Il Baretti - Anno II, n. 11/Georg Kaiser: differenze tra le versioni

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Georg Kaiser

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Fritz von Unruh

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GEORG KAISER

Una multiforme ricchezza par invece presentare Georg Kaiser. Se gli altri si trovano più o meno a disagio sulla scena, egli, come C. Sternheim, ci si sente a casa sua. La sua fama e grande ed ha varcato vittoriosamente i confini della Germania. Dopo due deboli tentativi nel 1914 e 1915, solo nel 1917 a trentanove anni gli riuscì di acquistare il primo successo sicuro; ma da allora si videro rapprésentante di lui, tra vecchie e nuove, non meno d’una trentina di opere. Tutte le idee, tutte le forme, tutte le possibilità del dramma odierno furono dal Kaiser adoperate e sviluppate con uno spirito di conseguenza e un’energia stupefacenti. Mentre i suoi colleghi amano indugiar nella novissima Arcadia vaneggiando tra sentimenti e sentimentalismi, egli esce in giro per il mondo ad affrontare ogni sorta di conflitti e di situazioni nella cruda luce del sole. Le sue strade sono quelle dell’osservazione ironica, dell’immaginazione audace, della dialettica magari per effetto d’arguzia sofistica, del pathos robusto; il suo ritmo è velocità; il suo stile sintesi. S’eran recati ad onore gli espressionisti di avere scossa la signoria dell’intelletto, mostrando di voler tutto ricavare dall’anima. Kaiser mette nel centro del suo mondo il proprio cervello.

Dice: «Scrivere un dramma vuol dire pensare un pensiero fino in fondo». Vuole la forma aderentissima al pensiero, senza frange mistiche; quindi un’espressione energica e netta. Alla formula dell’amore toccasana di tutti i mali, pietra angolare dell’avvenire risponde burberamente: «Chi sa quanto numerose siano le idee non ancora pensate, non ha tempo di amare». E spiegando che «di vivere si tratta», ammonisce: «tutte le strade devono essere marciate». Senza scrupoli e senza pregiudizi, assetato di vita che per lui è pensiero, pieno d’impeto, egli vorrà giungere all’assoluto non portato da rapimenti visionari, ma per opera delle sue lucide armi intellettuali. «Un trampolino di slancio» chiama il dramma. Come del creare, «scopo dell’essere è il rècord».

Difficile ridurre sotto una formula unica tutta l’opera di Kaiser. Ad una riduzione ai minimi termini si prestano centinaia di drammi e decine di autori espressionisti. Il poeta di Magdeburgo, fedele al suo principio: «è dovere del creatore di staccarsi da ogni sua creatura e d’andar sempre di nuovo nel deserto», si presenta ogni volta con un aspetto nuovo. Ora attivista ora quietista, ora alle prese colla questione sociale ora inscenatore di Colportage, ora sezionando con implacabile dialettica una materia romantica ora alterando la realtà in uno schema deformatore egli scombina sempre le caselle, che gli possiate aver preparato. Manca in lui uno sviluppo lineare. Se comincia con tragicommedie alla Wedekind, tenta poi i problemi che il tempo rende attuali, se ne stacca, si riavvicina a posizioni abbandonate, s’abbandona ad escursioni laterali, mentre la sua tecnica e il suo stile, che per un tratto sembrano complicarsi nel simbolo, in seguito si semplificano per indi’ piegare a nuovi vezzi e nuove avventure. Deve aver ragione il suo più acuto studioso tedesco, B. Diebold, a chiamarlo un giuocatore di pensieri. La sua foga, il suo spesso fanatico ardore non derivano, come ne’ suoi immediati predecessori e ne’ suoi colleghi, dal bisogno di confessione o dall’uzzo dell’annunciazione messianica; derivano dal gusto, col quale egli svolge i suoi giuochi metafisici. Anche se parte da un caso di concretismo e magari da un’episodio storico, anche se i suoi personaggi (contrariamente alle abitudini espressioniste) han nome, volto e carattere, egli fa presto intorno a loro il vuoto pneumatico, solleva azione e attori a simboli, fa del dramma un urto di pure forze. (E a lui la cosa riesce assai meglio, che non per es al signor A. Stramm. l’autore di Forze). Nell’astrazione si muove liberamente, senza impacciarsi. In Gas II ridurrà la rarefazione all’esterno (nei personaggi, nella simmetria dell’azione, nel dialogo), senza ingenerare oscurità. Fin le personificazioni di sentimenti e di stati d’anima gli riusciranno evidentissime. L’astrazione è tanta talvolta (tutto è diventato schema, i personaggi paion sagome ritagliate l’una sull’altra, il gusto della simmetria è spinto fino alla quasi ripetizione di scene intere) che a un certo punto credereste d’aver davanti a voi una pantomima. Se gli osservate che per tale strada s’arriva alla marionetta, Kaiser vi potrebbe rispondere indicando uno scritto di Kleist sul teatro delle marionette, colle quali è possibile giungere al «centro di gravità» d’una figura o d’una situazione.

Kleist è uno dei poeti prediletti da Kaiser; ma quale abisso lo separa da lui! Pensate a Käthchen, ad Alemena, a Natalie, magari a Pentesilea, e vedete la donna nel moderno: o è una pura carne (come la Giuditta della Vedova ebrea), o una figura insignificante, di comodo per l’azione (come il più delle volte), o è l’oggetto del tormento sensuale o concettuale d’un uomo, oppure infine, abbia

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