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Croce allo specchio Ih Uno dei grandi meriti del Croce consiste i.ell’aver evitato con costanza i sistemi chiusi, lasciando adito, al contrario del Gentile, a revisioni e sistemazioni feconde, e ammettendo la possibilità di un nuovo dualismo. Il filosofo lo nega, e, certo, dice il vero se si guarda l’opera sua nell’insieme, dove scrive nel Com* tributo queste parole, che vanno meditate:
IL BARBITI

Pag. 105
«.... quando, terminato che ebbi di pubblicare la Filosofia dello spirito, molti m’invitarono al riposo, perchè (dicevano) avevo ormai compiuto il mio «sistema», io sapevo che in realtà non avevo compiutp nè chiuso nulla, ma solamente scritto alcuni volumi intorno ai problemi accumulatisi nel mio spirito via via sin dagli anni della giovinezza». K la verità di questa rinunzia alla filosofia in senso «stretto’ o scolastico» per il continuo filosofare, la vede appunto nell’unità di filosofia e di storia per cui «si filosofa sempre che si pensa, e qunlsiasi cosa e in qualsiasi forma si pensi. Anzi — conchiude — , la perfezione di un filosofare sta (per quel che mi vuol parere) nell’aver superato la forma provvisoria dell’astratta «teoria», nel pensare la filosofia dei fatti particolari, narrando la storia, la storia pensala».
Croce allo specchio

Ih
Comunque sia, qui importa affermare la necessità di ripensare in sè stessi le teorie crociane, ripensarle non solo per accettarle o respingerle o ricostruire su quelle, ma anche per obbedire al valido insegnamento che da esse emana: di fare da sè e in sè il mondo del proprio pensiero.
Uno dei grandi meriti del Croce consiste

i.ell’aver evitato con costanza i sistemi chiusi,
Queste le basi di un’opera, che non si esaurisce nella conquista dei punti cardinali d’una teoria filosofica generale, ma si svolge e cerca la sua convalida nelle molteplici manifestazioni della vita dello spirito, e più specialmente nell’arte. E, per poco che si guardi, ognuno avverte che un così accanito distruttore d’idoli in ogni campo del pensiero, non può essere imo spirito sereno e quasi glariale come potrebbe e forse vorrebbe apparire, ina, se critico, necessariamente drammatico, bisogna tener presente che il.Croce uon è partito, come in genere i filosofi’, dalla speculazione per la speculazione, ni a le manifestazioni della vita (arte, economia, etc.) lo han portato alla filosofia come centro risolutivo d’ogni attività umana. Nessuna meraviglia, quindi, se oggi, nel proclamare l’identità di storia e filosofia, egli, quasi per confermare la validità e l’unità del suo cammino, si ritrovò al punto di partenza: la storia, sicché tutta la sua filosofia ben si definisce come metodologia della storia.
lasciando adito, al contrario del Gentile, a

revisioni e sistemazioni feconde, e ammettendo
Ma è ovvio che non si percorre tanta strada, senza lasciare brani della propria anima, senza dolorare. Certo, parlare delle proprie battaglie interiori S9iiza clic la mano tremi e l’occhio s’imperli di lacrime, quasi considerandole come materia di storia, è veramente un esempio di fermezza d’animo quant’altro mai espressivo, da cui sorge, come scolpito nel duro sasso dei caratteri, l’insegnamento che la •vita è un terribile dovere, che non si esaurisce mai, di fronte agli altri e di fronte a sè stessi.
la possibilità di un nuovo dualismo. Il filosofo

lo nega, e, certo, dice il vero se si guarda
Afa il critico deve rendere evidente questo saliente aspetto della coscienza del filosofo, rilevando che la serenità dello scrittore del Contjibuto, clic è più severo con sè stesso che cOn gli altri, è frutto d’una volontà che compone i contrasti più aspri e violenti, e, anziché risaltarli con l’interesse dell’artista, in cui prevale il sentimento, preferisce darne le soluzioni; sicché, traendo dal ripostiglio della limpida memoria l’immagine della vita vissuta, e proiettandola su lo schermo Ideale del critico per scoprirne le incrinature, non ha esitazioni, e se la rimira con la consapevole tranquillità i chi così e non altrimenti ha voluto che fosse.
l’opera sua nell’insieme, dove scrive nel Com*

tributo queste parole, che vanno meditate:
Direi che la prevalenza di quel veder filosofico, che ha tratto specialmente dal Vico, può produrre una ingannevole illusione nel lettore di queste pagine, imponendogli un metodo d’inflessibile misura, che, trattandosi di autocritica, nasconde al profano l’uomo nella sua complessa unità, e si sforza di mettergli sotto gli ocelli, più che l’opera nel suo tormentoso formarsi, quasi il freddo elenco delle tappe, che pure sono state raggiunte da quell’uomo.
«.... quando, terminato che ebbi di pubblicare

la Filosofia dello spirito, molti m’invitarono al
Ecco perchè questa «critica» può essere intesa esattamente soltanto da chi conosce tutta l’opera crociana, e l’ha valutata per suo conto, non solo nei momenti cardinali, ma nei complessi, drammatici contrasti dei problemi particolari di cui si compone e variamente s’illumina. Soltanto così, investendone, cioè, tutta l’opera e scoprendone le parti complesse, è possibile vedere il filosofo al suo giusto posto nella vita nazionale di questo primo quarto di secolo, che, senza di lui, non si comprende, o se n’ha l’immagine di un quadro su cui la luce più abbondante addensa le ombre in foschia, perchè viene da punti contrnrii al risalto delle lince e dei colori. E allora, certe censure su la incapacità del Croce a partecipare alla vita del suo e nostro tempo, sorte durante la guèrra e accentuatesi in questi ultimi anni, ripetute con aria di sufficienza anche a proposito di questo Contributo (cfr.
riposo, perchè (dicevano) avevo ormai compiuto

