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In Bruno c’era una grande disposizione alla poesia: ma l’opero del Bruno si fa recalcitrante ad un effettivo stile dello poesia, allorquando acquisto coscienza del suo essere letterario, quando si sente chiusa nella carcere metrico. Si irrigidisce in un puro esercizio gnomico: diventa nntifantastica per elezione e quindi grettamente realistica, grossolanamente satirica, impacciata cd impacciarne. La fantasia del Bruno si risolve in un piano superiore: si fa intuizione di verità, ma si universaleggia e, ribelle al puro individuale lirico, non si traduce mai in istile e si esercita vistosamente e trogicamente nell’astrattezza del sentimento puro.
In Bruno c’era una grande disposizione alla poesia: ma l’opero del Bruno si fa recalcitrante ad un effettivo stile dello poesia, allorquando acquisto coscienza del suo essere letterario, quando si sente chiusa nella carcere metrico. Si irrigidisce in un puro esercizio gnomico: diventa nntifantastica per elezione e quindi grettamente realistica, grossolanamente satirica, impacciata cd impacciarne. La fantasia del Bruno si risolve in un piano superiore: si fa intuizione di verità, ma si universaleggia e, ribelle al puro individuale lirico, non si traduce mai in istile e si esercita vistosamente e trogicamente nell’astrattezza del sentimento puro.


Questa aspirazione ad un filosofia-lirica si affina c scolliisce in Campanella: ma non quanto basti. Declama troppo il suo essere «sagace limante del ben vero c bello». Ma questa protesta rimane assolutamente inadeguata ni risultati della sua poesia. Questa realtà di cui si proclama i< conoscitore c fattivo» si va disciogliendo più che in una mitologia in una autografia: i versi clic amano cantare <i le virtù, gli arcani, e le grandezze di Dio come facea la prisca ctate» hanno teoreticamente negato In possibilità di una libertà lirica c quindi di una fantasia: Dio ha composto nello spazio la commedia universale c l’arte umana seguendo norma tale all’aulor del medesmo satisfece.
Questa aspirazione ad un filosofia-lirica si affina e scaltrisce in Campanella: ma non quanto basti. Declama troppo il suo essere «sagace limante del ben vero e bello». Ma questa protesta rimane assolutamente inadeguata ai risultati della sua poesia. Questa realtà di cui si proclama «conoscitore e fattivo» si va disciogliendo più che in una mitologia in una autografia: i versi che amano cantare «le virtù, gli arcani, e le grandezze di Dio come facea la prisca etate» hanno teoreticamente negato la possibilità di una libertà lirica e quindi di una fantasia: Dio ha composto nello spazio ''la commedia universale'' e


<poem>l’arte umana seguendo norma tale
Questa letteratura campanelliana sta agli antipodi della negazione del Bruno: che Bruno è reale anche nella sua astratta prassi fantastica mentre Campanella ha negato la fantasia nella letteratura c nel ripiego apologetico.
all’autor del medesmo satisfece.</poem>


Questa letteratura campanelliana sta agli antipodi della negazione del Bruno: che Bruno è reale anche nella sua astratta prassi fantastica mentre Campanella ha negato la fantasia nella letteratura e nel ripiego apologetico.
Il seicento ha bisogno di trovare un suo equilibrio:


Il seicento ha bisogno di trovare un suo equilibrio: e il suo equilibrio è nella sua stanchezza. Ha bisogno che alla prodigalità fantastica del Marini, alla sua mancanza di linea ideale, alla tua prepotenza sensoriale risponda la reazione del Chiabrera, di questo Marini disilluso, disincantato e stanco; e che il tono fantastico scada ancora e si mortifichi in Testi, fino a quando non abbia preso contatto con un limite fisico nel melodramma del Rinuccini.
c il suo equilibrio è nella sua stanchezza.


