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ITALO Facciamo un discorso che è proprio il rovescio di quelli clic si son ripetuti da qualche mese a questa parte. I critici letterari errano o hanno errato non perchè non usino rivolgersi ai capolavori classici, alle opere dei secoli passati’, ina anzi per la disattenzione e per l’incuria con la quale considerano quello che succede nel tempo loro. Lo starsene zitti riguardo alle somme opere vorrà dire o che non le sanilo gustare, o clic temono, per reverenza, d’intrudersi fra gli spiriti magni;?
IL BARETTI

Pag. 101
il danno sarà tutto loro. La noncuranza, invece, che non di rado aflèttano per le opere nuove si risolve in una specie d’ingiustizia, sia nei confronti del pubblico, sia in quelli degli autori. Quando il servizio d’informazioni non funziona, si va incontro, alla cicca, alle peggiori sorprese Anche questa noncuranza, però, si riesce a giustificare; c tanto meglio, se è un vero fastidio, una previsione dell’inutilità delle proprie fatiche c uno sgomento a vedere clic sotto le stesse etichette le stesse cose mediocri via via vanno ripetendosi, senza che ci sia mai un guizzo nuovo, o si palesi un nuovo aspetto di vita, una nuova tendenza d’arte. D’altra parte sarebbe- criterio assai fallace l’andar ricercando come elemento artistico, nelle produzioni letterarie, la «novità». Mi pare quindi che questo punto, della «novità» che attrae o respinge, secondo i temperamenti, chi le si accosta, sin il crocicchio, e un poco il tormento, di «pianti cercano di appagarsi in un’arte prodotta nel loro tempo; e abbagli come un miraggio i «contemporanei» c i «moderni», desiderosi di veder rispondere le loro aspirazioni momentanee in un cielo dove tutti gli sguardi convergono c ogni tempo è contenuto; fra essi, anche quelli che meno si fidano dei nuovi tentativi e delle nuove persone artistiche. Le vorrebbero escludere in fatti i>er amore a un’altra novità — un poco più vecchia; alla quale parteciparono con impegno, clic salutarono nelli loro adolescenza c riconobbero nella propria formazione. Così d’altronde si fanno le tradizioni, che avvincono stretti a sè per un domani un i>oco segregato e guardingo quelli che ieri furono pieni di baldanza e confidarono senza timoreParrà strano che si discorra tanto «lei «nuovo», prendendo a trattare d’uno scrittore il quale trova il suo luogo tra i vecchi, nato circa sessantacinquc anni or sono, edito per la prima volta nel 1893. Ma questo scrittore interessa prima di tutto come fenomeno della •critica, in quanto cioè l’esempio delle sue critiche vicende ha importanza, e dovrebbe aver riflessi, nel costume dei nostri critici o recensori.
ITALO

Facciamo un discorso che è proprio il rovescio
Le tappe cronologiche della sua attività sono il novantatrè, il novantotto, il millenovecento ventitré. Ma i suoi due primi libri non ebbero risonanza, e il rumore riguardo all’ultimo s’è levato nell’autunno del ’25, a traverso interventi stranieri e per una via tutt’altro che diretta. Che il silenzio su questo scrittore sia stato ingiusto, parrà evidente per la stessa fama, per fortuna non postuma, che ora lo assiste. Ma l’ingiusto silenzio è cagione altresì d’una forma di fama ingiusta.
di quelli clic si son ripetuti da qualche

mese a questa parte. I critici letterari errano
•Calata di lontano, da climi letterari differenti e per contatti clic sembrano assai occasionali, essa vuol rivelare aspetti e forme di •questo scrittore clic, in quella luce, oscurerebbero altre sue qualità molto più ingenue, per includerlo in una tendenza, nella quale non gli spetterebbe altro clic un posto assai •secondarioRagioni geografiche (c tipografiche) escludevano, in quegli anni, lo scrittore triestino da un’assidua vicinanza con la vita letteraria italiana. I suoi due romanzi (<i Una vita» •:$95; «Senilità»: 1898) avrebbero pur dovuto esser letti al loro tempo, c non vi avrebbero sfigurato. Pare che di essi, o di uno di essi, rendesse conto un critico solo: Domenico Olivn; nome che ora non viene spesso ricordato, c quasi punto fuori del campo, che fu suo più strettamente, della critica teatrale.
o hanno errato non perchè non usino rivolgersi

ai capolavori classici, alle opere dei secoli
Non so la ragione del suo così lungo riposo, che dura venticinque anni, il tempo d’una generazione intera; non so quali vicende abbia subite l’ultima pubblicazione, finita di stampare il ’23, conosciuta c- commentata sulla fine del ’25. Ma, a pensarci, due anni non son tanti per far sì che questa conoscenza ci arrivasse, da Trieste, ormai tanto avvicinata, via Dubliuo-Parigi; accorderemo volentieri il perdono di questa moro ad uomini che dovevano aver altro pel capo che non le fortune del signor Italo Svcvo, scrittori c critici che vanno per la maggiore, c indaffarati in imprese di tanta importanza. Siamo anzi soddisfatti che essi ci abbian fatto conoscere quest’uomo; con un apparato c una presentazione in tutto degna della fama a cui lo vogliono consacrare, hanno stimnto di poterlo far comparire come loro ignoto precursore, e gli ban fatto onore in scritti c su riviste dove poche rinomanze moderne conseguono un riconoscimento.
passati’, ina anzi per la disattenzione e

per l’incuria con la quale considerano quello
Ma nulla, o quasi nulla di quello che in lui ci piace, a una lettura calma e coscienziosa, pare clic abbia assunto significato per loro, attenti solo a certe conformità esterne, a certe lentezze prolungate del racconto, a certi compiacimenti d’osservazioni minute in cui hanno riconosciuto le virtù c i modi che li fanno gratuli. Ed ecco il giudizio sulla mirabile psicologia di Zeno Cosini c sulla novità importantissima dell’analisi della psiche qui tentata, al quale altri nostri scrittori limino contrastato vanamente, magari scoprendo che Manzoni s’era già mostrato un finissimo psicologo; come se la disputa dovesse fissarsi su una preminenza dei generi, c ci fosse il SVEVO pericolo che una nuova fama facesse crollare quelle già stabili e assise.
che succede nel tempo loro. Lo starsene zitti