il mio «sistema», io sapevo che in
Le Opere e i giorni, 1926, p. 66), per poco che si esca dal fumo della propaganda jmlitica per entrare nel campo più adatto, anzi il solo adatto, della critica storica, più che erronee, appaiono balorde, e rientrano, a voler esser molto caritatevoli, nel circolo massimo delle incomprensioni. Il tentativo, affatto meccanico, di certi grammofoni di mettere fuori della storia d’Italia — come un caso tutto particolare, che sta a sè — l’opera crociana, è semplicemente insensato e ridicolo. Anche il fascismo, se considerato come espressione di nuovi orientamenti spirituali del nostro paese, non può prescindere dai movimenti ideali, che il rinnovamento filosofico portato dal Croce ha eccitato e prodotto in tutti i campi dell’attività nazionale, ed ai quali, in un certo senso, si riallaccia. La pubblicazione della Critica (1903) segna in Italia il principio d’un profondo rivolgimento dei valori spirituali nella nazione.
realtà non avevo compiutp nè chiuso nulla,

ma solamente scritto alcuni volumi intorno
Quando il Croce dà risalto anche in queste pagine, che abbiamo prese a guida, alla •ùia ripugnanza per la vita pubblica, o politica in senso lato, non bisogna fraintenderlo, ritenendolo estraneo ai problemi che affannano la nazione. La sua posizione storica è ben altra. Con la Critica, come afferma egli stesso, ha inteso c ha fatto politica vera e propria, partecipando ai problemi dirci quotidiani della vita contemporanea. La sua ripugnanza al tumulto d’ogni ora va intesa come tendenza a dedicarsi a opere di pensiero anziché a organizzazioni politiche, non già perchè disprezzi queste, o le creda inutili, ma perchè quelle sono il terreno verso cui tende con slanciò il suo animo, sono, insomma, la sua vocazione.
ai problemi accumulatisi nel mio spirito

via via sin dagli anni della giovinezza». K la
Ma l’opera del pensatore, che si pone a chiarire i problemi fondamentali dello spirito, coin’è quella del Croce, non solo è azione, ma è l’azione senza la quale non si costruisce, ma si vive nel caos- Per poco clic si rifletta a quest’ultimi venticinque anni di vita italiana, i quali, por abbracciare un periodo di formazione, sono fondamentali a ogni costruzione presente e del prossimo futuro, risalta in modo assolutamente viva gagliarda c indispensabile — dominatrice, in una parola — l’opera dei Croce nel nuovo formarsi della nostra storia.
verità di questa rinunzia alla filosofia in senso

«stretto’ o scolastico» per il continuo filosofare,
Senza la su3 metodica distruzione d’idoli pseudo-fiìosofici, la nostra generazione continuerebbe a logorarsi nelle rimasticature dozzinali del più sciocco e mortale materialismo positivistico, e il risveglio di energie spirituali — inquieto risveglio, che assume forme strane, a volte violente, ma sempre interessanti per i germi nuovi che riascondono 0 fanno germogliare — non sarebbe stato possibile.
la vede appunto nell’unità di filosofia e

di storia per cui «si filosofa sempre che si
Non basta dire che una nazione giovine e ansiosa di nuova storia sa trovare in sè stessa le voci della sua rinascita: sta il fatto che la voce più alta, levatasi nel nostro paese, accanto ad altre che si sono via via affievolite, tenendo un ruolo sempre minore, è indubbiamente quella del Croce, che ha ridestato coscienze c volontà sopite, producendo spesso movimenti anticrociani, che sono la migliore prova della sua buona scuola dell’energia.
pensa, e qunlsiasi cosa e in qualsiasi forma

si pensi. Anzi — conchiude — , la perfezione
Io parlo, naturalmente, di pensieri nuovi, che creano nuovi orientamenti, i quali, poi, da isolati c individuali o locali, si fanno nazionali, e influiscono per molteplici vie, e spesso indirettamente, su l’orientamento caratteristico d’una o più generazioni. La stessa scuola cattolica ha tratto nuovi impulsi dall’opera crociana, che, insieme al modernismo, l’ha richiamata a una funzione e attività quasi abbandonate per la sterile ripetizione d’un insegnamento noli ripensato, ma appunto, rijictuto.
di un filosofare sta (per quel che mi vuol parere)

nell’aver superato la forma provvisoria
Ma se non si è disposti a dare il giusto peso all’azione rinnovatrice dei movimenti (crociani o anticrocinni non importa sapere, perchè vengono dalla stessa sorgente) partiti dai gruppi intellettuali, che si chiamarono della Voce, del Leonardo, ccc., si guardi con occhio di storici alla rivoluzione che l’Estetica ha portato, c più porterà, nell’arte e nella critica, le teorie economiche, distinte dall’etica, nel campo del Diritto e nella valutazione dei problemi politici, e si comprenderà appieno quanta parte il Croce abbia nella formazione delle nuove generazioni. Quando, in cerca di punti di riferimento nel confuso agitarsi di questi ultimi decenni, si afferma che queste generazioni sono state plasmate dall’opera del D’Annunzio, se si dice cosa non cstranea, si guardn però superficialmente la vita italiana. Al di fuori della coreografia eroica dannunziana, che ha trovato un ambiente adatto durante c dopo la guerra, c che era molto in disuso negli anni precedenti, il Poeta di Pescara non ha influito su gli altri che in modo negativo come artista, provocando quel dannunzianesimo, che è certamente tra i fenomeni più scadenti del nostro secolo:
dell’astratta «teoria», nel pensare la filosofia

dei fatti particolari, narrando la storia, la storia
il suo è rimasto, artisticamente, un caso isolato c certamente il più cospicuo dopo il tramontato crepuscolo tramonto del Carducci e il non tramontato crepuscolo pascoliano. Là sua adesione alla filosofia nietzschiana, più clic convinzione, ragionamento, filosofia, in somma, è stata una occasionale c comoda giustificazione del barocchismo c dell’assenza di moralità, clic viziano l’arte sua. Ma Nietzsche ne esce contraffatto, c quello che, nel macerato scrittore di Zarathustra, è scoppio di pensieri cd insegnamento, si diluisce in vaniloquio nell’autore del Fuoco. Si sbaglia dunque quando certe emergenti forme politico-culturali del nostro tempo si derivano dal D’Annunzio:
pensala».

