Pagina:Il Baretti - Anno II, n. 11, Torino, 1925.djvu/3: differenze tra le versioni

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Da tutti costoro si stacca con vigoroso risalto Fritz von Unruh. E' stato detto ch’egli ha riportato nel teatro tedesco contemporanco ''ethos''. Il suo vero merito però non è quello d’aver aggiunta un’altra pietra di più alle tante che già ingombrano la fabbrica del povero teatro dell’avvenire, (non aveva predicato anche Toller dover la rivoluzione etica precedere la politica?), sibbene di aver dato esempio di virtù poetica originale. Un breve esempio, pur troppo. Dal 1910 al 1920 egli in 4 drammi afferma la propria personalità, dibatte i problemi che sono del tempo e insieme intimamente suoi, ne sfiora la soluzione in sede d’arte con un magnifico spiegamento di forze, e da esse sopraffatto cade. Se la caduta sia definitiva non può ancoro dirsi; il poeta è giovine ed operante. Ad ogni modo un ciclo è compiuto.
Da tutti costoro si stacca con vigoroso risalto Fritz von Unruh. E' stato detto ch’egli ha riportato nel teatro tedesco contemporanco ''ethos''. Il suo vero merito però non è quello d’aver aggiunta un’altra pietra di più alle tante che già ingombrano la fabbrica del povero teatro dell’avvenire, (non aveva predicato anche Toller dover la rivoluzione etica precedere la politica?), sibbene di aver dato esempio di virtù poetica originale. Un breve esempio, pur troppo. Dal 1910 al 1920 egli in 4 drammi afferma la propria personalità, dibatte i problemi che sono del tempo e insieme intimamente suoi, ne sfiora la soluzione in sede d’arte con un magnifico spiegamento di forze, e da esse sopraffatto cade. Se la caduta sia definitiva non può ancoro dirsi; il poeta è giovine ed operante. Ad ogni modo un ciclo è compiuto.