riguardo alle somme opere vorrà dire o che
Bisognerà in tanto distogliere l’attenzione dal «fenomeno» di Zeno Cosini e della sua frammentaria autobiografia, lunga più di cinquecento pagine. Le creature d’uno scrittore hanno da avere un’intima c coerente somiglianza, come i diversi ritratti clic un medesimo pittore dipinge. Tra Alfonso Nitri — così si chiama l’eroe del primo romanzo — c Zeno Cosini c’è differenza, ma come ci può essere tra un uomo maturo eppure ricco «li sensibilità t «l’indulgenza c il cupo, solitario, indeciso adolescente ch’egli fu prima «li venire a patti colla vita. O più tosto la differenza clic v’è tra lo.sguardo «l’un uomo che non sa reagenti alla sua facoltà «l’iinmcdesiiiiarsi e di commuoversi, c uno sguardo elic ila tratto dall’esperienza dell’irouln la capacità di riprendersi, di correggere c coordinare le sue impressióni con una comprensione più addestrata c più sottile dei motivi e un’ombra di cinismo.
non le sanilo gustare, o clic temono, per reverenza,

d’intrudersi fra gli spiriti magni;?
Tu mezzo a questo percorso, la senilità di Emilio Brentani sarebbe un compromesso, una più vera miseria, di persona clic rinuncia a credere al tragico nella vita quotidiana, ma ne prosegue la stanchezza, il senso di vuoto, la assidua opera, demolitrice senza scopo c senza redenzione. Alfonso Nitti si uccide, e Emilio Brentani, spente tutte le velleità come si spengono i lumi, s’accascia.
il danno sarà tutto loro. La noncuranza, invece,

che non di rado aflèttano per le opere nuove
Le altre cose, il mondo, ossia la Trieste di questi due uomini, si trasformano analogamente; se la vita di Nitti, tanto timida, conccn trata, colora di sè tutto quello clic accade, così clic ogni cosa in certo modo concorre alla catastrofe con quel moto quasi fatale, e in quel tono generale di pessimismo che contrassegna i più degni tra i così detti naturalisti, intorno a Brentani in vece tutte le persone spiccano, si muovono indipendenti c tanto libere da essere un attivo rimprovero per la sua melensa e avara scontentezza. Nell’autobiografia di Zeno son proprio le condizioni esterne, gli amori, la famiglia, gli affari, l’occasione c il contenuto della sua sensibilità; se non lo dominano, è perchè egli è ogni volta attento e abilissimo a prendersi la rivincita col piegarli dal loro lato ridicolo. La tragedia, pur sempre latente c possibile, va svanendo, poiché c’è, nel costume di Zeno, un continuo sforzo di riadattamento, clic lo mitiga c lo accosta ai suoi simili, c lo fa, sebbene voglia essere novropatico e ansioso, nonostante le cure più stravaganti e il miraggio d’un’ìmmaginaria salute, uomo più normale di tanti maschi volontari e vittoriosi.
si risolve in una specie d’ingiustizia, sia

nei confronti del pubblico, sia in quelli degli
Questo breve schizzo dell.andameitto dei romanzi tende un poco all’elogio e indica una linea ideale piuttosto clic il risultato positivo.
autori. Quando il servizio d’informazioni non

funziona, si va incontro, alla cicca, alle peggiori
Le manchevolezze nello stile di Italo Svcvo sono tanto evidenti, che il primo giudizio su questi libri sarà sempre una condanna: sono scritti male. Perciò gli stranieri clic ammirano l’autore, ribadiranno contro al gusto italiano una critica pregiudiziale di leggerezza c di formalismo retorico.
sorprese

Anche questa noncuranza, però, si riesce a
Ora non si può dire propriamente che questi libri son scritti male; o si avrà da soggiungere che si accetta ogni giorno roba scritta non meglio, c dove per giunta l’approssimata sicurezza della lingua è garantita «la una retorica impersonale non punto astrusa e assai corrente.
giustificare; c tanto meglio, se è un vero fastidio,

una previsione dell’inutilità delle proprie
Qui ci troviamo a fare i conti con una poco comune imperizia dello scrivere e una curiosa ostinatezza a non imparare, si direbbe a non volersi arrendere a un modo di scrittura più piano e un pochino più elegante, per paura che diventi una maschera o una cosa leziosa. Il peggio si è clic la razza di Ettore Schmitz (Italo Svcvo), o il miscuglio delle razze, poiché, come avviene a Trieste, nella sua famiglia molti han da essere stati gl’incroci, Io estrania da noi c dalla nostra lingua; il suo dialetto e la sua città sono, rispetto agli altri d’Italia, in una condizione, còme dire? di maggior povertà; di modo che l’esperienza più difetta, c la sola dalla quale egli possa attingere, poiché di dimestichezza con altri scrittori italiani non si può proprio parlare, non ha in questo caso valore d’ingenuità c d’immediatezza.
fatiche c uno sgomento a vedere clic sotto

le stesse etichette le stesse cose mediocri via
Lo Schmitz tenta giustificarsi della difficoltà in cui s’aggira senza neanche vedere il modo di spuntarla, e se ne fa una teoria ironica che lo dovrebbe salvare dai rimproveri:
via vanno ripetendosi, senza che ci sia mai un

guizzo nuovo, o si palesi un nuovo aspetto di
«Il dottore ignora clic cosa significhi scrivere in italiano per noi clic parliamo e non sappiamo scrivere il dialetto. Una confessione in iscritto è sempre menzognera. Con ogni nostra parola toscana noi mentiamo! Se egli sapesse come raccontiamo con predilezione tutte le cose i>er le quali abbiamo pronta la frase e come evitiamo quelle clic ei obbligherebbero di ricorrere al vocabolario! E’ proprio così che scegliamo della nostra vita gli episodi da notarsi. Si capisce come la nostra vita avrebbe tutt’altro aspetto se fosse detta nel nostro dialetto».
vita, una nuova tendenza d’arte. D’altra parte