Comunque sia, qui importa affermare la necessità
c, comunque, quelle che da lui possono derivarsi, non sono certo le più importanti, nè sono state le più durature, almeno nel campo dell’arte, escludendo come estraneo, e in modo assoluto, quello delle dottrine filosofiche. E non si riesce davvero a comprendere il tentativo di qualcuno di accostare il Croce al D’Annunzio, i quali, come nota il filosofo, di comune non hanno che la regione dove son nati; ma io non comprendo neppure ravvicinamento, che il Croce inchinerebbe ad ammettere, co? Carducci. Per me, i due poeti gli sono estranei, perchè la sua formazione non ne risentì affatto gl’influssi, e nella sua attività sono entrati come elementi della sua autonoma indagine critica, come dimostrano, del resto, non solo i saggi e le polemiche su le loro opere, ma l’insieme dell’opera crociana.
di ripensare in sè stessi le teorie crociane,

ripensarle non solo per accettarle o respingerle
Escluso nel modo più categorico il D’Annunzio, non si riesce a comprendere in quale orientamento filosofico, chè il Marcnmnno non ebbe indirizzo veramente filosofico; non nella critica letteraria, che l’Estetica crociana ha disperso gli ultimi residui di quella critica storica che si era ridotta a esercizio di erudizione presso che meccanica; non nel furore politico, più tosto letterario, dcll’ex-rcpubblicano, chè democrazia massonica, socialismo, messianismo, e tutti gli altri intrugli della simbologia rivoluzionaria sono stati derisi e schiacciati dalla critica del filosofo: e nemmeno si può paragonare quella specie di alterigia del poeta toscano con la linea severa c dignitosa del critico meridionale. D’altronde, quando il Croce spuntò all’orizzónte, l’insegnamento del Carducci si crn venuto affievolendo; c quelle stesse generazioni, clic avevano guardato al Maestro dell’Ateneo bolognese come al nume della nuova Italia, inconsapevolmente se iterano staccate, perchè il suo era un linguaggio d’un’cpoca conchiusa. In questo -il Thovez forse vide clr.aro, c alcune delle pagine dedicate al Carducci nel libro II pastore il gregge c la zampogna, mi sembrano, non solo fra’ le sue più belle, ma documento vivo d’un uomo che rtea la voce del suo tempo.
o ricostruire su quelle, ma anche per

obbedire al valido insegnamento che da esse
Ognuno di noi, che, nati sul finire del secolo scorso, fummo educati nei primi lustri del nuovo, trova nella memoria ricordi vivi, che spiegano la lontananza della generazione nostra non solo dal Carducci, ma dal D’Annunzio c dal Pascoli. D’Annunzio, dopo i primi dclirii dell’adolescenza sconcertata, ci respinse:
emana: di fare da sè e in sè il mondo del proprio

pensiero.
l’artificio ci oppresse, l’esaltazione della colpa ci umiliò; c, a ognuna delle migliaia di pagine splendenti — ma tutte eguali, su una nota, sino al parossismo — ci sentimmo sempre più lontano da lui, che, piegandosi nell’eloquenza tribunizia, perdeva via via le corde autentiche della poesia: e il poeta — nel senso immortale della parola — non lo trovammo neppure quando Io adorammo. Pascoli pregava, timido, umile, innocente come un bimbo che va alla prima Comunione, e solitario.
Queste le basi di un’opera, che non si esaurisce

nella conquista dei punti cardinali d’una
riscaldato da un tenue raggio di sole — il sole del villaggio c della casa paterna, ma in aprile, quando le rondini tornano d’oriente — che non guasti la soavità delle ombre mistiche, lievi, vaganti come i sogni del poeta. Quelli che sostarono in ascoltazione, si stancarono presto del preludio pascoliano, che faceva perdere il senso della concretezza, della linea, che servono alla scoltura come alla poesia.- E intanto i filosofi cianciavano di gabinetti e di selezioni naturali... Ora, quando i poeti mancano, e i filosofi si sbizzarriscono in costruzioni meccaniche, si aprono le epoche della critica o della decadenza. Benedetto Croce, quasi senza saperlo, si’ levò dalla modesta ombra delle biblioteche napoletane, dove tutto è discreto e accurato, in questo ambiente e in questo momento che, guardati all’esterno posso» sembrare ricchi di voci c di colori, e invece sono pieni di frastuono e di poltiglia. Egli non era die uno dei molti, che cercavano di comprendere, di chiarirsi il mondo c sè stessi. Non ebbe maestri, e non nc trovò, fra quelli che si dicevano tali: e, soddisfacendo le ansie del suo spirito inquieto, soddisfece 1 le ansie dei contemporanei. Ai quali, in mancanza di poesia, insegnò che cos’è la poesia; poiché si scambiava il particolare per l’universale, insegnò che cos’è l’universale, cioè la filosofia, la scienza; c, in difetto di un metodo sicuro di ricerca, mostrò con l’esempio come si fanno le belle opere sicure delle fonti. Sicché, da vent’anni almeno, ci riferiamo a lui, cd egli, invece di mostrare stanchezza, dà continua prova della validità del suo metodo, ed ogni teoria che sostiene, la convalida con opere particolari: ieri, quando si trattava dell’Esleltcn, ci diede i saggi letterari, pubblicati nella Critica, che poi formarono La letteratura della nuova Italia; oggi, impegnato nella «teoria della storiografia», pubblica La storia del Regno di Napoli e gli studi (nella Critica) sul Seicento. E la lotta continua. E mentre i fuochi fatui di piccole fame usurpatrici passano più rapidi della pellicola cinematografica, la sua opera, consolidatasi subito dopo la pubblicazione dell’Estetica, s’ingigantisce, e in Europa e fuori si moltiplicano le traduzioni dei suoi libri.
teoria filosofica generale, ma si svolge e cerca