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Nel ''Principe Luigi Ferdinando'' il dovere salva l’ordine, almeno colla morte, nella tragedia ''«Una stirpe»'' il caos trabocca irresistibilmente {{Pt|sommer-|}}
Nel ''Principe Luigi Ferdinando'' il dovere salva l’ordine, almeno colla morte, nella tragedia ''«Una stirpe»'' il caos trabocca irresistibilmente {{Pt|sommer-|}}
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{{Centrato|250 pagine Lire 10}}
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{{Pt|gendo|sommergendo}} ogni limite. Era intanto scoppiata la guerra europea. Avrebbe dovuto ''Una stirpe'' (estate 1915 - autunno 1916, pubblicata nel 1918) esser prima parte d’una monumentale trilogia ideata per riassumere, quasi mistero religioso, il travaglio storico della nostra età. Comparve invece successivamente (1920) sol più la seconda parte ''«Piazza»''. ''Una stirpe'' è d’una semplicità lineare, che rammenta, anzi volutamente richiama, la tragedia greca. L’azione è tutta interna; come la scena non muta mai, così i personaggi appena si muovono. Anonimi essi sono, perchè il loro non è dramma particolare: la madre, il figlio maggiore, il figlio vile, il figlio minore, la figlia, due ufficiali, soldati. E nessun vincolo di tempo o di costume. Scena un camposanto sulla cima d’una montagna, a notte. La madre vi ha seppellito un figlio caduto combattendo da eroe. Dalla valle, dove la battaglia continua, le portan davanti due altri figli, i quali, l’uno per delitti di lussuria, l’altro per colpa di codardia, dovranno esser l’indomani giustiziati. La vera azione incomincia quando i soldati si ritirano dopo aver legato al cancello del cimitero i due rei, e si riduce a un duello disperalo tra la madre ed il figlio maggiore. Non l’ha spinto al delitto malvagità, bensì il soverchio ardore vitale. La colpa è della vita, di coloro che danno la vita, e di coloro che sfrenano nel cuore umano tutte le tempestose passioni della vita. «Prima ci portano su vette prossime al sole, e poi quando il nostro petto s’è disabituato dell’aria della valle, quando non sappiamo più tollerare il giogo quotidiano, ci trafiggono il cuore colle leggi». Due quindi i nemici mortali dell’uomo: la società e la madre. La società è un mostro inafferrabile e lontano; presente, persona è la madre; contro di essa con cieco furore si slancia il figlio. Lo spalleggia la sorella. Le concupiscenze per anni mortificate si destano in lei, e poichè il fratello anelante a vendetta la respinge, è lei a lanciare il sacrilego grido: «Se la strozzassimo questa donna!»
{{Pt|gendo|sommergendo}} ogni limite. Era intanto scoppiata la guerra europea. Avrebbe dovuto ''Una stirpe'' (estate 1915 - autunno 1916, pubblicata nel 1918) esser prima parte d’una monumentale trilogia ideata per riassumere, quasi mistero religioso, il travaglio storico della nostra età. Comparve invece successivamente (1920) sol più la seconda parte ''«Piazza»''. ''Una stirpe'' è d’una semplicità lineare, che rammenta, anzi volutamente richiama, la tragedia greca. L’azione è tutta interna; come la scena non muta mai, così i personaggi appena si muovono. Anonimi essi sono, perchè il loro non è dramma particolare: la madre, il figlio maggiore, il figlio vile, il figlio minore, la figlia, due ufficiali, soldati. E nessun vincolo di tempo o di costume. Scena un camposanto sulla cima d’una montagna, a notte. La madre vi ha seppellito un figlio caduto combattendo da eroe. Dalla valle, dove la battaglia continua, le portan davanti due altri figli, i quali, l’uno per delitti di lussuria, l’altro per colpa di codardia, dovranno esser l’indomani giustiziati. La vera azione incomincia quando i soldati si ritirano dopo aver legato al cancello del cimitero i due rei, e si riduce a un duello disperalo tra la madre ed il figlio maggiore. Non l’ha spinto al delitto malvagità, bensì il soverchio ardore vitale. La colpa è della vita, di coloro che danno la vita, e di coloro che sfrenano nel cuore umano tutte le tempestose passioni della vita. «Prima ci portano su vette prossime al sole, e poi quando il nostro petto s’è disabituato dell’aria della valle, quando non sappiamo più tollerare il giogo quotidiano, ci trafiggono il cuore colle leggi». Due quindi i nemici mortali dell’uomo: la società e la madre. La società è un mostro inafferrabile e lontano; presente, persona è la madre; contro di essa con cieco furore si slancia il figlio. Lo spalleggia la sorella. Le concupiscenze per anni mortificate si destano in lei, e poichè il fratello anelante a vendetta la respinge, è lei a lanciare il sacrilego grido: «Se la strozzassimo questa donna!»


