Pagina:Il Baretti - Anno II, n. 9, Torino, 1925.djvu/4: differenze tra le versioni

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Se qui si riscontra una premura di fondar l’arte realisticamente estranea al pensiero crociano, si tratta però d’un realismo del soggetto, che si stacca definitivamente dalle preoccupazioni oggettive. La parola «imitazione» che ricorre, sebbene con cura circospetta, in Lasserre e Massis, è respinta espressamente dallo Sturzo, il quale nega il modello estetico, i canoni, le regole: e nega altresì il valore esemplare e normativo delle rappresentazione artistica, chiodo nel cervello dei suddetti realisti. Per non toglier nulla della sua secchezza al discorso, riportiamo; «Pure l’arte ha il suo valore... La vita ha anche bisogno dell’arte. E quando sono i momenti della poesia forte, viva, esuberante si cerca l’arte come mezzo per perpetuare quei momenti, o per dirli agli altri, o per dar sfogo alla piena dei cuore, come avviene col canto. Ma da sola l’arte non vale la vita, da sola la poesia... è come la storia; la storia non vale l’azione, dei resto non ne e che la memoria; la poesia dell’arte strettamente dipende dalla poesia della vita, e tanto è più grande, quanto più a quella si accosta».
Se qui si riscontra una premura di fondar l’arte realisticamente estranea al pensiero crociano, si tratta però d’un realismo del soggetto, che si stacca definitivamente dalle preoccupazioni oggettive. La parola «imitazione» che ricorre, sebbene con cura circospetta, in Lasserre e Massis, è respinta espressamente dallo Sturzo, il quale nega il modello estetico, i canoni, le regole: e nega altresì il valore esemplare e normativo delle rappresentazione artistica, chiodo nel cervello dei suddetti realisti. Per non toglier nulla della sua secchezza al discorso, riportiamo; «Pure l’arte ha il suo valore... La vita ha anche bisogno dell’arte. E quando sono i momenti della poesia forte, viva, esuberante si cerca l’arte come mezzo per perpetuare quei momenti, o per dirli agli altri, o per dar sfogo alla piena dei cuore, come avviene col canto. Ma da sola l’arte non vale la vita, da sola la poesia... è come la storia; la storia non vale l’azione, dei resto non ne e che la memoria; la poesia dell’arte strettamente dipende dalla poesia della vita, e tanto è più grande, quanto più a quella si accosta».


Si osservi come le parole, in sè esuberanti e infiammate, sono qui contenute e ridotte secondo un’opinione misurata, che non si lascia ingannare dal vago L'arte non vale la vita; e perciò, anche se vi si scopre qualche fondamento, sono inutili e pericolose le effusioni, le imprecazioni di un Massis. Non può esser angelica, non e diabolica: l’arte è cosa umana, d'un'umanità che in essa dimentica le cure e purifica i sentimenti, limitando: in una iorma precisa.
Si osservi come le parole, in sè esuberanti e infiammate, sono qui contenute e ridotte secondo un’opinione misurata, che non si lascia ingannare dal vago L'arte non vale la vita; e perciò, anche se vi si scopre qualche fondamento, sono inutili e pericolose le effusioni, le imprecazioni di un Massis. Non può esser angelica, non e diabolica: l’arte è cosa umana, d'un'umanità che in essa dimentica le cure e purifica i sentimenti, limitando: in una forma precisa.