la sua convalida nelle molteplici manifestazioni
Se un siffatto uomo è fuori del suo tempo, e non luce che guida nell’affanno, io domando che cos’è un uomo vivo, per iscrivermi d’ufficio fra gli uomini morti.
della vita dello spirito, e più specialmente

nell’arte. E, per poco che si guardi,
Vero è clic, se si vuole trovare il fuoco che alimenta mille passioni e pensieri del nostro tempo, bisogna fermarsi al movimento idealistico crociano, il quale, essendo profondato in una teoria elaborata non fuori del tempo, ma — nello stesso momento in cui risente tutte le necessità della ricerca autonoma del vero — come problema vitale del presente, non solo ha influito energicamente a creare nuove formazioni, ma resta ancóra il punto di orientamento più sicuro, clic ci è dato avere per procedere nel nostro cammino.
ognuno avverte che un così accanito distruttore

d’idoli in ogni campo del pensiero, non
può essere imo spirito sereno e quasi glariale
come potrebbe e forse vorrebbe apparire, ina,
se critico, necessariamente drammatico, bisogna
tener presente che il.Croce uon è partito,
come in genere i filosofi’, dalla speculazione
per la speculazione, ni a le manifestazioni della
vita (arte, economia, etc.) lo han portato alla
filosofia come centro risolutivo d’ogni attività
umana. Nessuna meraviglia, quindi, se oggi,
nel proclamare l’identità di storia e filosofia,
egli, quasi per confermare la validità e l’unità
del suo cammino, si ritrovò al punto di partenza: la storia, sicché tutta la sua filosofia
ben si definisce come metodologia della storia.
Ma è ovvio che non si percorre tanta strada,
senza lasciare brani della propria anima, senza
dolorare. Certo, parlare delle proprie battaglie
interiori S9iiza clic la mano tremi e l’occhio
s’imperli di lacrime, quasi considerandole
come materia di storia, è veramente un
esempio di fermezza d’animo quant’altro mai
espressivo, da cui sorge, come scolpito nel duro
sasso dei caratteri, l’insegnamento che la
•vita è un terribile dovere, che non si esaurisce
mai, di fronte agli altri e di fronte a sè stessi.
Afa il critico deve rendere evidente questo saliente
aspetto della coscienza del filosofo, rilevando
che la serenità dello scrittore del Contjibuto,
clic è più severo con sè stesso che
cOn gli altri, è frutto d’una volontà che compone
i contrasti più aspri e violenti, e, anziché
risaltarli con l’interesse dell’artista, in cui
prevale il sentimento, preferisce darne le soluzioni;
sicché, traendo dal ripostiglio della limpida
memoria l’immagine della vita vissuta, e
proiettandola su lo schermo Ideale del critico
per scoprirne le incrinature, non ha esitazioni,
e se la rimira con la consapevole tranquillità
i chi così e non altrimenti ha voluto che fosse.
Direi che la prevalenza di quel veder filosofico,
che ha tratto specialmente dal Vico,
può produrre una ingannevole illusione nel
lettore di queste pagine, imponendogli un metodo
d’inflessibile misura, che, trattandosi di
autocritica, nasconde al profano l’uomo nella
sua complessa unità, e si sforza di mettergli
sotto gli ocelli, più che l’opera nel suo tormentoso
formarsi, quasi il freddo elenco delle
tappe, che pure sono state raggiunte da quell’uomo.
Ecco perchè questa «critica» può
essere intesa esattamente soltanto da chi conosce
tutta l’opera crociana, e l’ha valutata
per suo conto, non solo nei momenti cardinali,
ma nei complessi, drammatici contrasti
dei problemi particolari di cui si compone e
variamente s’illumina. Soltanto così, investendone,
cioè, tutta l’opera e scoprendone le parti
complesse, è possibile vedere il filosofo al suo
giusto posto nella vita nazionale di questo primo
quarto di secolo, che, senza di lui, non
si comprende, o se n’ha l’immagine di un
quadro su cui la luce più abbondante addensa
le ombre in foschia, perchè viene da punti
contrnrii al risalto delle lince e dei colori. E
allora, certe censure su la incapacità del Croce
a partecipare alla vita del suo e nostro tempo,
sorte durante la guèrra e accentuatesi in questi
ultimi anni, ripetute con aria di sufficienza
anche a proposito di questo Contributo (cfr.
Le Opere e i giorni, 1926, p. 66), per poco che
si esca dal fumo della propaganda jmlitica
per entrare nel campo più adatto, anzi il solo
adatto, della critica storica, più che erronee,
appaiono balorde, e rientrano, a voler esser
molto caritatevoli, nel circolo massimo delle
incomprensioni. Il tentativo, affatto meccanico,
di certi grammofoni di mettere fuori della
storia d’Italia — come un caso tutto particolare,
che sta a sè — l’opera crociana, è semplicemente
insensato e ridicolo. Anche il fascismo,
se considerato come espressione di nuovi
orientamenti spirituali del nostro paese, non
può prescindere dai movimenti ideali, che il
rinnovamento filosofico portato dal Croce ha
eccitato e prodotto in tutti i campi dell’attività
nazionale, ed ai quali, in un certo senso,
si riallaccia. La pubblicazione della Critica
(1903) segna in Italia il principio d’un profondo
rivolgimento dei valori spirituali nella nazione.
Quando il Croce dà risalto anche in
queste pagine, che abbiamo prese a guida, alla