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Non si capisce bene qual terza parte avrebbe dovuto seguire a chiudere la trilogia. Il nucleo dell’opera non è infatti lo sviluppo, l’attuazione d’un’idea (la nascita del cosmo dal caos), è una constatazione e un desiderio. Già la seconda parte è superflua. Per non esserlo. Dietrich avrebbe dovuto aver l’anima di una madre, la volontà della vita creatrice di sempre nuove forme. Invece il suo dramma è il dramma della velleità, cioè della debolezza contemporanea. E non poteva essere altrimenti; Dietrich non poteva vincere, perchè il tempo ha fallito. Il suo rifugio nell’estasi è una barocca corona sopita un pasticcio artistico (<ref>Dopo Fritz von Unruh cadrebbe opportuno accennare almeno ai drammi di Franz Werfel. Solo da poco ha tentato il teatro. ''L’Uomo speculare'' e ''Il Cortile di giuoco'' erano fantasie inaccessibili alla scena. ''Il Silenzioso'' ha avuto a suo tempo un successo di stima e nessuno pensa più a riprenderlo. Uomini eccezionalissimi, conflitti quasi disumani; giuochi oscuri in luci sublunari; il meglio alcune espansioni liriche, fiori di serra esse pure. L’ultimo lavoro drammatico di Werfel ''Juarez e Massimiliano'', dato con gran successo (anche per merito di Leinhardt) è un romanzo in iscene, che ricorda il Verdi di Werfel stesso. Anche qui una tesi e un contrasto risolutamente accentuato. Opera di pregio, ma un po’ un’avventura d’uno scrittore di talento.</ref>). In fondo Unruh aveva una cosà sola da comunicare: l’angoscia egli l’ha efficacemente concentrata nel mostruoso atto d’accusa del figlio e nel martirio della madre (forse l’idea più originale quest’ultima del dramma espressionista). Che da tanta tortura nascesse il desiderio e magari l’annunzio d’una nuova umanità si comprende. Ma dei contradditori tentativi quotidiani della storia per trovar la sua strada non si fa il dramma. L’arte paga allora caramente la sua presunzione. Unruh si accorse, che lo sforzo immaginativo non basta a creare la tragedia e seppe tacere. Più accorti di lui altri credettero d’aver trovato un filone d’oro c si diedero a scavare gallerie nell’acqua.
Non si capisce bene qual terza parte avrebbe dovuto seguire a chiudere la trilogia. Il nucleo dell’opera non è infatti lo sviluppo, l’attuazione d’un’idea (la nascita del cosmo dal caos), è una constatazione e un desiderio. Già la seconda parte è superflua. Per non esserlo. Dietrich avrebbe dovuto aver l’anima di una madre, la volontà della vita creatrice di sempre nuove forme. Invece il suo dramma è il dramma della velleità, cioè della debolezza contemporanea. E non poteva essere altrimenti; Dietrich non poteva vincere, perchè il tempo ha fallito. Il suo rifugio nell’estasi è una barocca corona sopita un pasticcio artistico (<ref>Dopo Fritz von Unruh cadrebbe opportuno accennare almeno ai drammi di Franz Werfel. Solo da poco ha tentato il teatro. ''L’Uomo speculare'' e ''Il Cortile di giuoco'' erano fantasie inaccessibili alla scena. ''Il Silenzioso'' ha avuto a suo tempo un successo di stima e nessuno pensa più a riprenderlo. Uomini eccezionalissimi, conflitti quasi disumani; giuochi oscuri in luci sublunari; il meglio alcune espansioni liriche, fiori di serra esse pure. L’ultimo lavoro drammatico di Werfel ''Juarez e Massimiliano'', dato con gran successo (anche per merito di Leinhardt) è un romanzo in iscene, che ricorda il Verdi di Werfel stesso. Anche qui una tesi e un contrasto risolutamente accentuato. Opera di pregio, ma un po’ un’avventura d’uno scrittore di talento.</ref>). In fondo Unruh aveva una cosà sola da comunicare: l’angoscia egli l’ha efficacemente concentrata nel mostruoso atto d’accusa del figlio e nel martirio della madre (forse l’idea più originale quest’ultima del dramma espressionista). Che da tanta tortura nascesse il desiderio e magari l’annunzio d’una nuova umanità si comprende. Ma dei contradditori tentativi quotidiani della storia per trovar la sua strada non si fa il dramma. L’arte paga allora caramente la sua presunzione. Unruh si accorse, che lo sforzo immaginativo non basta a creare la tragedia e seppe tacere. Più accorti di lui altri credettero d’aver trovato un filone d’oro c si diedero a scavare gallerie nell’acqua.



{{ct|f=100%|t=1|v=1|L=1px|'''La caterva.'''}}
'''La caterva.'''

