbe poi forse ricompensati da uno spettacolo assai meschino.
La singolare chiarezza degli scrittori francesi elude la ricerca delle cagioni occulte o dissimulate dei loro scritti; la dirittura della loro espressione può’ indurre a credere a un animo aggressivo e lineare, a un portamento cavalleresco di polemisti che nella lotta toccano sul vivo e pure rispettano gli avversari, ma non tendono tranelli e non gioiscono malignamente delle proprie arti subdole. In vero, il congegno della loro psicologia è più complesso: la bella parata e la finta, che sembrano arti guerresche e esterne, sono anche una difesa, un’occlusione dell’intimo, una specie di serrato inganno del quale i lettori vengono malagevolmente a capo: Quando si riuscisse a spianarlo, si sarebbe poi forse ricompensati da uno spettacolo assai meschino.


Ma, si può allora dire: val la pena di durar tanta fatica, di mettersi a scovare i motivi riposti, quando si sia convinti della loro fallacia? Importa, fuori dei suoi confini e degl’interessi che la agitano, una bega letteraria? La letteratura, ci vuol poco a ammetterlo, va considerata nell’opera; e anzi nella miglior condizione dell’opera, togliendo quel che di troppo particolare e momentaneo la può accompagnare; cercando quando si sanno di dimenticare, o di riassorbirli in una visione serena e confidente, i caratteri troppo precisi, le minuzie, le vòglie o le ubbie dell artista; come d’un amico non si ricordano neppure i difetti ridicoli. Tutto il contorno delle polemiche, aspro ma così breve, non sarebe meglio trascurarlo, per non esserne involti fuor di luogo, e tratti a scendere a ingiustizie, a partigianerie non richieste?
Ma, si può allora dire: val la pena di durar tanta fatica, di mettersi a scovare i motivi riposti, quando si sia convinti della loro fallacia? Importa, fuori dei suoi confini e degl’interessi che la agitano, una bega letteraria? La letteratura, ci vuol poco a ammetterlo, va considerata nell’opera; e anzi nella miglior condizione dell’opera, togliendo quel che di troppo particolare e momentaneo la può accompagnare; cercando quando si sanno di dimenticare, o di riassorbirli in una visione serena e confidente, i caratteri troppo precisi, le minuzie, le voglie o le ubbie dell’artista; come d’un amico non si ricordano neppure i difetti ridicoli. Tutto il contorno delle polemiche, aspro ma così breve, non sarebbe meglio trascurarlo, per non esserne involti fuor di luogo, e tratti a scendere a ingiustizie, a partigianerie non richieste?


Invece proprio lo studio, entro la polemica, delle sue ragioni, la spiega e la fa degna. La passione polemica è passione di idèe; se talvolta certe idèe, false o non credute, la servono bassamente, oltre quel primo schermo si giunge alle idee vere che la sottendono. Non tutte si vogliono, o si possono confessare. Son di solito queste a contar di più, a farsi contemporaneamente materia e sostrato dell'opera d'arte; la quale nell'attacco de' suoi nemici ha quasi uno specchio delle proprie ragioni. La polemica che qui si considera è poi tanto piena, tanto vasta che non solo vi si vede come in iscorcio la storia, si può dire, di un secolo; ma vi si bilanciano i contrapposti problemi, le tendenze che affaticano anche fuori dell'arte gli uomini. Se il discorso sarà un pochino lungo, si cerchi la scusa nel desiderio di non trascurare, di non urtare i punti più sensibili degli animi che vi si son rivelati — e dell'animo nostro.
Invece proprio lo studio, entro la polemica, delle sue ragioni, la spiega e la fa degna. La passione polemica è passione di idèe; se talvolta certe idèe, false o non credute, la servono bassamente, oltre quel primo schermo si giunge alle idee vere che la sottendono. Non tutte si vogliono, o si possono confessare. Son di solito queste a contar di più, a farsi contemporaneamente materia e sostrato dell'opera d'arte; la quale nell'attacco de' suoi nemici ha quasi uno specchio delle proprie ragioni. La polemica che qui si considera è poi tanto piena, tanto vasta che non solo vi si vede come in iscorcio la storia, si può dire, di un secolo; ma vi si bilanciano i contrapposti problemi, le tendenze che affaticano anche fuori dell'arte gli uomini. Se il discorso sarà un pochino lungo, si cerchi la scusa nel desiderio di non trascurare, di non urtare i punti più sensibili degli animi che vi si son rivelati — e dell'animo nostro.
