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tratto tratto un piede stretto in una guaina pur d’orq: ’palpita, si contrae, si distende, pare un pesce allevato per il banchetto di un gran Papa del Rinascimento, che ammicchi di tra le fitte alghe di una vasca.
Pag. 90

IL BARETTI
Più che altro c’è del pavoneggiamento nella grazia di Sakharoff: animale gemmato e miniato che si esibisce. Se seguitassi finirei col parlare del suo cattivo gusto.
tratto tratto un piede stretto in una guaina pur

d’orq: ’palpita, si contrae, si distende, pare
Ma ho da dichiarare di non aver cercato qui di menomamente abbozzare un parallelo?
un pesce allevato per il banchetto di un gran

Papa del Rinascimento, che ammicchi di tra
Soltanto, il titolo di danzatore non si riconosce che a un nato sotto il segno di Apollo.
le fitte alghe di una vasca.

Più che altro c’è del pavoneggiamento nella
grazia di Sakharoff: animale gemmato e miniato
che si esibisce. Se seguitassi finirei col
parlare del suo cattivo gusto.
Ma ho da dichiarare di non aver cercato
qui di menomamente abbozzare un parallelo?
Soltanto, il titolo di danzatore non si riconosce
che a un nato sotto il segno di Apollo.
Oreste.
Oreste.

NOTE D’ARTE MODERNA
Boris Grigorief.
NOTE D’ARTE MODERNA Boris Grigorief.

L’arte del Grigorieff, pittore russo e internazionale,
L’arte del Grigorieff, pittore russo e internazionale, ha le sue radici in un’aerea sensualità primitiva, che si riallaccia alle icone bizantine e all’antica pittura popolare russa. Questa materia, non più istintiva e irriilessa, è stata da lui assunta negli schemi dell’arte contemporanea, tra cui Sono riconoscibili, oltre gli apporti cézanniani e cubisti, quelli del moderno espressionismo tedesco. Conoscevamo di questo cubista disegni e riproduzioni, dove, se ci attirava la febbrile scioltezza del segno e l’acuta attenzione psicologica portata sui soggetti, ci disturbava l’eccessiva smania di caratterizzare e di stilizzare le forme, conducendo in tal modo l’espressione a significati troppo sostenuti e precisi. Del resto questa riserva toccherebbe, per quanto ne conosciamo, gran parte dell’arte moderna russa e tedesca, in cui sembra tuttora che l’interesse plastico venga sopraffatto spesso da preoccupazioni simboliche da un lato, e troppo realistiche e incisive dall’altro: atteggiamenti che, pur non mancando di tradizioni nei paesi nordici, si risolvono entrambi in forme di rettorica affrettata e truculenta, quando non danno luogo, nella migliore ipotesi, a una pittura scorporata e puramente prosastica.e illustrativa.
ha le sue radici in un’aerea sensualità

primitiva, che si riallaccia alle icone bizantine
Ora assistiamo a un rassodarsi delle migliori qualità del Grigorieff, attraverso risultati più concreti e calmi, ottenuti palesemente con un ritorno alle fonti più schiette della sua ispirazione plastica, e colla rinuncia a certe eccessive stilizzazioni che rappresentano sempre il maggior pericolo a cui vada esposto questo artista.
e all’antica pittura popolare russa. Questa materia,

non più istintiva e irriilessa, è stata da
Si notino-i toni zingosi del cuscino su cui sta accoccolata la piccola «Modella», dalle guancie accese da un rosso che par vernice brillante sopra legno. O le piatte tinte cineree dei Volti della Russia, che, compite entro contorni semplificati e geometrici, ricordano la materia pòvera e gessosa di certe insegne di villaggio. Si vedrà come il Grigorieff insista sopra gli aspetti d’una realtà impoverita e brutale, dove gli squilli del colore e l’incisività del segno, in luogo di tendere a qualche armoniosa composizione, od anche solo ad avventure decorative, come in tanta parte dell’arte contemporanea, sembra si limitino.alla semplice realizzazione d’un tono fondamentale fatto di sensualità triste e di, scoperto interesse psicologico. Il Grigorieff ci appare aver qui sottomessa la sua bravura un po’ impetuosa e facile a un gusto di schemi primitivi che ci ricordano la tanto discussa n pittura popolare». In realtà, la pittura popolare rappresenta, almeno idealmente, un primo grado oltre il polverio e l’effusione impressionista, un primo tentativo di stile e di limitazione formale.
lui assunta negli schemi dell’arte contemporanea,