Misero in carta quasi unicamente la loro enfasi. Si applicarono con perfetta consapevolezza i principii ormai codificati, si tracciò l’orizzonte espressionista, si svilupparono lo stile e la lingua espressionisti; si parlò di Germania all’avanguardia delle nazioni; si formò l’onorata compagnia dell’avvenire («Il mattino». «L’aratro», «drarat» ecc. si chiamavano i cenacoli sorti qua e là, devoti alla buona causa), e di quei visi feroci tutti ebbero paura o soggezione, e anche i critici maggiori si tennero in guardia con un fare paterno di cauti consiglieri, mentre i minori si misero a soffiar certe trombe così assordanti da togliere agli osannati fin l’ultimo briciolo di cervello. Della critica i non poeti credevano di potersi ridere, perchè avevano in precedenza dichiarato di non voler la perfezione, nè la bellezza, nè l’armonia, nè altrettali virtù dello spregiatissimo spirito, e d’essere non dei realizzatori, ma dei cercatori, dei contemplanti, dei pellegrini. Non si vide mai tanta superbia congiunta con tanta ostentata umiltà.
Misero in carta quasi unicamente la loro enfasi. Si applicarono con perfetta consapevolezza i principii ormai codificati, si tracciò l’orizzonte espressionista, si svilupparono lo stile e la lingua espressionisti; si parlò di Germania all’avanguardia delle nazioni; si formò l’onorata compagnia dell’avvenire («Il mattino». «L’aratro», «drarat» ecc. si chiamavano i cenacoli sorti qua e là, devoti alla buona causa), e di quei visi feroci tutti ebbero paura o soggezione, e anche i critici maggiori si tennero in guardia con un fare paterno di cauti consiglieri, mentre i minori si misero a soffiar certe trombe così assordanti da togliere agli osannati fin l’ultimo briciolo di cervello. Della critica i non poeti credevano di potersi ridere, perchè avevano in precedenza dichiarato di non voler la perfezione, nè la bellezza, nè l’armonia, nè altrettali virtù dello spregiatissimo spirito, e d’essere non dei realizzatori, ma dei cercatori, dei contemplanti, dei pellegrini. Non si vide mai tanta superbia congiunta con tanta ostentata umiltà.


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Ma d’ordinario qual noia la lettura o la recita d’uno di questi drammi espressionisti tipo. Tutti monotonamente uguali, tutti sconsolatamente vuoti di movimento drammatico, tutti anemici di poesia. La povertà è resa sol più evidente dallo sforzo delle intenzioni, dallo strazio fatto alla lingua e allo stile, dalle pretensiose trovate escogitate por aumentare il valore espressivo dell’opera. Kornfeld ad es. in ''Cielo e Inferno'' (1919) vorrebbe avere due scene sovrapposte: quello di sotto per gli avvenimenti materiali, quella di sopra per gli avvenimenti trascendenti. Strano, questo ricorrere all’esteriorità per vincere l’esteriorità, questo timore della materia nei superatori di essa. Si vede pure come talvolta avvertano d’aver superato assai meno di quanto non amino credere. Wedekind sembra un ingenuo uomo ormai a tanti di questi giovinetti tutti visioni e rapimenti.
Ma d’ordinario qual noia la lettura o la recita d’uno di questi drammi espressionisti tipo. Tutti monotonamente uguali, tutti sconsolatamente vuoti di movimento drammatico, tutti anemici di poesia. La povertà è resa sol più evidente dallo sforzo delle intenzioni, dallo strazio fatto alla lingua e allo stile, dalle pretensiose trovate escogitate por aumentare il valore espressivo dell’opera. Kornfeld ad es. in ''Cielo e Inferno'' (1919) vorrebbe avere due scene sovrapposte: quello di sotto per gli avvenimenti materiali, quella di sopra per gli avvenimenti trascendenti. Strano, questo ricorrere all’esteriorità per vincere l’esteriorità, questo timore della materia nei superatori di essa. Si vede pure come talvolta avvertano d’aver superato assai meno di quanto non amino credere. Wedekind sembra un ingenuo uomo ormai a tanti di questi giovinetti tutti visioni e rapimenti.



{{ct|f=100%|t=1|v=1|L=1px|'''Bronner e Brecht.'''}}
'''Bronner e Brecht.'''