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'''Giudizi temerari.'''
'''Giudizi temerari.'''


Il libro che induce in questo discorso non è altro che una raccolta di articoli o di studii critici e riguarda le lettere francesi nei punti secondo l'autore salienti, nel loro carattere più sintomatico. Accanto a alcuni scrittori viventi, e anzi prima di essi, sono considerati tre grandi, ormai morti, che li spiegano; che stabiliscono fondano gli argomenti, i bisogni onde poi i nuovi scrittori s’ispireranno. Cosi si produce una filiazione che non e palese nell’arte, perchè è segnata da altre ragioni. A voler un poco esagerare, e mirando più all’intenzione che ai risultati di questo, critico, uomo accorto e, suo malgrado, di gusto, si può dire che per lui l’arte non conta; o non gli serve e non se ne fida. Il titolo dei due volumi dichiara il suo animo: egli non riconosce per sè una funzione d’accompagnamento, d’assidua e tranquilla cura e dilucidazione, d’analisi vicina e informatrice; non s’accontenta che i suoi «pezzi» siano, bonariamente, discorsi, ragguagli, articoli. Per osservare il fatto umano e naturale dell’arte, sforzo di tanti e risultato di tanto pochi, ma sempre, dove riesce, bontà che premia la fatica, che riscatta le pecche e rimuove le intenzioni vili; per trovar contatto tra le esigenze, magari posticce, dello scrittore, e la distrazione, la fretta del pubblico che non sarà poca nemmeno in Francia, egli s’impanca sulla più alla cattedra, e manda intorno i suoi verdetti appassionati, irremissibili, e costruisce e pronuncia i suoi giudizi.
Il libro che induce in questo discorso non è altro che una raccolta di articoli o di studii critici e riguarda le lettere francesi nei punti secondo l'autore salienti, nel loro carattere più sintomatico. Accanto a alcuni scrittori viventi, e anzi prima di essi, sono considerati tre grandi, ormai morti, che li spiegano; che stabiliscono, fondano gli argomenti, i bisogni onde poi i nuovi scrittori s’ispireranno. Cosi si produce una filiazione che non e palese nell’arte, perchè è segnata da altre ragioni. A voler un poco esagerare, e mirando più all’intenzione che ai risultati di questo, critico, uomo accorto e, suo malgrado, di gusto, si può dire che per lui l’arte non conta; o non gli serve e non se ne fida. Il titolo dei due volumi dichiara il suo animo: egli non riconosce per sè una funzione d’accompagnamento, d’assidua e tranquilla cura e dilucidazione, d’analisi vicina e informatrice; non s’accontenta che i suoi «pezzi» siano, bonariamente, discorsi, ragguagli, articoli. Per osservare il fatto umano e naturale dell’arte, sforzo di tanti e risultato di tanto pochi, ma sempre, dove riesce, bontà che premia la fatica, che riscatta le pecche e rimuove le intenzioni vili; per trovar contatto tra le esigenze, magari posticce, dello scrittore, e la distrazione, la fretta del pubblico che non sarà poca nemmeno in Francia, egli s’impanca sulla più alla cattedra, e manda intorno i suoi verdetti appassionati, irremissibili, e costruisce e pronuncia i suoi giudizi.