sarebbe- criterio assai fallace l’andar ricercando
E non è vero. E’ proprio il dialetto — quel dialetto che guasta l’aspetto della vita. Parlate a quel modo, tutte le relazioni diventano insulse, coni’è insulsissima la <1 società» triestina clic al nostro autore piace di ritrarre.
come elemento artistico, nelle produzioni

letterarie, la «novità». Mi pare quindi
Non c’è larghezza d’argomenti da cui si possa ritagliare un discorso, nè profondità o compattezza in cui si possa scavare un carattere Nato in un porto c dalla confluenza di genti diverse, è quasi solamente un gergo, come poteva essere la lingua franca negli scali del levante, o quale oggi il linguaggio americano rispetto all’inglese; una riduzione all’assurdo a forza di toni brevi, pratici e di paurosa parsimonia nel vocabolario.
che questo punto, della «novità» che attrae

o respinge, secondo i temperamenti, chi
Diciamo questo perchè lo Schmitz avrebbe bisogno di superare il dialetto, «li essere più che triestino. La facoltà d’intender gli animi, «li crearli, gli si fa facoltà ironica anche per la incompiutezza in cui rimangono, quando urtano alle porte chiuse dello sua ignoranza c della sua incapacità (Immaginare. Allora, sguscia per una via traversa c si mette a guardarli in tralice. Per intendere a fondo e rappresentare bisogna superare e dominare. Fincliè si resto sullo stesso piano, non si può che spostare l’angolo visuale e capire c vedere una linea per volta. Altri triestini, avendo in cuore 10 scontento della vita che li aveva formati, se ne sono astratti e le hanno risposto a toni rudi, con cupe c romantiche risonanze di pensiero; hanno cercato in sè l’asprezza del Carso come simbolo e matrice della città loro, contro alle sue apparenze; c hanno raggiunto così* l’unità dello stile.
le si accosta, sin il crocicchio, e un poco il

tormento, di «pianti cercano di appagarsi in
Tutt’nJtra mi pare la via percorsa da Italo Svcvo. I rari suoi momenti di liricità dif endono da stati di trasporto sensuale, noti dr un dominio sulle impressioni e da un ordine proficuo posto nelle emozioni e nella fantasia.
un’arte prodotta nel loro tempo; e abbagli come

un miraggio i «contemporanei» c i «moderni», desiderosi di veder rispondere le loro
Quando lo hanno accostato a scrittori famosi per il modo onde sanno analizzare c far vivere la psiche dei loro personaggi si direbbe clic hanno preso sul serio una finzione lei suo ultimo libro, di cui egli stesso nelle ultime pagine si burla. Il nome di Proust c quello di Joyce potrebbero essergli messi accanto solo per contrasto, per indicare la completa divergenza c alcune delle sue deficienze più palesi. Lo Svcvo non sa scrivere una frase dove sia un inciso, si perde nel nesso temporale dei verbi, non conosce il segreto di nessun giuoco di profondità; il confronto con una pagina di Proust gli è addirittura micidiale.
aspirazioni momentanee in un cielo dove tutti

gli sguardi convergono c ogni tempo è contenuto;
Viceversa, Proust stesso potrebbe imparare da lui a incidere più rapido, a atteggiar le figure con due segni, invece clic con mille parole; se imparare queste cose gli avesse potuto esser utile, e non fossero contrastanti col suo modo. Joyce poi v’imparerebbe l’ordine, sia pure un ordine esterno, piatto e poco convincente; meglio però di quel suo mare in subbuglio dove si vcdon perdersi alla deriva tanti informi rottami.
fra essi, anche quelli che meno si fidano

dei nuovi tentativi e delle nuove persone
La necessaria povertà dell’espressione gli si è dunque rappresa in una brevità, clic assai spesso è piena di senso e aiuta tanto meglio delle sue parole a intendere e a rappresentare.
artistiche. Le vorrebbero escludere in

fatti i>er amore a un’altra novità — un poco
Il genio (lcH’osservatorc (che è a sua volta creatore, ma secondo aspetti minuti, improvvisi c secondo sintesi di momenti che s’armonizzano) si rivela in lui in frasi staccate, semplici, diritte, perdute in mezzo al racconto che ha in genere i difetti e le poche virtù del naturalismo, ch’egli ha ammirato e seguita ad ammirare. I ritratti fisici c le notazioni psicologiche si combinano c s’accoiti pagimno; spesso, secondo quelle vecchie mode c credenze, si fanno paralleli. Li nota caratteristica degl’individui è talvòlta presa da un loro atteggiamento, da una frase o ria una parola ricl loro discorso fermata e segnata a volo; come s’è detto, le sue creature se le guarda di sbieco. La visione fuggitiva d’un impiegato è la presentazione d’un individuo c d’un carattere («Entrò correndo Sanneo, il capo corrispondente. Era un uomo sulla trentina, alto e magro, i capelli d’una biondezza sbiadita. Aveva ogni parte del lungo, corpo in continuo movimento; dietro agli occhiali si movevano irrequieti gli occhi pallidi >1). Il capo dell’azienda ci è presentato con un suo atto abituale: «Alfonso salutò e il signor Mailer rispose col medesimo cenno a lui e a Giacomo. Faceva sempre dei saluti collcttivi»; nc vedete sùbito la fretta e il sussiego.
più vecchia; alla quale parteciparono con impegno,

clic salutarono nelli loro adolescenza
Alfonso Nitti, pur neH’cvidcntc sua ignoranza, sogna il mondo delle lettere c se ne fa un paradiso; il sogno si rifrange nella realtà meschina, aiuta a sopportarla: «... Alfonso, per legare l’attenzione al lavoro, usava quando era solo di declamare ad alta voce la lettera, e quella si prestava alla declamazione essendo rimbombante di paroioni c di cifre enormi, leggendo ad alta voce la frase e ripetendola nel trascriverla, scriveva con meno fatica perchè bastava il ricordo del suono ncll’orccchio per dirigere la penna». Anzi, la rialza e la sublima: «usciva non appena deposto il libro, c dopo quell’ora passata con gl’idealisti tedéschi, gli sembrava sulla via che le cose lo salutassero».
c riconobbero nella propria formazione. Così