Ebbene, sforza sforza ecco saltar fuori (un Kokoschka, un Bronner o anche Brecht) chi dà colla sensualità e la violenza più crasse in una sorta di assai grossolano naturalismo. Anche da questa parte quindi il cerchio si chiude; e nondimeno si accende una gara per ottener sempre più sensazione, credendo di trovare qui la terra promessa, l’uomo nuovo. Bronner lo vede in un ''Parricida'', un ragazzo di diciott’anni, che per incestuoso amore della madre uccide il padre tirannico. Brecht lo celebra in un ''Baal'', un arciegoista briaco d’ogni libidine, spacciatoci per poeta (è il super-uomo di una volta), che vediamo passare instancabilmente dal letto all’osteria e da una vergogna aH’altra, finche crepa abbandonato da tutti, come un cane. In siffatti eroi noi dovremmo evidentemente ammirare l’incoercibile spirito vitale, che si afferma al disopra d’ogni limite e a costo d’ogni sofferenza. Ma per portare a tali eroi quel minimo d’interesse, se non d’amore, necessario per derivare dai loro casi qualche sugo, magari al prezzo di trangugiare le più disgustoso p inutili volgarità bisognerebbe che da loro tralucessc una scintilla almeno della conclamata nuova umanità. Ma perchè uccide il parricida di Bronner? Perchè ha un Oidipus-Komplex, perchè cioè il suo autore crede al vangelo di Freud; esser fatale che il figlio s’innamori della madre, che la madre desideri carnalmente il figlio e che il padre tra i due imbrogli; e il poeta s’è messo in testa che solo quella tale operazione dell’accoppamento del padre renda possibile ''«La nascita della Giovinezza»''. E perchè Baal conduce quello sua vita di porco? Per insegnare agli uomini schiavi delle abitudini, del danaro, dei pregiudizi, delle debolezze vili la vera libertà. Una specie di Cristo si vede!
Ebbene, sforza sforza ecco saltar fuori (un Kokoschka, un Bronner o anche Brecht) chi dà colla sensualità e la violenza più crasse in una sorta di assai grossolano naturalismo. Anche da questa parte quindi il cerchio si chiude; e nondimeno si accende una gara per ottener sempre più sensazione, credendo di trovare qui la terra promessa, l’uomo nuovo. Bronner lo vede in un ''Parricida'', un ragazzo di diciott’anni, che per incestuoso amore della madre uccide il padre tirannico. Brecht lo celebra in un ''Baal'', un arciegoista briaco d’ogni libidine, spacciatoci per poeta (è il super-uomo di una volta), che vediamo passare instancabilmente dal letto all’osteria e da una vergogna aH’altra, finche crepa abbandonato da tutti, come un cane. In siffatti eroi noi dovremmo evidentemente ammirare l’incoercibile spirito vitale, che si afferma al disopra d’ogni limite e a costo d’ogni sofferenza. Ma per portare a tali eroi quel minimo d’interesse, se non d’amore, necessario per derivare dai loro casi qualche sugo, magari al prezzo di trangugiare le più disgustoso p inutili volgarità bisognerebbe che da loro tralucessc una scintilla almeno della conclamata nuova umanità. Ma perchè uccide il parricida di Bronner? Perchè ha un Oidipus-Komplex, perchè cioè il suo autore crede al vangelo di Freud; esser fatale che il figlio s’innamori della madre, che la madre desideri carnalmente il figlio e che il padre tra i due imbrogli; e il poeta s’è messo in testa che solo quella tale operazione dell’accoppamento del padre renda possibile ''«La nascita della Giovinezza»''. E perchè Baal conduce quello sua vita di porco? Per insegnare agli uomini schiavi delle abitudini, del danaro, dei pregiudizi, delle debolezze vili la vera libertà. Una specie di Cristo si vede!