tra cui Sono riconoscibili, oltre gli apporti
Ciò spiega il fatto che, dopo l’impressionismo, tanti artisti si sentirono tratti a ricercare le fonti dell’ispirazione nelle forme più infantili e imprecise dell’espressione plastica.
cézanniani e cubisti, quelli del moderno espressionismo

tedesco. Conoscevamo di questo cubista
Nel «Vecchio Porto» e nelle tre Vedute di Pont-Aven notiamo questa forinola «popolare»
disegni e riproduzioni, dove, se ci attirava la

febbrile scioltezza del segno e l’acuta attenzione
nel suo stadio più semplice. Tinte violente, egualmente compite entro rozzi contorni senza trapassi e sfumature, compiono un’armonia di accostamenti semplici in cui la vivacità stessa delle zone del quadro di per sè prese si attutisce nel povero sfoggio dell’insieme. Ma in queste opere non sono ravvisabili che risultati illustrativi, fin troppo evidenti. Più vicini alle intenzioni del pittore, se non immuni del tutto da elementi fiamminghi italiani quattrocenteschi sono il quadro «Miseria» e alcuni ritratti, dove si riscontra, come in quello della Marchesa, una costruzione di gusto semplice e barbaro, nudo scheletro a sostenere le zone del colore.
psicologica portata sui soggetti, ci disturbava

l’eccessiva smania di caratterizzare e di stilizzare
E molti paesaggi di Bretagna, pianure verdechiaro fermate sotto cieli pesi e turchini come nell’illuminazione d’un lampo imprpvviso, piantagioni di cavoli azzurrastri, case campestri dai comignoli alti accatastate fra le matasse frondose dei meli, tronchi di piante atrocemente nudi sotto un sole povero.
le forme, conducendo in tal modo l’espressione

a significati troppo sostenuti e precisi. Del
Nei- disegni, mancando il colore a collegare e a saldare la composizione, che negli stessi quadri si ’basa quasi unicamente sull’intarsio delle tinte, senza trapassi chiaroscurali, la visione si scorpora, e il gusto si rifugia nella preziosità della linea,, che si sviluppa sul foglio bianco affrettata e capricciosa a conchiudere i labili contorni delle figure, disposte in modo che si direbbe illustrativo. Certi animali al pascolo, appena accennati da lievi tratti di matita ritrovano nella loro scarna essenzialità qualcosa dello spirito schematico dei primitivi, ma dissolto da una nervosa e delicata mièvrerie.
resto questa riserva toccherebbe, per quanto ne

conosciamo, gran parte dell’arte moderna russa
Contemplando alcune di queste tele, dove l’acre sensazione d’una realtà intristita giunge a comporsi in ima nuda luce intellettuale, arriviamo fino a dimenticare le formole conosciute e inevitàbili sulle quali il pittore ha costruito. Linee e colori ci conducono, seppure attraverso divaganti ambiguità, a un loro significato riposto di smarrita e barbara malinconia, dove le forme semplificate non serbano più che una inquieta e fuggevole grazia, i volti delle figure si scompongono in piani aridi e violenti, una natura acerba è impedita di fiorire.
e tedesca, in cui sembra tuttora che l’interesse