d’altronde si fanno le tradizioni, che avvincono
stretti a sè per un domani un i>oco segregato
e guardingo quelli che ieri furono
pieni di baldanza e confidarono senza timoreParrà
strano che si discorra tanto «lei «nuovo», prendendo a trattare d’uno scrittore il
quale trova il suo luogo tra i vecchi, nato
circa sessantacinquc anni or sono, edito per
la prima volta nel 1893. Ma questo scrittore
interessa prima di tutto come fenomeno della
•critica, in quanto cioè l’esempio delle sue critiche
vicende ha importanza, e dovrebbe aver
riflessi, nel costume dei nostri critici o recensori.
Le tappe cronologiche della sua attività
sono il novantatrè, il novantotto, il millenovecento
ventitré. Ma i suoi due primi libri
non ebbero risonanza, e il rumore riguardo
all’ultimo s’è levato nell’autunno del ’25, a
traverso interventi stranieri e per una via
tutt’altro che diretta. Che il silenzio su questo
scrittore sia stato ingiusto, parrà evidente
per la stessa fama, per fortuna non postuma,
che ora lo assiste. Ma l’ingiusto silenzio è
cagione altresì d’una forma di fama ingiusta.
•Calata di lontano, da climi letterari differenti
e per contatti clic sembrano assai occasionali,
essa vuol rivelare aspetti e forme di
•questo scrittore clic, in quella luce, oscurerebbero
altre sue qualità molto più ingenue,
per includerlo in una tendenza, nella quale
non gli spetterebbe altro clic un posto assai
•secondarioRagioni
geografiche (c tipografiche) escludevano,
in quegli anni, lo scrittore triestino
da un’assidua vicinanza con la vita letteraria
italiana. I suoi due romanzi (<i Una vita» •:$95; «Senilità»: 1898) avrebbero pur dovuto
esser letti al loro tempo, c non vi avrebbero
sfigurato. Pare che di essi, o di uno di essi,
rendesse conto un critico solo: Domenico Olivn;
nome che ora non viene spesso ricordato,
c quasi punto fuori del campo, che fu
suo più strettamente, della critica teatrale.
Non so la ragione del suo così lungo riposo,
che dura venticinque anni, il tempo d’una generazione
intera; non so quali vicende abbia
subite l’ultima pubblicazione, finita di stampare
il ’23, conosciuta c- commentata sulla fine
del ’25. Ma, a pensarci, due anni non son
tanti per far sì che questa conoscenza ci arrivasse,
da Trieste, ormai tanto avvicinata,
via Dubliuo-Parigi; accorderemo volentieri il
perdono di questa moro ad uomini che dovevano
aver altro pel capo che non le fortune
del signor Italo Svcvo, scrittori c critici che
vanno per la maggiore, c indaffarati in imprese
di tanta importanza. Siamo anzi soddisfatti
che essi ci abbian fatto conoscere quest’uomo;
con un apparato c una presentazione
in tutto degna della fama a cui lo vogliono
consacrare, hanno stimnto di poterlo far
comparire come loro ignoto precursore, e gli
ban fatto onore in scritti c su riviste dove poche
rinomanze moderne conseguono un riconoscimento.
Ma nulla, o quasi nulla di quello che in lui
ci piace, a una lettura calma e coscienziosa,
pare clic abbia assunto significato per loro,
attenti solo a certe conformità esterne, a certe
lentezze prolungate del racconto, a certi compiacimenti
d’osservazioni minute in cui hanno
riconosciuto le virtù c i modi che li fanno
gratuli. Ed ecco il giudizio sulla mirabile psicologia
di Zeno Cosini c sulla novità importantissima
dell’analisi della psiche qui tentata,
al quale altri nostri scrittori limino contrastato
vanamente, magari scoprendo che
Manzoni s’era già mostrato un finissimo psicologo;
come se la disputa dovesse fissarsi
su una preminenza dei generi, c ci fosse il
SVEVO
pericolo che una nuova fama facesse crollare
quelle già stabili e assise.
Bisognerà in tanto distogliere l’attenzione
dal «fenomeno» di Zeno Cosini e della sua
frammentaria autobiografia, lunga più di cinquecento
pagine. Le creature d’uno scrittore
hanno da avere un’intima c coerente somiglianza,
come i diversi ritratti clic un medesimo
pittore dipinge. Tra Alfonso Nitri —
così si chiama l’eroe del primo romanzo — c
Zeno Cosini c’è differenza, ma come ci può essere
tra un uomo maturo eppure ricco «li sensibilità
t «l’indulgenza c il cupo, solitario, indeciso
adolescente ch’egli fu prima «li venire
a patti colla vita. O più tosto la differenza
clic v’è tra lo.sguardo «l’un uomo che non sa
reagenti alla sua facoltà «l’iinmcdesiiiiarsi e
di commuoversi, c uno sguardo elic ila tratto
dall’esperienza deU’irouln la capacità di riprendersi,
di correggere c coordinare le sue
impressióni con una comprensione più addestrata
c più sottile dei motivi e un’ombra di
cinismo.
Tu mezzo a questo percorso, la senilità di
Emilio Brentani sarebbe un compromesso, una
più vera miseria, di persona clic rinuncia a
credere al tragico nella vita quotidiana, ma
ne prosegue la stanchezza, il senso di vuoto,
la assidua opera, demolitrice senza scopo c
senza redenzione. Alfonso Nitti si uccide, e
Emilio Brentani, spente tutte le velleità come
si spengono i lumi, s’accascia.
Le altre cose, il mondo, ossia la Trieste di
questi due uomini, si trasformano analogamente;
se la vita di Nitti, tanto timida, conccn
trata, colora di sè tutto quello clic accade, così
clic ogni cosa in certo modo concorre alla
catastrofe con quel moto quasi fatale, e in
quel tono generale di pessimismo che contrassegna
i più degni tra i cosi detti naturalisti, intorno
a Brentani in vece tutte le persone spiccano,
si muovono indipendenti c tanto libere
da essere un attivo rimprovero per la sua melensa
e avara scontentezza. Nell’autobiografia
di Zeno son proprio le condizioni esterne,
gli amori, la famiglia, gli affari, l’occasione
c il contenuto della sua sensibilità; se non lo
dominano, è perchè egli è ogni volta attento
e abilissimo a prendersi la rivincita col piegarli
dal loro lato ridicolo. La tragedia, pur
sempre latente c possibile, va svanendo, poiché
c’è, nel costume di Zeno, un continuo
sforzo di riadattamento, clic lo mitiga c lo
accosta ai suoi simili, c lo fa, sebbene voglia
essere novropatico e ansioso, nonostante le
cure più stravaganti e il miraggio d’un’ìmmaginaria
salute, uomo più normale di tanti
maschi volontari e vittoriosi.
Questo breve schizzo dell.andameitto dei
romanzi tende un poco all’elogio e indica una
linea ideale piuttosto clic il risultato positivo.
Le manchevolezze nello stile di Italo Svcvo
sono tanto evidenti, che il primo giudizio su
questi libri sarà sempre una condanna: sono
scritti male. Perciò gli stranieri clic ammirano
l’autore, ribadiranno contro al gusto
italiano una critica pregiudiziale di leggerezza
c di formalismo retorico.
Ora non si può dire propriamente che questi
libri son scritti male; o si avrà da soggiungere
che si accetta ogni giorno roba scritta
non meglio, c dove per giunta l’approssimata
sicurezza della lingua è garantita «la una retorica