Vanno per la maggiore ora, Bronner e Brecht nei circoli dell’avvenire, in Germania. Non ignari dell’arte dell’effetto, con talento di regie, sanno chiudere in lavori di ritmo cinematografico quel che può stuzzicare i nervi sovreccitati e le immaginazioni avide di quei provinciali del gusto, che hanno la loro patria naturale tra l’asfalto e i camini delle grandi città. Aveva cominciato Brecht abbastanza simpaticamente con certi ''Tamburi nella notte'', dove mostrava colla storia d’un reduce creduto morto in guerra e preso dal turbine rivoluzionario sazietà d’ogni tumulto e desiderio d’una modesta, ma intima umanità. (Consimile sazietà e consimile desiderio mostrò anche Toller in due drammi scritti in carcere ''Massa - Uomo e Eugenio Kinkemann'', artisticamente superiori alla ''Trasformazione''). Le speranze fatte concepire allora di sè dal giovane bavarese non si sono finora avverate. E’ ben vero che dei solleciti critici seguirono con crescente soddisfazione la sua carriera senza smarrirsi in un intricatissimo ''Folto'', e arrivando a proclamare ''La Vita di Edoardo II d’Inghilterra'', — un’orgia d’abbiezioni e di dolori accumulati con insaziabile sedismo — superiore all’originale di Chr. Marlowe. Ma le facili digestioni di tali critici dimostrano appunto come certi cibi da loro proclamati pantagruelici siano — quanto a sostanza artistica — appena delle frittelline piene d’aria.
Vanno per la maggiore ora, Bronner e Brecht nei circoli dell’avvenire, in Germania. Non ignari dell’arte dell’effetto, con talento di regie, sanno chiudere in lavori di ritmo cinematografico quel che può stuzzicare i nervi sovreccitati e le immaginazioni avide di quei provinciali del gusto, che hanno la loro patria naturale tra l’asfalto e i camini delle grandi città. Aveva cominciato Brecht abbastanza simpaticamente con certi ''Tamburi nella notte'', dove mostrava colla storia d’un reduce creduto morto in guerra e preso dal turbine rivoluzionario sazietà d’ogni tumulto e desiderio d’una modesta, ma intima umanità. (Consimile sazietà e consimile desiderio mostrò anche Toller in due drammi scritti in carcere ''Massa - Uomo e Eugenio Kinkemann'', artisticamente superiori alla ''Trasformazione''). Le speranze fatte concepire allora di sè dal giovane bavarese non si sono finora avverate. E’ ben vero che dei solleciti critici seguirono con crescente soddisfazione la sua carriera senza smarrirsi in un intricatissimo ''Folto'', e arrivando a proclamare ''La Vita di Edoardo II d’Inghilterra'', — un’orgia d’abbiezioni e di dolori accumulati con insaziabile sedismo — superiore all’originale di Chr. Marlowe. Ma le facili digestioni di tali critici dimostrano appunto come certi cibi da loro proclamati pantagruelici siano — quanto a sostanza artistica — appena delle frittelline piene d’aria.



'''Il viso decadente sotto la maschera avveniristica.'''
'''Il viso decadente sotto la maschera avveniristica.'''


Tutte le stanchezze e i capricci della decadenza insomma sono in questi pretesi pionieri dell’avvenire. Paiono animati dn un’energia che li dovrebbe portar sopra le stelle, e poi si fermano al primo bicchier di vino e alla prima gonnella; paiono dei cavalieri del Graal, e poi a spogliarli dell’armatura vedete loro addosso dei cenci da rigattiere: paiono dei sicurissimi argonauti, e poi la più {{Pt|sem-|}}
Tutte le stanchezze e i capricci della decadenza insomma sono in questi pretesi pionieri dell’avvenire. Paiono animati dn un’energia che li dovrebbe portar sopra le stelle, e poi si fermano al primo bicchier di vino e alla prima gonnella; paiono dei cavalieri del Graal, e poi a spogliarli dell’armatura vedete loro addosso dei cenci da rigattiere: paiono dei sicurissimi argonauti, e poi la più {{Pt|sem-|}}
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{{Centrato|F. M. BONGIOANNI}}
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