Marini era lo sviluppo unilaterale dell’arbitrio fantastico dell’Ariosto: era la analisi e la condanna dell’''Orlando furioso''; ed il seicento deve ritornare ad Ariosto per ripigliare contatto effettivo con la sua vita; ma deve ritornare all’altro Ariosto, non quello della pura fantasia e del puro irrazionale ma a quello che di tratto in tratto irrompe ironico, bonario e razionale ad equilibrare il costruito assurdo del poema.
Ha bisogno che alla prodigalità fantastica del Marini, alla sua mancanza di linea ideale, alla tua prepotenza sensoriale risponda la reazione del Chiabrcra, di questo Marini disilluso, disincantato i* stanco; e clic il tono fantastico scada ancora e si mollifichi in Testi, fino a quando non abbia preso contatto con un limite fisico nel melodramma del Rinuccini.


Bisogna dir il seicento dica qualcosa in Tassoni, che neghi la sua illusione e che si riveda caricaturato e modificato in quella poesia che rifa in ispiccioli il grave problema della fantasia che è principio e fine a se flessa. Bisogna che si veda contraffatto e contorto nella poesia burlesca.
Marini era lo sviluppo unilaterale dell’arbitrio fantastico dell’Ariosto: crn In analisi c In condanna dcll’Or/am/o furioso; ed il seicento deve ritornare ad Ariosto per ripigliare contatto effettivo con la sua vita; ma deve ritornare all’altro Ariosto, non quello della pura fantasia e del puro irrazionale ina a quello clic di tratto in tratto irrompe ironico, bonario e razionale ad equilibrare il costruito assurdo del poema.


La seconda metà del seicento, se per un verso ripiglia fiato nel sentimento del Filicaia, prepara, dall’altro, al settecento la tremenda arma della satira con Gigli; e nel Gigli, l’antirettorico, pare si inizi uno dei caratteri più tipici della letteratura settecentesca: la fusione della fantasia col ideologismo razionale.
Bisogna dir il seicento dica qualcosa in Tassoni, che neghi la sua illusione c che si riveda caricaturato c modificato in ciucila poesia che rifa in ispiccioli il ginvc problema della fantasia clic è principio r fine a se flessa. Bisogna clic si veda contraffatto c contorto nella poesia burlesco.


Riappare cosi, martoriarnte e martoriata e quindi più viva, la posizione preromantica della prima metà del seicento.
La sreondn metà del seicento,»c per un verso ripiglia fiato nel sentimento del Filicain, prepara, dall’altro, al settecento la tremenda arma della salila con Gigli; e nel Gigli, l’nntircttorico, pare ii inizi uno dei caratteri più tipici della letteratura settecentesca: la fusione della fantasia col ideologismo razionale.


Riappare cosi, martoriarne c mnrton.ua c quindi più viva. In posizione picioinnnticn dolln prima metà del seicento, Il secentismo, caricatura di uno degli aspetti del seicento, in quanto prassi di fantasia, mancava, per un effettivo rendimento stilistico, di una coscienza critica della fantasia: il settecento ripiglierà criticamente il problema della fantasia. Il secentismo è In fantasia come una invenzione: la fantasia risolta nell’Immagine; è puramente trascendentale in quanto mera strumentali!.! dell’analogia.
Il secentismo, caricatura di uno degli aspetti del seicento, in quanto prassi di fantasia, mancava, per un effettivo rendimento stilistico, di una coscienza critica della fantasia: il settecento ripiglierà criticamente il problema della fantasia. Il secentismo è la fantasia come una ''invenzione'': la fantasia risolta nell’immagine; è puramente trascendentale in quanto mera strumentalità dell’analogia.