impersonale non punto astrusa e assai corrente.
Qui ci troviamo a fare i conti con una
poco comune imperizia dello scrivere e una curiosa
ostinatezza a non imparare, si direbbe
a non volersi arrendere a un modo di scrittura
più piano e un pochino più elegante, per
paura che diventi una maschera o una cosa
leziosa. Il peggio si è clic la razza di Ettore
Schmitz (Italo Svcvo), o il miscuglio delle
razze, poiché, come avviene a Trieste, nella
sua famiglia molti han da essere stati gl’incroci,
Io estrania da noi c dalla nostra lingua;
il suo dialetto e la sua città sono, rispetto
agli altri d’Italia, in una condizione, còme
dire? di maggior povertà; di modo che l’esperienza
più difetta, c la sola dalla quale egli
possa attingere, poiché di dimestichezza con
altri scrittori italiani non si può proprio parlare,
non ha in questo caso valore d’ingenuità
c d’immediatezza.
Lo Schmitz tenta giustificarsi della difficoltà
in cui s’aggira senza neanche vedere il
modo di spuntarla, e se ne fa una teoria ironica
che lo dovrebbe salvare dai rimproveri:
«Il dottore ignora clic cosa significhi scrivere
in italiano per noi clic parliamo e non
sappiamo scrivere il dialetto. Una confessione
in iscritto è sempre menzognera. Con ogni
nostra parola toscana noi mentiamo! Se egli
sapesse come raccontiamo con predilezione
tutte le cose i>er le quali abbiamo pronta la
frase e come evitiamo quelle clic ei obbligherebbero
di ricorrere al vocabolario! E’ proprio
così che scegliamo della nostra vita gli
episodi da notarsi. Si capisce come la nostra
vita avrebbe tutt’altro aspetto se fosse
detta nel nostro dialetto».
E non è vero. E’ proprio il dialetto — quel
dialetto che guasta l’aspetto della vita. Parlate
a quel modo, tutte le relazioni diventano
insulse, coni’è insulsissima la <1 società» triestina
clic al nostro autore piace di ritrarre.
Non c’è larghezza d’argomenti da cui si possa
ritagliare un discorso, nè profondità o compattezza
in cui si possa scavare un carattere
Nato in un porto c dalla confluenza di genti
diverse, è quasi solamente un gergo, come poteva
essere la lingua franca negli scali del
levante, o quale oggi il linguaggio americano
rispetto all’inglese; una riduzione all’assurdo
a forza di toni brevi, pratici e di paurosa
parsimonia nel vocabolario.
Diciamo questo perchè lo Schmitz avrebbe
bisogno di superare il dialetto, «li essere più
che triestino. La facoltà d’intender gli animi,
«li crearli, gli si fa facoltà ironica anche per
la incompiutezza in cui rimangono, quando
urtano alle porte chiuse dello sua ignoranza
c della sua incapacità (Immaginare. Allora,
sguscia per una via traversa c si mette a guardarli
in tralice. Per intendere a fondo e rappresentare
bisogna superare e dominare. Fincliè
si resto sullo stesso piano, non si può che
spostare l’angolo visuale e capire c vedere una
linea per volta. Altri triestini, avendo in cuore
10 scontento della vita che li aveva formati,
se ne sono astratti e le hanno risposto a toni
rudi, con cupe c romantiche risonanze di pensiero;
hanno cercato in sè l’asprezza del Carso
come simbolo e matrice della città loro, contro
alle sue apparenze; c hanno raggiunto così*
l’unità dello stile.
Tutt’nJtra mi pare la via percorsa da Italo
Svcvo. I rari suoi momenti di liricità dif endono
da stati di trasporto sensuale, noti dr
un dominio sulle impressioni e da un ordine
proficuo posto nelle emozioni e nella fantasia.
Quando lo hanno accostato a scrittori famosi
per il modo onde sanno analizzare c far
vivere la psiche dei loro personaggi si direbbe
clic hanno preso sul serio una finzione lei
suo ultimo libro, di cui egli stesso nelle ultime
pagine si burla. Il nome di Proust c
quello di Joyce potrebbero essergli messi accanto
solo per contrasto, per indicare la completa
divergenza c alcune delle sue deficienze
più palesi. Lo Svcvo non sa scrivere una frase
dove sia un inciso, si perde nel nesso temporale
dei verbi, non conosce il segreto di nessun
giuoco di profondità; il confronto con
una pagina di Proust gli è addirittura micidiale.
Viceversa, Proust stesso potrebbe imparare
da lui a incidere più rapido, a atteggiar
le figure con due segni, invece clic con mille
parole; se imparare queste cose gli avesse potuto
esser utile, e non fossero contrastanti col
suo modo. Joyce poi v’imparerebbe l’ordine,
sia pure un ordine esterno, piatto e poco convincente;
meglio però di quel suo mare in
subbuglio dove si vcdon perdersi alla deriva
tanti informi rottami.
La necessaria povertà dell’espressione gli
si è dunque rappresa in una brevità, clic assai
spesso è piena di senso e aiuta tanto meglio
delle sue parole a intendere e a rappresentare.
Il genio (lcH’osservatorc (che è a sua volta
creatore, ma secondo aspetti minuti, improvvisi
c secondo sintesi di momenti che
s’armonizzano) si rivela in lui in frasi staccate,
semplici, diritte, perdute in mezzo al
racconto che ha in genere i difetti e le poche
virtù del naturalismo, ch’egli ha ammirato e
seguita ad ammirare. I ritratti fisici c le notazioni
psicologiche si combinano c s’accoiti^
pagimno; spesso, secondo quelle vecchie mode
c credenze, si fanno paralleli. Li nota caratteristica
degl’individui è talvòlta presa da un
loro atteggiamento, da una frase o ria una parola
ricl loro discorso fermata e segnata a
volo; come s’è detto, le sue creature se le
guarda di sbieco. La visione fuggitiva d’un
impiegato è la presentazione d’un individuo c
d’un carattere («Entrò correndo Sanneo, il
capo corrispondente. Era un uomo sulla trentina,
alto e magro, i capelli d’una biondezza
sbiadita. Aveva ogni parte del lungo, corpo in
continuo movimento; dietro agli occhiali si
movevano irrequieti gli occhi pallidi >1). Il
capo dell’azienda ci è presentato con un suo
atto abituale: «Alfonso salutò e il signor
Mailer rispose col medesimo cenno a lui e a
Giacomo. Faceva sempre dei saluti collcttivi»;
nc vedete sùbito la fretta e il sussiego.
Alfonso Nitti, pur neH’cvidcntc sua ignoranza,
sogna il mondo delle lettere c se ne
fa un paradiso; il sogno si rifrange nella realtà
meschina, aiuta a sopportarla: «... Alfonso,
per legare l’attenzione al lavoro, usava quando
era solo di declamare ad alta voce la lettera,
e quella si prestava alla declamazione essendo
rimbombante di paroioni c di cifre enormi,
leggendo ad alta voce la frase e ripetendola
nel trascriverla, scriveva con meno fatica perchè
bastava il ricordo del suono ncU’orccchio
per dirigere la penna». Anzi, la rialza e la
sublima: «usciva non appena deposto il libro,
c dopo quell’ora passata con gl’idealisti
tedéschi, gli sembrava sulla via che le cose lo
salutassero».
Ecco qual è, per Alfonso, il rimedio dcll’nmore:
Ecco qual è, per Alfonso, il rimedio dcll’nmore:

«Quando era dinanzi a Lucia ne
vedeva gli zigomi sporgenti. Stava all’erta!
«Quando era dinanzi a Lucia ne vedeva gli zigomi sporgenti. Stava all’erta!

Non sentiva desiderii». Quando l’amore viene,
Non sentiva desiderii». Quando l’amore viene, l’animo timoroso e la sua segregata delicatezza non ci regge: «Le baciò le mani che ella gli abbandonava e quest’abbandono non gli dava altro piacere che di sentirsi rassicurato del tutto, ma anche la noia di dover simulare un grande entusiasmo». Nemmeno il possesso lo rassicura: «Se c’era, la felicità «li Alfonso veniva diminuita da un timore. Quella donna che in una sola ora aveva mutato di sentimenti e d’opinioni era forse impazzita?» «Egli salutò agitando alto il cappello.
l’animo timoroso e la sua segregata delicatezza

non ci regge: «Le baciò le mani che
11 gesto era trovato, ma a lui mancava la sensazione corrispondente. Al vedere Annetta alla finestra, s’era ricordato che così s’usava in amore». E trova una finta forza nell’abbandono: «Egli ora era un uomo nuovo che sapeva quello che valeva. L’altro, colui che nveva sedotto Annetta, era un ragazzo malaticcio con cui egli nulla aveva di comune. Non era la prima volta ch’egli credeva d’uscire dalla puerizia».
ella gli abbandonava e quest’abbandono non

gli dava altro piacere che di sentirsi rassicurato
Ecco un aforisma, tratto da mi movimento dell’animo (l’Alfonso: «S’era adirato, perchè nulla è più irritante che non venir sùbito compreso (piando si finge» liceo, espressa con un simile contrasto, la dolcezza del subitaneo ricordo del padre: «E ancora una volta rivide la fisionomia del padre, che pensava e parlava proprio cosi, mai tanto vicino a sorridere come quando il suo volto s’atteggiava a grande serietà e la sua parola risonava pateticamente commossa».
del tutto, ma anche la noia di dover

simulare un grande entusiasmo». Nemmeno il
Gli esempi addotti vengono tutti dal primo romanzo, «Una vita»; già in quello, e più nei due seguenti, nella notazione psicologica subentra assai naturalmente l’arguzia e l’ironia, piega più conscia dello spirito che conosce le debolezze degli altri, le loro miserie; e le mitiga e le sostiene coli’accostarlc a casi c a motivi impensati che implicano, appunto per la loro distanza, una solidarietà generale c una scambievole remissione. La tragedia d’Alfonso è fatta più umana clall’occliio clic la vede un po’ per volta maturare; sicché ’1 tono concitato c (piasi augurale di certe pagine non predomina, cd egli non assurge a simbolo ili catastrofe nobile c programmatica, come il giovane Werther. Il tono minore, la luce crepuscolare proviene in parte dalla generale tendenza realistica del racconto; ma anche la supera c se ne svolge, con l’atteggiamento di timidezza sofferente che è proposto, nella persona d’Alfonso, quasi in antitesi e all’ammirazione degli altri poco vivi personaggi; c, questo romanzo, si potrebbe ascriverlo anche a qualche lontana parentela dostoieschiana.
possesso lo rassicura: «Se c’era, la felicità «li