Questi «Jugements» di Henri Massis fanno dunque come un breviario di solidale, inflessibile condanna. I primi colpiti sono Renan, France, Barrès; poi vengono Gide, Rolland, Benda, tutti, in globo, gli scrittori giovani, e, per incidenza, Fromentin. Si salva, non diciamo Claudel che è visto di sfuggita e si piglia anche lui le sue brave percosse, ma il salo Duhamel. Parecchie osservazioni son giuste, qualche analisi, le più malvage, penetrano, fatte apposta, con arte, con astuzia, per far male, per far colpo, per toccare quel punto nel quale s’avvelena tutta l’opera. Di eresie letterarie ne son state dette di molto peggio; critiche senz’ordine, critiche assurde se ne conoscono a bizzeffe; critiche tutte inamidate e lustre di logica appariscente, piatte e sempre uguali, che non c’è verso aderiscano alla pelle dei poveri scrittori torturati, anche. Massis, per indole, si lieti lontano da questi esempi e, salvo un caso (il principale), tratta i suoi autori con decenza; ma io stimo che quanto più si tien rispettoso e distante, tanto meno essi (o i loro lettori) gli posson perdonare. Poiché la mancanza prima di rispetto, quel che lo fa nemico delle lettere, e pericoloso e inutile apprezzatore; e il suo arbitrio, il posto di direttore che s’è vagheggiato, la dipendenza in cui chiude gli scrittori, la sufficienza con cui li tien d’occhio. Non ha in essi un momento di fiducia, non si accosta, non li ascolta; non ne sente la potenze, non li ama. E certi pareri, che possono esser rudi e immotivati, o magari sbagliatissimi; ma che sondati con la severa coscienza dell'amicizia, della comunanza d'intenti della collaborazione, dove si cela un'amarezza che è pur sempre affetuosa, o un dispetto che riprende e dimostra un'antica speranza: faranno di certo meno male del più blando di questi giudizi, che sembra sempre una dura degnazione. Quelli poi che non riconoscono le regole che Massim impone e non consentono ne' suoi principi ostentati, trovare ch'egli ne deduce una carità singolarmente esemplare.
Questi «Jugements» di Henri Massis fanno dunque come un breviario di solidale, inflessibile condanna. I primi colpiti sono Renan, France, Barrès; poi vengono Gide, Rolland, Benda, tutti, in globo, gli scrittori giovani, e, per incidenza, Fromentin. Si salva, non diciamo Claudel che è visto di sfuggita e si piglia anche lui le sue brave percosse, ma il salo Duhamel. Parecchie osservazioni son giuste, qualche analisi, le più malvage, penetrano, fatte apposta, con arte, con astuzia, per far male, per far colpo, per toccare quel punto nel quale s’avvelena tutta l’opera. Di eresie letterarie ne son state dette di molto peggio; critiche senz’ordine, critiche assurde se ne conoscono a bizzeffe; critiche tutte inamidate e lustre di logica appariscente, piatte e sempre uguali, che non c’è verso aderiscano alla pelle dei poveri scrittori torturati, anche. Massis, per indole, si lieti lontano da questi esempi e, salvo un caso (il principale), tratta i suoi autori con decenza; ma io stimo che quanto più si tien rispettoso e distante, tanto meno essi (o i loro lettori) gli posson perdonare. Poiché la mancanza prima di rispetto, quel che lo fa nemico delle lettere, e pericoloso e inutile apprezzatore; e il suo arbitrio, il posto di direttore che s’è vagheggiato, la dipendenza in cui chiude gli scrittori, la sufficienza con cui li tien d’occhio. Non ha in essi un momento di fiducia, non si accosta, non li ascolta; non ne sente la potenze, non li ama. E certi pareri, che possono esser rudi e immotivati, o magari sbagliatissimi; ma che sondati con la severa coscienza dell'amicizia, della comunanza d'intenti della collaborazione, dove si cela un'amarezza che è pur sempre affetuosa, o un dispetto che riprende e dimostra un'antica speranza: faranno di certo meno male del più blando di questi giudizi, che sembra sempre una dura degnazione. Quelli poi che non riconoscono le regole che Massim impone e non consentono ne' suoi principi ostentati, trovare ch'egli ne deduce una carità singolarmente esemplare.