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*** Il settecento scntunscc tutto dalla bacchetta magico de! Vico. Ma il settecento negherà Vico così come il Vico aveva negato In poesia: non il Vico lidie poesie dedicatorie, intendiamoci, ma il Vico della scienza nuoval In Vico non c’c grado tra poesia e filosofia nd senso clic si intende: che tra fantasia c ragione non può esserci intesa quando la ragione c li, pronta, a contestare alla fantasia (a sua funzione totalitaria ed universale. Il factum, in ultima analisi, è verum solo in.sede razionale: tutto l’nntiromanticismo vicinano è fermo ancora al pregiudizio peripatetico ddl’àisfcjrj. Il settecento è legalo al Vico in quanto la sua attenzione sin rivolta al problema dell» fantasia: mn supera il Vico in quanto si sforza di conquistare la poesia come verità, si sforza cioè di nisolutizzare la fantasia: il bello come vero e quindi bene. In questo senso il settecento è più platonico del cinquecento.
Il settecento scaturisce tutto dalla bacchetta magico del Vico. Ma il settecento negherà Vico così come il Vico aveva negato la poesia: non il Vico delle poesie dedicatorie, intendiamoci, ma il Vico della ''scienza nuova!''


In Vico non c’è grado tra poesia e filosofia nel senso che si intende: che tra fantasia e ragione non può esserci intesa quando la ragione e li, pronta, a contestare alla fantasia la sua funzione totalitaria ed universale. Il ''factum'', in ultima analisi, è ''verum'' solo in sede razionale: tutto l’antiromanticismo vichinano è fermo ancora al pregiudizio peripatetico dell’''äistesis''. Il settecento è legato al Vico in quanto la sua attenzione sia rivolta al problema della fantasia: ma supera il Vico in quanto si sforza di conquistare la poesia come verità, si sforza cioè di assolutizzare la fantasia: il bello come vero e quindi bene. In questo senso il settecento è più platonico del cinquecento.
Ln sua opposizione al Vico nasce poi da una più matura coscienza stilistica: in Vico non c’è pi.sto per un problema dello stile, come problema dell’unità (il problema dello stile è un problema schicltomcnlr platonico) cd il settecento è incaponito in questo problema dell’unità. Chi potrebbe, no esempio, intendere l’Alfieri fuori dn questo significato stilistico dcH’autobiogrnfia? Gli scrittori più mutui i del settecento ricercano il processo d’ila propria personalità sulla traccia di una pura indagine stilistica (V. il Goldoni ad esempio).


La sua opposizione al Vico nasce poi da una più matura coscienza stilistica: in Vico non c’è posto per un problema dello stile, come problema dell’unità (il problema dello stile è un problema schiettamente platonico) ed il settecento è incaponito in questo problema dell’unità. Chi potrebbe, ad esempio, intendere l’Alfieri fuori dn questo significato stilistico dell’autobiografia? Gli scrittori più muturi del settecento ricercano il processo della propria personalità sulla traccia di una pura indagine stilistica (V. il Goldoni ad esempio).
Il settecento va, anche, oltre al puro problema del Vico, della poesia come fantasia: ricerca nella poesia il poiéin, il fnrc (Parini). Se Vico è l’apposizione, l’ultima r la più vigorosa opposizione pelipatetica ni rinascimento platonico, il settecento è la più ardita negazione dell’estetica vicinano.


E’ negatore anche quando residuati momiòtici c civili, c:omc forme perniciosamente avventizie, impediscano alla sua letteratura di conquistorsi uno stile: anche quando il secolo minacci frutto dell’estetica Metastasio è ci «». |..U IHUO..V LU W RI.OVVIHl vichinna che c il Metastasio.
Il settecento va, anche, oltre al puro problema del Vico, della poesia come fantasia: ricerca nella poesia il ''poiéin'', il fare (Parini). Se Vico è l’apposizione, l’ultima e la più vigorosa opposizione pelipatetica ni rinascimento platonico, il settecento è la più ardita negazione dell’estetica vichiana. E’ negatore anche quando residuati moralistici e civili, come forme perniciosamente avventizie, impediscano alla sua letteratura di conquistorsi uno stile: anche quando il secolo minacci di soffocare attorno al più illustre ed appariscente frutto dell'estetica vichiana che è il Metastasio.