plastico venga sopraffatto spesso da preoccupazioni
simboliche da un lato, e troppo realistiche
e incisive dall’altro: atteggiamenti che, pur non
mancando di tradizioni nei paesi nordici, si
risolvono entrambi in forme di rettorica affrettata
e truculenta, quando non danno luogo,
nella migliore ipotesi, a una pittura scorporata
e puramente prosastica.e illustrativa.
Ora assistiamo a un rassodarsi delle migliori
qualità del Grigorieff, attraverso risultati più
concreti e calmi, ottenuti palesemente con un
ritorno alle fonti più schiette della sua ispirazione
plastica, e colla rinuncia a certe eccessive
stilizzazioni che rappresentano sempre il maggior
pericolo a cui vada esposto questo artista.
Si notino-i toni zingosi del cuscino su cui sta
accoccolata la piccola «Modella», dalle guancie
accese da un rosso che par vernice brillante
sopra legno. O le piatte tinte cineree dei Volti
della Russia, che, compite entro contorni semplificati
e geometrici, ricordano la materia pòvera
e gessosa di certe insegne di villaggio. Si
vedrà come il Grigorieff insista sopra gli aspetti
d’una realtà impoverita e brutale, dove gli
squilli del colore e l’incisività del segno, in luogo
di tendere a qualche armoniosa composizione,
od anche solo ad avventure decorative, come
in tanta parte dell’arte contemporanea, sembra
si limitino.alla semplice realizzazione d’un tono
fondamentale fatto di sensualità triste e di, scoperto
interesse psicologico. Il Grigorieff ci appare
aver qui sottomessa la sua bravura un po’
impetuosa e facile a un gusto di schemi primitivi
che ci ricordano la tanto discussa n pittura
popolare». In realtà, la pittura popolare
rappresenta, almeno idealmente, un primo grado
oltre il polverio e l’effusione impressionista,
un primo tentativo di stile e di limitazione formale.
Ciò spiega il fatto che, dopo l’impressionismo,
tanti artisti si sentirono tratti a ricercare
le fonti dell’ispirazione nelle forme più infantili
e imprecise dell’espressione plastica.
Nel «Vecchio Porto» e nelle tre Vedute di
Pont-Aven notiamo questa forinola «popolare»
nel suo stadio più semplice. Tinte violente, egualmente
compite entro rozzi contorni senza
trapassi e sfumature, compiono un’armonia di
accostamenti semplici in cui la vivacità stessa
delle zone del quadro di per sè prese si attutisce
nel povero sfoggio dell’insieme. Ma in queste
opere non sono ravvisabili che risultati illustrativi,
fin troppo evidenti. Più vicini alle
intenzioni del pittore, se non immuni del tutto
da elementi fiamminghi italiani quattrocenteschi
sono il quadro «Miseria» e alcuni ritratti,
dove si riscontra, come in quello della Marchesa,
una costruzione di gusto semplice e barbaro,
nudo scheletro a sostenere le zone del colore.
E molti paesaggi di Bretagna, pianure verdechiaro
fermate sotto cieli pesi e turchini come
nell’illuminazione d’un lampo imprpvviso, piantagioni
di cavoli azzurrastri, case campestri dai
comignoli alti accatastate fra le matasse frondose
dei meli, tronchi di piante atrocemente nudi
sotto un sole povero.
Nei- disegni, mancando il colore a collegare
e a saldare la composizione, che negli stessi
quadri si ’basa quasi unicamente sull’intarsio
delle tinte, senza trapassi chiaroscurali, la visione
si scorpora, e il gusto si rifugia nella preziosità
della linea,, che si sviluppa sul foglio
bianco affrettata e capricciosa a conchiudere i
labili contorni delle figure, disposte in modo
che si direbbe illustrativo. Certi animali al pascolo,
appena accennati da lievi tratti di matita
ritrovano nella loro scarna essenzialità qualcosa
dello spirito schematico dei primitivi, ma
dissolto da una nervosa e delicata mièvrerie.
Contemplando alcune di queste tele, dove l’acre
sensazione d’una realtà intristita giunge a
comporsi in ima nuda luce intellettuale, arriviamo
fino a dimenticare le formole conosciute e
inevitàbili sulle quali il pittore ha costruito. Linee
e colori ci conducono, seppure attraverso
divaganti ambiguità, a un loro significato riposto
di smarrita e barbara malinconia, dove le forme
semplificate non serbano più che una inquieta
e fuggevole grazia, i volti delle figure
si scompongono in piani aridi e violenti, una
natura acerba è impedita di fiorire.
Carlo Carrà.
Carlo Carrà.

Attraverso i tre stadi sinora attraversati dalla
Attraverso i tre stadi sinora attraversati dalla pittura di Carrà è riconoscibile una intensa volontà di crearsi un tono originale su di un terreno esausto.. La natura di questo piemontese tenace e romantico è altrettanto ingenua quanto disillusa. Come risultati concreti, nè il periodo prettamente futurista nè quello metafisico successivo rappresentano altro che accenni e indicazioni.
pittura di Carrà è riconoscibile una intensa volontà

di crearsi un tono originale su di un terreno
Carrà ha incominciato con intenzioni palingenetiche, e i quadri del periodo futurista portano le tracce delle tumultuose e inconsistenti teoriche che sommossero a quei tempi, cicloni inoffensivi, l’aria stagnante dell’arte nazionale.
esausto.. La natura di questo piemontese