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Nel tempo che Massis scrisse i suoi «jugements» non era divulgato uh libro che sarebbe una più triste testimonianza della direzione, segreta o palese, della volontà gidinna. Se il critico avesse tentato di mostrare le brutture, o magari il fallimento dell’opera come un effetto di debolezza, di passività, d’incapacità di costruire: sarebbe rimasto su un terreno neutro, dove le opinioni prevalgono o si chetano secondo la forza persuasiva che comportano e le circostanze; e molte delle sue sarebbero potute parer buone. Qui invece egli s’è corazzato con argomenti di tutt’altro genere, ha mobilitato potenze celesti e infernali; l’inconsueta battaglia fa salire a una dignità non mai prevista il nemico ch’egli non riesce co’ mezzi suoi propri a dominare. Gli imagina dunque una forza cui non sembra egli potesse aspirare; peggio, riconoscendogli delle qualità sataniche, gliela crea, si ha da dire francamente che il temuto pericolo sta negli accenti di cui Massis si serve per meglio determinare e rivelare il testo gidiano; nel rifiuto che sottolinea, nello sdegno così consapevole che richiama e forse avvince; in quel continuo vezzo di rincarare la dose onde le pagine più deplorevoli, che son poi le più attente e le più chiuse, son qui, anche ingiustamente, denunciate; cosicché i lettori più ingenui troveranno l’incitamento a riscorrere i libri e, preoccupati, intristiti, sciuperanno la prima impressione, ch’era la più generosa.
Nel tempo che Massis scrisse i suoi «jugements» non era divulgato uh libro che sarebbe una più triste testimonianza della direzione, segreta o palese, della volontà gidinna. Se il critico avesse tentato di mostrare le brutture, o magari il fallimento dell’opera come un effetto di debolezza, di passività, d’incapacità di costruire: sarebbe rimasto su un terreno neutro, dove le opinioni prevalgono o si chetano secondo la forza persuasiva che comportano e le circostanze; e molte delle sue sarebbero potute parer buone. Qui invece egli s’è corazzato con argomenti di tutt’altro genere, ha mobilitato potenze celesti e infernali; l’inconsueta battaglia fa salire a una dignità non mai prevista il nemico ch’egli non riesce co’ mezzi suoi propri a dominare. Gli imagina dunque una forza cui non sembra egli potesse aspirare; peggio, riconoscendogli delle qualità sataniche, gliela crea, si ha da dire francamente che il temuto pericolo sta negli accenti di cui Massis si serve per meglio determinare e rivelare il testo gidiano; nel rifiuto che sottolinea, nello sdegno così consapevole che richiama e forse avvince; in quel continuo vezzo di rincarare la dose onde le pagine più deplorevoli, che son poi le più attente e le più chiuse, son qui, anche ingiustamente, denunciate; cosicché i lettori più ingenui troveranno l’incitamento a riscorrere i libri e, preoccupati, intristiti, sciuperanno la prima impressione, ch’era la più generosa.


Ecco, per essere più precisi, un episodio secondo Massis rivelatore. Delle «Caves du Vatican» Gide riporta nella sua scelta due brevi brani; il secondo è quello che prepara il delitto «immotivato» di cui si macchia il protagonista Lafeadio. Chi è Lafeadio? — è un prodotto libero, di diverse razze, di combinazioni impensate, d’incontri casuali, e uno che non conosce l’essere suo fino a diciannov’anni, e quando pateticamente lo viene a sapere, vi porta quasi un privilegio d’indipendenza, di candido abbandono e d’autonomia; è un figlio dell’autore. Nelle vagabonde sue esperienze, nella sua indisciplina non trova altro che una maniera di conoscersi — e forse, in certo modo, di «fondarsi»; non può e non sa trovar altro. Un giorno, in treno gli capita un compagno di viaggio ignoto, che gli e indifferente e perciò lo urta; noiato, in cerca d’un qualunque pensiero la sua mente che non piglia sonno si lascia attrarre da una macabra fantasia: «là, tout près de ma main, cette doublé fermeture que je peux faire jouer aisément; cette porte qui, cédant tout à coup, le laisserait couler en avant; une petite secousse suffirait... Ce n’est pas tant des évènements que j’ai curiosité que de moi - même (in tanto di là dal finestrino muta il paesaggio)... Là sous ma main, cette doublé fermeture — tandis qu’il est distrait et regarde au loin devant lui — joue, ma foi ! plus aisément encore qu’on êut cru. Si je puis compier jusqu’à douze, sans me presser, avant de voir, dans la campagne quelque feu, le tapir est sauvé. Je commence: une; deux; trois; quatre; (lentement! lentement!) cinq; six; sept; huit; neuf... Dix, un feu!» Cosi il delitto si compie.