lui che si sforza di tradurre in uno stile l’estetica tipi Viro n l’Armdi.i è il i»;nn della sua influenze i c della sua prepotenza Questo rendo intermedio tra i bestioni ed i sapienti non può essere che il bosco parrasio: il semplice, il orini’ivo.
Metastasio è colui che si sforza di tradurre in uno stile l’estetica tipi Viro e l’Arcadia è il segno della sua influenza e della sua prepotenza. Questo mondo intermedio tra i bestioni ed i sapienti non può essere che il ''bosco parrasio'': il semplice, il primitivo, l’idillio; e, quindi, la trasposizione intenzionale dell' orrido, del brutale, del notturno e del funerario. Tutto ciò nasce da questa matrice vichiana.


Mitastasio è lo sbocco naturale di questa estetica del luogo comune: il melodico, il grazioso, la maschera, il patetico, non sono che aspetti di un lirismo che non può diventare lirica perchè tagliato fuori da ogni dignità di ragione.
l’idillio; c. quindi, la trasposizione intenzionali deii orrido, dei brutale, del in.sturno r -LI funerario. Tutto ciò nasce «la questa matrice vichiana.


Mitastasio è lo «hocco naturale di questa estetica del luogo comune: il melodico, il grazioso, la maschera, il patetico, non sono che aspetti di un lirismo che non può diventare lirica perchè tagliato fuori da ogni dignità di ragioneli settecento è. legittimamente, lo esasperazione contro la dittatura dell’Arcadia, del Vico c del Metastasio.
Il settecento è, legittimamente, lo esasperazione contro la dittatura dell’Arcadia, del Vico e del Metastasio.


Mn se questa esperienza antiarcndica del settecento si fa coscienza critica non riesce ancora a farsi prassi stilistica. Solo l’ottocento tradurrà in atto l’aspirazione romantica del settecento, ma non ncH’ufficinle romanticismo, ma più in là, come vedremo.
Mn se questa esperienza antiarcadica del settecento si fa coscienza critica non riesce ancora a farsi prassi stilistica. Solo l’ottocento tradurrà in atto l’aspirazione romantica del settecento, ma non nell’ufficiale romanticismo, ma più in là, come vedremo. Il settecento nel suo aspetto critico è molto cauto però: cerca un equilibrio tra Metastasio ed Alfieri, cerca, cioè di superare contemporaneamente il tragico melodico ed il tragico psicologico. Di là da questa opposizione tra passione e melodia le prime conquiste sono segnate dal Parini.


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Il settecento nel suo aspetto critico è molto cauto però: cerca un equilibrio tra Metastasio ed Alfieri, cerca, cioè di superare contemporaneamente il tragico melodico ed il tragico psicologico.
Ma Panni offre rilevanti punti di presa per una più minuta inchiesta del problema stilistico. Ln presenza del razionale è in lui rilevante a tal punto dn impedirci di scorgere con chiarezza sufficiente il significato della sua lirica ed il significato lirico dell’opera sua. Guardate con quanta ferocia il Parini non discioglie il vecchio mondo mitologico servendosene non come un mezzo ed un appiglio ironico, ma addirittura come di un mezzo caricaturale. La mitologia del Parini è lo sfondo, l’aria ed in certo modo, la decorazione del suo processo satirico: certe volte l’ironia non gli basta e deve ricorrere alla satira ed alla caricatura. Questo materiale di eccitamento gli viene fornito dal mito classico. Or questa posizione anticlassica in Parini e naturalmente riflessa e tradisce un nodo critico non ancora risolto nel suo stile. Dice qualcosa di più dell’antimitologismo manzoniano, ad esempio, ma dice sempre qualcosa di meno dell’amitologismo della poesia leopardiana.


Il nodo critico del Parini consiste nella irrisoluzione del problema della fantasia: e questa opacità è in tutto il secolo, malgrado l'estetica vichiana abbia cercato con un certo affanno di porlo.
Di là da questa opposizione Ira passione c indodia le prime conquiste sono segnate dal Parini.