•ùia ripugnanza per la vita pubblica, o politica
in senso lato, non bisogna fraintenderlo,
ritenendolo estraneo ai problemi che affannano
la nazione. La sua posizione storica è ben
altra. Con la Critica, come afferma egli stesso,
ha inteso c ha fatto politica vera e propria,
partecipando ai problemi dirci quotidiani della
vita contemporanea. La sua ripugnanza al
tumulto d’ogni ora va intesa come tendenza
a dedicarsi a opere di pensiero anziché a organizzazioni
politiche, non già perchè disprezzi
queste, o le creda inutili, ma perchè quelle
sono il terreno verso cui tende con slanciò il
suo animo, sono, insomma, la sua vocazione.
Ma l’opera del pensatore, che si pone a chiarire
i problemi fondamentali dello spirito, coin’è
quella del Croce, non solo è azione, ma
è l’azione senza la quale non si costruisce,
ma si vive nel caos- Per poco clic si rifletta
a quest’ultimi venticinque anni di vita italiana,
i quali, por abbracciare un periodo di formazione,
sono fondamentali a ogni costruzione
presente e del prossimo futuro, risalta in modo
assolutamente viva gagliarda c indispensabile
— dominatrice, in una parola — l’opera
dei Croce nel nuovo formarsi della nostra storia.
Senza la su3 metodica distruzione d’idoli
pseudo-fiìosofici, la nostra generazione continuerebbe
a logorarsi nelle rimasticature dozzinali
del più sciocco e mortale materialismo
positivistico, e il risveglio di energie spirituali
— inquieto risveglio, che assume forme
strane, a volte violente, ma sempre interessanti
per i germi nuovi che riascondono 0 fanno
germogliare — non sarebbe stato possibile.
Non basta dire che una nazione giovine e ansiosa
di nuova storia sa trovare in sè stessa le
voci della sua rinascita: sta il fatto che la voce
più alta, levatasi nel nostro paese, accanto ad
altre che si sono via via affievolite, tenendo
un ruolo sempre minore, è indubbiamente
quella del Croce, che ha ridestato coscienze
c volontà sopite, producendo spesso movimenti
anticrociani, che sono la migliore prova
della sua buona scuola dell’energia.
Io parlo, naturalmente, di pensieri nuovi,
che creano nuovi orientamenti, i quali, poi, da
isolati c individuali o locali, si fanno nazionali,
e influiscono per molteplici vie, e spesso
indirettamente, su l’orientamento caratteristico
d’una o più generazioni. La stessa scuola
cattolica ha tratto nuovi impulsi dall’opera
crociana, che, insieme al modernismo, l’ha
richiamata a una funzione e attività quasi
abbandonate per la sterile ripetizione d’un insegnamento
noli ripensato, ma appunto, rijictuto.
Ma se non si è disposti a dare il giusto
peso all’azione rinnovatrice dei movimenti
(crociani o anticrocinni non importa sapere,
perchè vengono dalla stessa sorgente) partiti
dai gruppi intellettuali, che si chiamarono
della Voce, del Leonardo, ccc., si guardi con
occhio di storici alla rivoluzione che l’Estetica
ha portato, c più porterà, nell’arte e nella
critica, le teorie economiche, distinte dall’etica,
nel campo del Diritto e nella valutazione
dei problemi politici, e si comprenderà appieno
quanta parte il Croce abbia nella formazione
delle nuove generazioni. Quando, in
cerca di punti di riferimento nel confuso agitarsi
di questi ultimi decenni, si afferma che
queste generazioni sono state plasmate dall’opera
del D’Annunzio, se si dice cosa non cstranea,
si guardn però superficialmente la
vita italiana. Al di fuori della coreografia eroica
dannunziana, che ha trovato un ambiente
adatto durante c dopo la guerra, c che
era molto in disuso negli anni precedenti, il
Poeta di Pescara non ha influito su gli altri
che in modo negativo come artista, provocando
quel dannunzianesimo, che è certamente
tra i fenomeni più scadenti del nostro secolo:
il suo è rimasto, artisticamente, un caso isolato
c certamente il più cospicuo dopo il tramontato
crepuscolo tramonto del Carducci e il
non tramontato crepuscolo pascoliano. Là sua
adesione alla filosofia nietzschiana, più clic
convinzione, ragionamento, filosofia, in somma,
è stata una occasionale c comoda giustificazione
del barocchismo c dell’assenza di moralità,
clic viziano l’arte sua. Ma Nietzsche ne
esce contraffatto, c quello che, nel macerato
scrittore di Zarathustra, è scoppio di pensieri
cd insegnamento, si diluisce in vaniloquio
nell’autore del Fuoco. Si sbaglia dunque
quando certe emergenti forme politico-culturali
del nostro tempo si derivano dal D’Annunzio:
c, comunque, quelle che da lui possono
derivarsi, non sono certo le più importanti,
nè sono state le più durature, almeno
nel campo dell’arte, escludendo come estraneo,
e in modo assoluto, quello delle dottrine
filosofiche. E non si riesce davvero a comprendere
il tentativo di qualcuno di accostare
il Croce al D’Annunzio, i quali, come nota il
filosofo, di comune non hanno che la regione
dove son nati; ma io non comprendo neppure
ravvicinamento, che il Croce inchinerebbe ad
ammettere, co? Carducci. Per me, i due poeti
gli sono estranei, perchè la sua formazione
non ne risentì affatto gl’influssi, e nella sua
attività sono entrati come elementi della sua
autonoma indagine critica, come dimostrano,