Alfonso veniva diminuita da un timore. Quella
donna che in una sola ora aveva mutato
di sentimenti e d’opinioni era forse impazzita?» «Egli salutò agitando alto il cappello.
11 gesto era trovato, ma a lui mancava la
sensazione corrispondente. Al vedere Annetta
alla finestra, s’era ricordato che così s’usava in
amore». E trova una finta forza nell’abbandono: «Egli ora era un uomo nuovo che sapeva
quello che valeva. L’altro, colui che nveva
sedotto Annetta, era un ragazzo malaticcio
con cui egli nulla aveva di comune. Non
era la prima volta ch’egli credeva d’uscire dalla
puerizia».
Ecco un aforisma, tratto da mi movimento
dell’animo (l’Alfonso: «S’era adirato, perchè
nulla è più irritante che non venir sùbito
compreso (piando si finge» liceo, espressa con
un simile contrasto, la dolcezza del subitaneo
ricordo del padre: «E ancora una volta rivide
la fisionomia del padre, che pensava e
parlava proprio cosi, mai tanto vicino a sorridere
come quando il suo volto s’atteggiava
a grande serietà e la sua parola risonava pateticamente
commossa».
Gli esempi addotti vengono tutti dal primo
romanzo, «Una vita»; già in quello, e più
nei due seguenti, nella notazione psicologica
subentra assai naturalmente l’arguzia e l’ironia,
piega più conscia dello spirito che conosce
le debolezze degli altri, le loro miserie;
e le mitiga e le sostiene coli’accostarlc a casi
c a motivi impensati che implicano, appunto
per la loro distanza, una solidarietà generale
c una scambievole remissione. La tragedia
d’Alfonso è fatta più umana clall’occliio clic la
vede un po’ per volta maturare; sicché ’1
tono concitato c (piasi augurale di certe pagine
non predomina, cd egli non assurge a
simbolo ili catastrofe nobile c programmatica,
come il giovane Werther. Il tono minore, la
luce crepuscolare proviene in parte dalla generale
tendenza realistica del racconto; ma anche
la supera c se ne svolge, con l’atteggiamento
di timidezza sofferente che è proposto,
nella persona d’Alfonso, quasi in antitesi e
all’ammirazione degli altri poco vivi personaggi;
c, questo romanzo, si potrebbe ascriverlo
anche a qualche lontana parentela dostoieschiana.
In. «Senilità» il campo esterno è allargato.
In. «Senilità» il campo esterno è allargato.

La piccineria e la miseria d’Emilio Brentani
La piccineria e la miseria d’Emilio Brentani spiccano nel contrasto con la salute e la giovinezza dei movimenti, buoni o cattivi, dclrAngiolina c dello scultore Balli; si rivelano nella pietà stizzosa e risentita che gl’ispira la sorella delirante. Trieste vi è una cosa viva, con soffi di bora, raffiche di pioggia, luci e tramonti; il Balli, clic sarebbe il pittore Vcruda, agisce e parla per sè, all’infuori degli occhi d’Emilio, clic non riescono a vedere mai con giustezza ncll’aniino dcll’amico. La disfatta del Brentani è predetta fin dalle prime pagine: «Per la chiarissima coscienza ch’egli aveva della propria opera, egli non si gloriava del passato però, come nella vita così anche nell’arte, egli èredeva di trovarsi ancora sempre nel periodo di preparazione. Viveva nel futuro sempre in aspettativa, non paziente, di qualche cosa che doveva venirgli dal di fuori, la fortuna, il successo, come se l’età delle belle energie per lui non fosse già tramontata». L’ansia clic gli cova in cuore, non mai generosa, lo predestina al fallimento: «L’amore delle donne era per lui qualche cosa più che non una soddisfazione di vanità, ad onta che, prima di tutto ambizioso, egli non sapesse amare. Era il successo quello, o gli somigliava di molto». Benché meno arrogante, il Brentani è qui disegnato, c con pochi tocchi, non molto dissimile da quel che sarà poi Rubò. Ma la definizione della sua amicizia col Balli ce lo presenta anche trtcglio: «La loro relazione ebbe l’impronta del Balli. Divenne più intima di quanto Emilio per prudenza avesse desiderato... (essi) andavano perfettamente d’accordo. Accordo facile; il Balli insegnava, l’altro non sapeva neppure apprendere.
spiccano nel contrasto con la salute e la giovinezza

dei movimenti, buoni o cattivi, dclrAngiolina
Fra di loro non si parlava mai delle teorie letterarie complesse d’Emilio, poiché il Balli detestava tutto ciò che ignorava. Uomo nel vero senso della parola, il Balli non riceveva (vuol dire: non accettava opinioni, influssi altrui) e quando si trovava accanto il Brentani, poteva avere il sentimento d’esser accompagnato da una delle tante femmine a lui soggette». Si tratta d’un uomo che non sa vivere c che sarà stroncato. Le vicende della stroncatura non consentono che s’incrudelisca contro di Ini; di volta in volta viene lo spunto per il quale si riesce a compiangerlo, ridendo.
c dello scultore Balli; si rivelano

nella pietà stizzosa e risentita che gl’ispira la
La «Coscienza di Zeno» è più che altro una mastodontica burla; o meglio un fallimento annullato, la rivincita su alcune sconfitte, imaginaric ma sofferte, ottenuta con lo sforzo di ristabilire fra tutto le proporzioni necessarie e di comprendere e «smontare» i vari momenti quasi tragici. Zeno Cosini, clic si finge e poi si crede ammalato, canzona, quando è giunto alla fine, il metodo di cura che s’è prescelto. Così gli dice il medico, fanatico della psicoanalisi: «Scriva! scriva I Vedrà come arriverà a vedersi intero». Così poi egli conclude, quando si sottrae all’ostinatezza del medico, e ne ride: «Io proposi al dottore di prendere delle informazioni (riguardo ai fatti raccontati e sottoposti alla sua scienza interpretativa).
sorella delirante. Trieste vi è una cosa viva,