Il Gravina, poniamo, che combatte l’''idea mistica'' del secentismo anche quando canonizzi per l'Arcadia e cerchi di strappare alla fantasia il suo dominio così tirannicamente esercitato è sempre più cauto del Vico a lasciare nel problema della fantasia uno spiraglio pel domani.
*** Mn Panni olire rilevanti punti di presa per una più minuta inchiesta del problema stilistico. Ln presenza del rnzionnle è in lui rilevante a tal punto dn impedirci di scorgere con chiarezza sufficiente il significato della sua lirica cd il significato lirico dell’opera sua. Guardate con quanta ferocia il Pai ini non discioglic il vecchio mondo mitologico icivcndoienc non come un mezzo ed un appiglio ironico, mn addirittura come di un mezzo caricaturale.


«La poesia — egli dice — ci tiene disposti verso il finto nel modo come sogliamo essere disposti verso il vero» (''Ragion Poetica'' - I. 2).
La mitologia del Parini è lo sfondo, l’aria ed in cello modo, la decorazione del suo processo satirico: certe volle l’ironia non gli basta c deve ricorrere alla satira ed alla caricatura, Questo materiale di eccitamento gli viene fornito dal mito classico. Or questa posizione antielnssica in Parini c naturalmente riflessa c tradisce un nodo critico non ancora risolto nel suo stile. Dice qualcosa di più dcll’antimitologismo manzoniano, ad esempio, ina dice sempre qualcosa di meno dcll’aniitologismo della poesia leopardiana.


Guardate come il Gravino ci lascia indovinare una risoluzione ulteriore di questo genere: la creazione fantastica tende ad assumere valore uguale a quello della realtà percepita.
Il nodo critico del Patini consiste nella irrisoluzionc c
lei pi •oblcrn a della fantasia: e questa oparità c
in tutto il secolo, malgrado l’c stctica prcvìe Inoliti oblìi, a cere alo con un certo o(fanno di porlo.

Il Gr.

uvina,, pomi amo, che combatte l’idea mistica del 1 Arcodii scce nUimo urlìi «1 nuche quando car i strappare olla fan lonizzi per tasi» il suo dominio i c e«così timnr imamente esercitato c sempre più caute del Vico a lasciare nel problema della fantasia unii «rimali io pel domani.

«» La poesii s — egli dice — ci tic ne disposti verso il fililo nel modo come sogliamo essere disposti vci rso il vero i (liagion Poetica - I. 2).

Guardate c omc:

I Gravino ci lascia indovinare una risoluzione ulteriore di questo genere: la creazione fantastica tende ad assumere valore uguale a quello della realtà percepita.


Questa tesi è in fondo In tesi del più tipico romanticismo inglese (Wilde). Ed il Gravina può conchiudcrc che l’arte sia laddove /’ animo abbracci la favola come vera e reale. E’ proprio qui che viene anticipata la risoluzione della polemica Carlo Gozzi-Goldoni: in questa integrazione del problema fantastico come problema che abbia il suo centro nella conquida di uno sua realtà ex acquo posta con la realtà di ragione. L’Arcadia non si è sforzata, quonto doveva, a costruire uno stile della realtà fantastica come realtà dello fantasia, sviluppando così i germi dell’estetica del Gravina.
Questa tesi è in fondo In tesi del più tipico romanticismo inglese (Wilde). Ed il Gravina può conchiudcrc che l’arte sia laddove /’ animo abbracci la favola come vera e reale. E’ proprio qui che viene anticipata la risoluzione della polemica Carlo Gozzi-Goldoni: in questa integrazione del problema fantastico come problema che abbia il suo centro nella conquida di uno sua realtà ex acquo posta con la realtà di ragione. L’Arcadia non si è sforzata, quonto doveva, a costruire uno stile della realtà fantastica come realtà dello fantasia, sviluppando così i germi dell’estetica del Gravina.