del resto, non solo i saggi e le polemiche su
le loro opere, ma l’insieme dell’opera crociana.
Escluso nel modo più categorico il D’Annunzio,
non si riesce a comprendere in quale
orientamento filosofico, chè il Marcnmnno non
ebbe indirizzo veramente filosofico; non nella
critica letteraria, che l’Estetica crociana ha
disperso gli ultimi residui di quella critica storica
che si era ridotta a esercizio di erudizione
presso che meccanica; non nel furore politico,
più tosto letterario, dcll’ex-rcpubblicano, chè
democrazia massonica, socialismo, messianismo,
e tutti gli altri intrugli della simbologia
rivoluzionaria sono stati derisi e schiacciati
dalla critica del filosofo: e nemmeno si può
paragonare quella specie di alterigia del poeta
toscano con la linea severa c dignitosa del critico
meridionale. D’altronde, quando il Croce
spuntò all’orizzónte, l’insegnamento del Carducci
si crn venuto affievolendo; c quelle
stesse generazioni, clic avevano guardato al
Maestro dell’Ateneo bolognese come al nume
della nuova Italia, inconsapevolmente se iterano
staccate, perchè il suo era un linguaggio
d’un’cpoca conchiusa. In questo -il Thovez
forse vide clr.aro, c alcune delle pagine dedicate
al Carducci nel libro II pastore il gregge
c la zampogna, mi sembrano, non solo fra’ le
sue più belle, ma documento vivo d’un uomo
che rtea la voce del suo tempo.
Ognuno di noi, che, nati sul finire del secolo
scorso, fummo educati nei primi lustri
del nuovo, trova nella memoria ricordi vivi,
che spiegano la lontananza della generazione
nostra non solo dal Carducci, ma dal D’Annunzio
c dal Pascoli. D’Annunzio, dopo i primi
dclirii dell’adolescenza sconcertata, ci respinse:
l’artificio ci oppresse, l’esaltazione
della colpa ci umiliò; c, a ognuna delle migliaia
di pagine splendenti — ma tutte eguali,
su una nota, sino al parossismo — ci sentimmo
sempre più lontano da lui, che, piegandosi
nell’eloquenza tribunizia, perdeva via via le
corde autentiche della poesia: e il poeta —
nel senso immortale della parola — non lo
trovammo neppure quando Io adorammo. Pascoli
pregava, timido, umile, innocente come
un bimbo che va alla prima Comunione, e solitario.
riscaldato da un tenue raggio di sole
— il sole del villaggio c della casa paterna,
ma in aprile, quando le rondini tornano d’oriente
— che non guasti la soavità delle ombre
mistiche, lievi, vaganti come i sogni del
poeta. Quelli che sostarono in ascoltazione,
si stancarono presto del preludio pascoliano,
che faceva perdere il senso della concretezza,
della linea, che servono alla scoltura come alla
poesia.- E intanto i filosofi cianciavano di gabinetti
e di selezioni naturali... Ora, quando
i poeti mancano, e i filosofi si sbizzarriscono
in costruzioni meccaniche, si aprono le epoche
della critica o della decadenza. Benedetto
Croce, quasi senza saperlo, si’ levò dalla
modesta ombra delle biblioteche napoletane,
dove tutto è discreto e accurato, in questo ambiente
e in questo momento che, guardati all’esterno
posso» sembrare ricchi di voci c di
colori, e invece sono pieni di frastuono e di
poltiglia. Egli non era die uno dei molti, che
cercavano di comprendere, di chiarirsi il mondo
c sè stessi. Non ebbe maestri, e non nc
trovò, fra quelli che si dicevano tali: e, soddisfacendo
le ansie del suo spirito inquieto,
soddisfece 1 le ansie dei contemporanei. Ai
quali, in mancanza di poesia, insegnò che
cos’è la poesia; poiché si scambiava il particolare
per l’universale, insegnò che cos’è l’universale,
cioè la filosofia, la scienza; c, in
difetto di un metodo sicuro di ricerca, mostrò
con l’esempio come si fanno le belle opere sicure
delle fonti. Sicché, da vent’anni almeno,
ci riferiamo a lui, cd egli, invece di mostrare
stanchezza, dà continua prova della validità
del suo metodo, ed ogni teoria che sostiene,
la convalida con opere particolari: ieri, quando
si trattava dell’Esleltcn, ci diede i saggi
letterari, pubblicati nella Critica, che poi formarono
La letteratura della nuova Italia; oggi,
impegnato nella «teoria della storiografia»,
pubblica La storia del Regno di Napoli
e gli studi (nella Critica) sul Seicento. E la
lotta continua. E mentre i fuochi fatui di piccole
fame usurpatrici passano più rapidi della
pellicola cinematografica, la sua opera, consolidatasi
subito dopo la pubblicazione dell’Estetica,
s’ingigantisce, e in Europa e fuori
si moltiplicano le traduzioni dei suoi libri.
Se un siffatto uomo è fuori del suo tempo,
e non luce che guida nell’affanno, io domando
che cos’è un uomo vivo, per iscrivermi
d’ufficio fra gli uomini morti.
Vero è clic, se si vuole trovare il fuoco che
alimenta mille passioni e pensieri del nostro
tempo, bisogna fermarsi al movimento idealistico
crociano, il quale, essendo profondato in
una teoria elaborata non fuori del tempo, ma
— nello stesso momento in cui risente tutte le
necessità della ricerca autonoma del vero —
come problema vitale del presente, non solo ha
influito energicamente a creare nuove formazioni,
ma resta ancóra il punto di orientamento
più sicuro, clic ci è dato avere per procedere
nel nostro cammino.
Vito G. Calati.
Vito G. Calati.