con soffi di bora, raffiche di pioggia, luci e
A mio sapere egli non s’indirizzò a nessuno di costoro, e devo credere che se ne astenne per la paura di veder precipitare per quelle informazioni tutto il suo edificio di accuse e di sospetti. Chissà perchè si sia preso di tale odio per me? Anche lui dev’essere un istcricone clic per aver desiderata invano sua madre, se ne vendica su chi non c’entra affatto».
tramonti; il Balli, clic sarebbe il pittore Vcruda,

agisce e parla per sè, all’infuori degli
Il libro è in fin dei conti l’autobiografia d’un buon Triestino, ricco e inetto, che porta il destino del suo agio inerte in tutte le sue relazioni, ha tempo da perdere c è assai normale.
occhi d’Emilio, clic non riescono a vedere mai

con giustezza ncll’aniino dcll’amico. La disfatta
Appunto perchè è normale, non è un uomo sano e, come tutti i perdigiorno, è fissato sulle proprie malattie. Si può ammettere che Io Schmitz abbia sentito l’influsso delle recenti teorie freudiane, e abbia avuto l’intento di far ancora un romanzo naturalisticosperimentalc su i casi delle nuove ncvropatìc; ma, di fatto, n ogni pagina fa capolino il buon senso; c il malato si dimostra assai accorto quando prende in giro i suoi medici e il male.
del Brentani è predetta fin dalle prime

pagine: «Per la chiarissima coscienza ch’egli
L’ironia è dunque meno sostenuta e distante, a volte semplice voglia di ridere, spirito buffonesco del racconto. Se si potesse, varrebbe la peno di riportare tutta la scena spiritica della dichiarazione d’amore, e quella successiva del fidanzamento con la più brutta fra tre sorelle dopo «lue prove fallite. Della seduta spiritica, cccone un tratto: «Guido (è il rivale in amore) coprendo con la sua la voce di tutti impose quel silenzio clic io, tanto volentieri avrei imposto a lui. Poi con voce mu
aveva della propria opera, egli non si gloriava
del passato però, come nella vita cosi anche
nell’arte, egli èredeva di trovarsi ancora sempre
nel periodo di preparazione. Viveva nel
futuro sempre in aspettativa, non paziente, di
qualche cosa che doveva venirgli dal di fuori,
la fortuna, il successo, come se l’età delle
belle energie per lui non fosse già tramontata». L’ansia clic gli cova in cuore, non mai
generosa, lo predestina al fallimento: «L’amore
delle donne era per lui qualche cosa
più che non una soddisfazione di vanità, ad
onta che, prima di tutto ambizioso, egli non
sapesse amare. Era il successo quello, o gli
somigliava di molto». Benché meno arrogante,
il Brentani è qui disegnato, c con pochi tocchi,
non molto dissimile da quel che sarà poi
Rubò. Ma la definizione della sua amicizia
col Balli ce lo presenta anche trtcglio: «La
loro relazione ebbe l’impronta del Balli. Divenne
più intima di quanto Emilio per prudenza
avesse desiderato... (essi) andavano perfettamente
d’accordo. Accordo facile; il Balli
insegnava, l’altro non sapeva neppure apprendere.
Fra di loro non si parlava mai delle
teorie letterarie complesse d’Emilio, poiché il
Balli detestava tutto ciò che ignorava. Uomo
nel vero senso della parola, il Balli non riceveva
(vuol dire: non accettava opinioni, influssi
altrui) e quando si trovava accanto il
Brentani, poteva avere il sentimento d’esser
accompagnato da una delle tante femmine a
lui soggette». Si tratta d’un uomo che non
sa vivere c che sarà stroncato. Le vicende della
stroncatura non consentono che s’incrudelisca
contro di Ini; di volta in volta viene lo spunto
per il quale si riesce a compiangerlo, ridendo.
La «Coscienza di Zeno» è più che altro
una mastodontica burla; o meglio un fallimento
annullato, la rivincita su alcune sconfitte,
imaginaric ma sofferte, ottenuta con lo
sforzo di ristabilire fra tutto le proporzioni necessarie
e di comprendere e «smontare» i vari
momenti quasi tragici. Zeno Cosini, clic si
finge e poi si crede ammalato, canzona, quando
è giunto alla fine, il metodo di cura che
s’è prescelto. Così gli dice il medico, fanatico
della psicoanalisi: «Scriva! scriva I Vedrà come
arriverà a vedersi intero». Così poi egli conclude,
quando si sottrae all’ostinatezza del medico,
e ne ride: «Io proposi al dottore di
prendere delle informazioni (riguardo ai fatti
raccontati e sottoposti alla sua scienza interpretativa).
A mio sapere egli non s’indirizzò
a nessuno di costoro, e devo credere che se
ne astenne per la paura di veder precipitare
per quelle informazioni tutto il suo edificio di
accuse e di sospetti. Chissà perchè si sia preso
di tale odio per me? Anche lui dev’essere un
istcricone clic per aver desiderata invano sua
madre, se ne vendica su chi non c’entra affatto».
Il libro è in fin dei conti l’autobiografia
d’un buon Triestino, ricco e inetto, che porta
il destino del suo agio inerte in tutte le sue
relazioni, ha tempo da perdere c è assai normale.
Appunto perchè è normale, non è un
uomo sano e, come tutti i perdigiorno, è fissato
sulle proprie malattie. Si può ammettere
che Io Schmitz abbia sentito l’influsso delle
recenti teorie freudiane, e abbia avuto l’intento
di far ancora un romanzo naturalisticosperimentalc
su i casi delle nuove ncvropatìc;
ma, di fatto, n ogni pagina fa capolino il buon
senso; c il malato si dimostra assai accorto
quando prende in giro i suoi medici e il male.
L’ironia è dunque meno sostenuta e distante,
a volte semplice voglia di ridere, spirito
buffonesco del racconto. Se si potesse,
varrebbe la peno di riportare tutta la scena
spiritica della dichiarazione d’amore, e quella
successiva del fidanzamento con la più brutta
fra tre sorelle dopo «lue prove fallite. Della
seduta spiritica, cccone un tratto: «Guido (è
il rivale in amore) coprendo con la sua la voce
di tutti impose quel silenzio clic io, tanto volentieri
avrei imposto a lui. Poi con voce mu