Lo spirito che in essa cerca, trova, teme un cibo sostanziale, un indirizzo vitale, un inizio è uno di quegli spiriti confusi e opachi come sarebbero i peggiori e i più stravaganti di quelli che si dissero romantici.
Lo spirito che in essa cerca, trova, teme un cibo sostanziale, un indirizzo vitale, un inizio è uno di quegli spiriti confusi e opachi come sarebbero i peggiori e i più stravaganti di quelli che si dissero romantici.
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Tale teoria dell'arte obbiettiva e, come dicono, classica e dunque strettamente legata a una teoria di conservazione della compagine sociale della Francia e risulta chiaro come in tutto questo «realismo», s'intoni esso alla morale, alla religione, o all'estetica, il predominio lo tiene la politica, la ragion di stato. «Il en va tout autrement des lettres française» — prosegue il Massis — éminemment sociales, où, sous la liberté infime des styles (ma, di fatto, fino a qual segno è propenso a difenderla?) se découvre un réseau merveilleux de disciplines qu’on ne rompt jamais sans une perte désastreuse». Non diciamo, per carità, che con queste stigmate sociali non si possa far arte; diciamo che quando la si gusta se ne deve prescindere in tutto.
Tale teoria dell'arte obbiettiva e, come dicono, classica e dunque strettamente legata a una teoria di conservazione della compagine sociale della Francia e risulta chiaro come in tutto questo «realismo», s'intoni esso alla morale, alla religione, o all'estetica, il predominio lo tiene la politica, la ragion di stato. «Il en va tout autrement des lettres française» — prosegue il Massis — éminemment sociales, où, sous la liberté infime des styles (ma, di fatto, fino a qual segno è propenso a difenderla?) se découvre un réseau merveilleux de disciplines qu’on ne rompt jamais sans une perte désastreuse». Non diciamo, per carità, che con queste stigmate sociali non si possa far arte; diciamo che quando la si gusta se ne deve prescindere in tutto.


Ma d’altronde un prinicipio così superficiale ed estrinseco si rivolta in suo proprio danno: dalla stessa osservanza e pressura d’un mezzo sociale ristretto e esigente scatta, una pretesa di libertà, per l'artista, che è altrettanto avulsa dalle ragioni dell’arte c perniciosa. L'individuo artista si gonfia della sua propria eco; si stima, e si vuole, riformatore, missionario, vate. L’eccitabile popolo di Francia come una volta nella corte o nelle classi raffinate della società «spirituale» trova nell’arte il suo nvodello e il suo specchio; e vi ha pure un rapido mezzo di propagarla. Dalla balorda esaltazione romantica al dandysmo affettato, al verismo scientifico, a quest'ultimo assillo, forse più tristo e più segreto, d'immoralismo, sentiamo pesare negli artisti un'ansia, un odio, un amore sociale, che li fa spesso pedanti e smorti funzionari del disordine. Massis vorrebbe essere, tra tante rovine, un morale architetto; non si può negare che Gide sia, nell’intenzione sua appena cosciente, un turbato demolitore.
Ma d’altronde un prinicipio così superficiale ed estrinseco si rivolta in suo proprio danno: dalla stessa osservanza e pressura d’un mezzo sociale ristretto e esigente scatta, una pretesa di libertà, per l'artista, che è altrettanto avulsa dalle ragioni dell’arte e perniciosa. L'individuo artista si gonfia della sua propria eco; si stima, e si vuole, riformatore, missionario, vate. L’eccitabile popolo di Francia come una volta nella corte o nelle classi raffinate della società «spirituale» trova nell’arte il suo nvodello e il suo specchio; e vi ha pure un rapido mezzo di propagarla. Dalla balorda esaltazione romantica al dandysmo affettato, al verismo scientifico, a quest'ultimo assillo, forse più tristo e più segreto, d'immoralismo, sentiamo pesare negli artisti un'ansia, un odio, un amore sociale, che li fa spesso pedanti e smorti funzionari del disordine. Massis vorrebbe essere, tra tante rovine, un morale architetto; non si può negare che Gide sia, nell’intenzione sua appena cosciente, un turbato demolitore.


Queste maschere, noi, o ingenui o accorti, non so, le strappiamo senza rimorso alla lettura; ricompaiono, fastidiose e ingombranti, quando ci mettiamo a riflettere, a analizzare. Che siano un utile strumento, e una necessità della vita francse, non neghiamo; ma è ingrata la fatica di volerle estendere, e ci si può opporre con tranquilla coscienza al tentativo di dar loro forma e valore universale.
Queste maschere, noi, o ingenui o accorti, non so, le strappiamo senza rimorso alla lettura; ricompaiono, fastidiose e ingombranti, quando ci mettiamo a riflettere, a analizzare. Che siano un utile strumento, e una necessità della vita francse, non neghiamo; ma è ingrata la fatica di volerle estendere, e ci si può opporre con tranquilla coscienza al tentativo di dar loro forma e valore universale.