RICONOSCIMENTOMa
RICONOSCIMENTOMa tra noi, o si fa del positivismo c non si fa che esporre la roaltà corno cosa data, senza parteciparvi (ma allora perchè si scrive?) la roaltà la conoscono tut.tr), oppure dell’idealismo, in un senso non filosofico, ma spicciolo, che mi ricorda la famosa canzonetta del Tosti, nd allora, liberatisi a priori da qualunque coscienza della realtà, si vola pei reami del sogno e si infilza la più sciolta retorica che sia mai stata usata in questo bello c retorico paese.
tra noi, o si fa del positivismo c non si

fa che esporre la roaltà corno cosa data, senza
parteciparvi (ma allora perchè si scrive?) la roaltà
la conoscono tut.tr), oppure dell’idealismo,
in un senso non filosofico, ma spicciolo, che mi
ricorda la famosa canzonetta del Tosti, nd allora,
liberatisi a priori da qualunque coscienza
della realtà, si vola pei reami del sogno e si
infilza la più sciolta retorica che sia mai stata
usata in questo bello c retorico paese.
Camillo Pellizzi.
Camillo Pellizzi.

(Lo Stato - Rivista di cultura fascista - Napoli).
(Lo Stato - Rivista di cultura fascista - Napoli).

Risorgimento
Risorgimento senza eroi Mon langago n’dtnit pan colui d’un esclavo.
senza eroi

Mon langago n’dtnit pan
Il Risorgimento italiano è ricordato nei suoi eroi. In questo libro mi propongo di guardare il Risorgimento contro luce, nelle più oscure aspirazioni, nei pili insolubili problemi, nelle più disperate speranze: Risorgimento senza eroi.
colui d’un esclavo.

Il Risorgimento italiano è ricordato nei suoi
Il dramma del Risorgimento è nei tormenti della sua preparazione e della sua mancata preparazione.
eroi. In questo libro mi propongo di guardare

il Risorgimento contro luce, nelle più oscure
E’ materia per quelli che si sono scelta la parte dei precursori, dei disperati lucidi, dei vinti che non avranno mai torto perchè nel mondo delle idee sanno far rispettare le distanze anche ai vincitori delle sagre di ottimismo. La storia è infallibile nel vendicare gli esuli, i profeti disarmati, le vittime delle allucinazioni collettive. Anzi prima della storia, questi fanatici della verità, paghi della solitudine, sanno vendicarsi da sè.
aspirazioni, nei pili insolubili problemi, nelle

più disperate speranze: Risorgimento senza
Ho scelto Per la mia storia un centro d’osservazione che mi permettesse di vedere lontano e senza che fosse per ciò troppo frequentato:
eroi.

Il dramma del Risorgimento è nei tormenti
il Piemonte. Coil ho potuto offrire delle indagini personali, logicamente connesse in modo che il quadro fosse completo senza che io dovessi riassumere risultati’già noti e giudizi correnti. Dei personaggi e degli episodi più discussi ho preferito parlare soltanto per cenni.
della sua preparazione e della sua mancata preparazione.

E’ materia per quelli che si sono
L’esposizione non piacerà ai fanatici della storia fatta: essi mi attribuiranno wq umore bisbetico per rimproverarmi lacune arbitrarie Ma io noti volevo parlare del Risorgimento che essi volgarizzano dalle loro cattedre di apologia stipendiata del mito ufficiale. Il mio è il Risorgimento degli eretici, non dei professionisti.
scelta la parte dei precursori, dei disperati lucidi,

dei vinti che non avranno mai torto perchè
nel mondo delle idee sanno far rispettare
le distanze anche ai vincitori delle sagre di
ottimismo. La storia è infallibile nel vendicare
gli esuli, i profeti disarmati, le vittime delle
allucinazioni collettive. Anzi prima della storia,
questi fanatici della verità, paghi della
solitudine, sanno vendicarsi da sè.
Ho scelto Per la mia storia un centro d’osservazione
che mi permettesse di vedere lontano
e senza che fosse per ciò troppo frequentato:
il Piemonte. Coil ho potuto offrire delle
indagini personali, logicamente connesse in
modo che il quadro fosse completo senza che
io dovessi riassumere risultati’già noti e giudizi
correnti. Dei personaggi e degli episodi
più discussi ho preferito parlare soltanto per
cenni.
L’esposizione non piacerà ai fanatici della
storia fatta: essi mi attribuiranno wq umore
bisbetico per rimproverarmi lacune arbitrarie
Ma io noti volevo parlare del Risorgimento
che essi volgarizzano dalle loro cattedre di
apologia stipendiata del mito ufficiale. Il mio
è il Risorgimento degli eretici, non dei professionisti.
Piero Gobetti.
Piero Gobetti.

(Prefazione a Risorgimento senza eroi).
(Prefazione a Risorgimento senza eroi).

DICHIARAZIONE.
DICHIARAZIONE.