Ecco, per essere più precisi, un episodio secondo Massis rivelatore. Delle «Caves du Vatican» Gide riporta nella sua scelta due brevi brani; il secondo è quello che prepara il delitto «immotivato» di cui si macchia il protagonista Lafcadio. Chi è Lafcadio? — è un prodotto libero, di diverse razze, di combinazioni impensate, d’incontri casuali, e uno che non conosce l’essere suo fino a diciannov’anni, e quando pateticamente lo viene a sapere, vi porta quasi un privilegio d’indipendenza, di candido abbandono e d’autonomia; è un figlio dell’autore. Nelle vagabonde sue esperienze, nella sua indisciplina non trova altro che una maniera di conoscersi — e forse, in certo modo, di «fondarsi»; non può e non sa trovar altro. Un giorno, in treno gli capita un compagno di viaggio ignoto, che gli e indifferente e perciò lo urta; noiato, in cerca d’un qualunque pensiero la sua mente che non piglia sonno si lascia attrarre da una macabra fantasia: «là, tout près de ma main, cette doublé fermeture que je peux faire jouer aisément; cette porte qui, cédant tout à coup, le laisserait couler en avant; une petite secousse suffirait... Ce n’est pas tant des évènements que j’ai curiosité que de moi - même (in tanto di là dal finestrino muta il paesaggio)... Là sous ma main, cette doublé fermeture — tandis qu’il est distrait et regarde au loin devant lui — joue, ma foi ! plus aisément encore qu’on êut cru. Si je puis compier jusqu’à douze, sans me presser, avant de voir, dans la campagne quelque feu, le tapir est sauvé. Je commence: une; deux; trois; quatre; (lentement! lentement!) cinq; six; sept; huit; neuf... Dix, un feu!» Cosi il delitto si compie.


Non è possibile, si vede, pensare questo delitto senza Lafeadio; non può essere che si tratti di una propaganda, sia pure simbolica, a favore di un simile alto «gratuito»; il delitto starà o non starà bene alla persona di Lafeadio, la persona sua sarà criticabile sotto molti aspetti, oppure assurda e non viva; la sua assurdità, le sue mancanze si potranno identificare con deficienze personali di Gide che egli e condannato a scontare nella sua arte. Ma fargli imputazioni diverse, maggiori, come se un capitolo di romanzo fosse un articolo sedizioso, è un brutto e villano giuoco Sarebbe come imputare a un disordine di Stendhal il delitto di Giuliano Sorel.
Non è possibile, si vede, pensare questo delitto senza Lafcadio; non può essere che si tratti di una propaganda, sia pure simbolica, a favore di un simile alto «gratuito»; il delitto starà o non starà bene alla persona di Lafcadio, la persona sua sarà criticabile sotto molti aspetti, oppure assurda e non viva; la sua assurdità, le sue mancanze si potranno identificare con deficienze personali di Gide che egli e condannato a scontare nella sua arte. Ma fargli imputazioni diverse, maggiori, come se un capitolo di romanzo fosse un articolo sedizioso, è un brutto e villano giuoco Sarebbe come imputare a un disordine di Stendhal il delitto di Giuliano Sorel.


Ed ecco le parole di Massis: «Cette dangereuse curiosité, c’est pourtant le principe de l’éthique d’André Gide, comme ce goùt du pervers, celui de son esthetique. Et puisque Lafeadio est une créature de son àme, il est legitime que nous cherchions le secret de cette âme, la où il l’a voulu cacher, dans l'intimitè de son art».
Ed ecco le parole di Massis: «Cette dangereuse curiosité, c’est pourtant le principe de l’éthique d’André Gide, comme ce goùt du pervers, celui de son esthetique. Et puisque Lafeadio est une créature de son àme, il est legitime que nous cherchions le secret de cette âme, la où il l’a voulu cacher, dans l'intimitè de son art».