I mici corrispondenti non vogliono ancora
I mici corrispondenti non vogliono ancora lasciar la pecca di biasimare l’onesta franchezza, coti cui io dico il mio pensiero di’ogni libro che io leggo, e troppi d’essi continuano ancora a chiamarla imprudenza, tracotanza, c mordacità. Ma come diavolo fanno queste anime di lumaca a ritenere la flemma loro quavdo vedono un autore appena padrone dì quattro 0 cinque mila vocaboli, e appena infarinato di sapere, ficcarsi baldanzosamente in uno stamperia, e non uscir di quella senza molte copie di un suo tema in mano, fatto quivi multiplicare da’ tipografici torchi? Come diavolo fa la più parte de’ leggitori a non istizzirsi contro uno slupidaccto, che ha l’insensata audacia di supporle il mondo bisognoso d’un suo maledetto libro per ammaestrarsi nelle faccende umane, o per acquistare idee giuste cd ampie d’arti e di scienze?
lasciar la pecca di biasimare l’onesta franchezza,

coti cui io dico il mio pensiero di’ogni
Chiunque scrive un libro dev’essere consideralo, diceva il mio vecchio maestro ì.’io.
libro che io leggo, e troppi d’essi continuano

ancora a chiamarla imprudenza, tracotanza,
gene Masigofro, come, un soldato, che si allontana dal suo campo, e clic s’avanza a sfidare braveggiando l’oste nemico. Se un individuo di quell’oste s’inanimisce a quegli sfidi e a quelle braverie, c schiene addosso a colui con la lancia in resta, e lo scavalca, egli opera cosa. degna d’applauso da entrambi gli eserciti, perchè insegna a chi milita in uno adl esser giusto estimatore delle proprie forze; e insegna a chi milita nell’altro a non soffrir in paco per ogni Mariano che si spacci temerariamente per un Grifone 0 per un Aquilanta.
c mordacità. Ma come diavolo fanno

queste anime di lumaca a ritenere la flemma
Sappiano dunque una volta per tutte i miei signori corrispondenti, che mi esorteranno sempre invano; ogni qualvolta mi esorteranno ad adottare la loro prudente cautela, 0 Per dirla alla mia moda, la loro codarda pusillanimità.
loro quavdo vedono un autore appena padrone

dì quattro 0 cinque mila vocaboli, e
Io mi sono irremovibilmente risoluto di voler essere una specie di campione universale, e voglio pigliar su ogni guanto che vedrò ù coraggiosamente e temerariamente gittata nello steccato da qualsiasi guerriero letterario, a giostrare con esso fin che mi durerà la lena; c tanto peggio per me se qualche asta fatale come quella detl’Argalia mi butterà per un tratto colle gambe all’aria“ PI ETRE „: Rivista mensile - Genova.
appena infarinato di sapere, ficcarsi baldanzosamente

in uno stamperia, e non uscir di
Vi deve pur essere qualcuno a continuare lo tradizioni e la vita doll’italica letteratura, per il giorno in cui D’Annunzio avrà finita la ristampa dello opere giovanili e tutti i Panzini Calzini od Oictti avranno chiuso i loro inesauribili spacci di parole vuote; quando l’Uomo finito per definiziono non farà più neppure poesia e Luigi Pirandello si sarà stancato di cucinare in commedie cd in Teatri di Stato la geniale trovata dell’Io uno e molteplice....Ma noi abbiamo concetto diverso della letteratura.
quella senza molte copie di un suo tema in

mano, fatto quivi multiplicare da’ tipografici
La lotteratiwa che stimiamo ha anch’cssa un compito sociale; e «Pietre» è, o vorrebbo essere,un cantiere in cui si lavora all’edifìcio. La fiere, anche letterario, si fanno nei giorni di riposo o di ozio.
torchi? Come diavolo fa la più parte de’ leggitori
a non istizzirsi contro uno slupidaccto,
che ha l’insensata audacia di supporle il mondo
bisognoso d’un suo maledetto libro per
ammaestrarsi nelle faccende umane, o per acquistare
idee giuste cd ampie d’arti e di
scienze?
Chiunque scrive un libro dev’essere consideralo,
diceva il mio vecchio maestro ì.’io.
gene Masigofro, come, un soldato, che si allontana
dal suo campo, e clic s’avanza a sfidare
braveggiando l’oste nemico. Se un individuo di
quell’oste s’inanimisce a quegli sfidi e a quelle
braverie, c schiene addosso a colui con la lancia
in resta, e lo scavalca, egli opera cosa. degna
d’applauso da entrambi gli eserciti, perchè
insegna a chi milita in uno adl esser giusto
estimatore delle proprie forze; e insegna a chi
milita nell’altro a non soffrir in paco per ogni
Mariano che si spacci temerariamente per un
Grifone 0 per un Aquilanta.
Sappiano dunque una volta per tutte i miei
signori corrispondenti, che mi esorteranno
sempre invano; ogni qualvolta mi esorteranno
ad adottare la loro prudente cautela, 0 Per
dirla alla mia moda, la loro codarda pusillanimità.
Io mi sono irremovibilmente risoluto
di voler essere una specie di campione universale,
e voglio pigliar su ogni guanto che
vedrò ù coraggiosamente e temerariamente
gittata nello steccato da qualsiasi guerriero
letterario, a giostrare con esso fin che mi durerà
la lena; c tanto peggio per me se qualche
asta fatale come quella detl’Argalia mi
butterà per un tratto colle gambe all’aria“
PI ETRE „: Rivista mensile - Genova.
Vi deve pur essere qualcuno a continuare lo
tradizioni e la vita doll’italica letteratura, per
il giorno in cui D’Annunzio avrà finita la ristampa
dello opere giovanili e tutti i Panzini
Calzini od Oictti avranno chiuso i loro inesauribili
spacci di parole vuote; quando l’Uomo
finito per definiziono non farà più neppure poesia
e Luigi Pirandello si sarà stancato di cucinare
in commedie cd in Teatri di Stato la
geniale trovata dell’Io uno e molteplice....Ma noi abbiamo concetto diverso della letteratura.
La lotteratiwa che stimiamo ha anch’cssa
un compito sociale; e «Pietre» è, o
vorrebbo essere,un cantiere in cui si lavora
all’edifìcio. La fiere, anche letterario, si fanno
nei giorni di riposo o di ozio.
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