tenace e romantico è altrettanto ingenua quanto
In Carrà più che in altri si manifestavano con schiettezza le inclinazioni realistiche ch’eran l’unico movente concreto delle esperienze che si chiamarono futurismo. L’anelito a distruggere il distruggibile e a confondere il confondibile, che perfino sulle tele si concretava materialmente in polverose catastrofi di forme e di colori, era veduto allora come l’unico mezzo di aderire ad una realtà contemporanea, l’unico modo, per noi italiani, di sottrarci per Sempre agli schemi e alle architetture del passato. Nella «Carrozza di notte» e nella «Donna al balcone» oggi non resta più che qualche delicatezza di chiaroscuro.
disillusa. Come risultati concreti, nè il periodo

prettamente futurista nè quello metafisico successivo
Altrettanto può dirsi della successiva fase «metafisica» dell’opera di Carrà. Anche qui è opportuno distinguere l’apparato e la messa in scena dagli effettivi risultati di tono e colore smarriti entro forme polemiche ed eccessive.
rappresentano altro che accenni e indicazioni.

Carrà ha incominciato con intenzioni
Ma qui aveva inizio quello che chiameremo il romanticismo di Carrà. A questi oggetti incredibili isolati in un’aria sorda e riprodotti colla penosa e tentennante cura dei primitivi sotto cieli sfumanti dal violaceo cupo al verde, bisognava attribuire il valore di cifre ermetiche e suggestive, a cui le stesse volute incertezze del dipinto dovevano apportare come un sottile incanto, quasi di una delicata difficoltà, a quelle idee nostalgiche e favolose, di materializzarsi sulla tela. Si trattava anche qui di semplici accenni, di forme intelligibili soltanto «in chiave», e vani erano i richiami giotteschi di certi toni calcinosi, e gl’ingenui accostamenti di alcuni colori semplici e preziosi sulla tela bianca a dare una quasiasi parvenza di verità plastica a queste geometriche astrazioni.
palingenetiche, e i quadri del periodo futurista

portano le tracce delle tumultuose e inconsistenti
Ma la stessa romantica inquietudine che evadeva sempre verso forme simboliche, rappresentanti solo una individuazione provvisoria e ineffettuale del sentimento dell’artista, doveva a poco a poco raccogliersi e ritrovare un terreno solido, Questi paesi che costituiscono la terza maniera del nostro pittore hanno veramente il valore di una lenta a guardinga presa di possesso. Queste terre liscie e pesanti, su cui s’aprono densi cieli ove una luce perfettamente dissolta si fa morbida e sommessa, queste masse di verdi smorti ove il rosso di qualche tetto mette qua e là come un tocco di delicato trasoguamento, ci appaiono visti entro una nostalgia intellettiva che ha finalmente trovato di che non smarrirsi. Una piccola casa sotto una collina brulla, presso un’acqua ferma, ha l’incanto suggestivo e raccolto di certe immagini di ricordo, incanto che pur non abbandona mai la materia plastica ove si è concretato. La lenta e faticosa aderenza dei toni, la costruzione schematica delle masse che ci riporta al più valido insegnamento di Cézanne, contribuiscono all’elaborazione di una realtà limitata ma pensosa e priva di facili richiami caratteristici, solidamente costruita eppur vivente solo in una melanconica atmosfera interiore.
teoriche che sommossero a quei tempi,

cicloni inoffensivi, l’aria stagnante dell’arte nazionale.
In Carrà più che in altri si manifestavano
con schiettezza le inclinazioni realistiche
ch’eran l’unico movente concreto delle esperienze
che si chiamarono futurismo. L’anelito
a distruggere il distruggibile e a confondere
il confondibile, che perfino sulle tele si concretava
materialmente in polverose catastrofi di
forme e di colori, era veduto allora come l’unico
mezzo di aderire ad una realtà contemporanea,
l’unico modo, per noi italiani, di sottrarci
per Sempre agli schemi e alle architetture
del passato. Nella «Carrozza di notte» e
nella «Donna al balcone» oggi non resta più
che qualche delicatezza di chiaroscuro.
Altrettanto può dirsi della successiva fase
«metafisica» dell’opera di Carrà. Anche qui è
opportuno distinguere l’apparato e la messa in
scena dagli effettivi risultati di tono e colore
smarriti entro forme polemiche ed eccessive.
Ma qui aveva inizio quello che chiameremo il
romanticismo di Carrà. A questi oggetti incredibili
isolati in un’aria sorda e riprodotti colla
penosa e tentennante cura dei primitivi sotto
cieli sfumanti dal violaceo cupo al verde, bisognava
attribuire il valore di cifre ermetiche
e suggestive, a cui le stesse volute incertezze
del dipinto dovevano apportare come un sottile
incanto, quasi di una delicata difficoltà, a
quelle idee nostalgiche e favolose, di materializzarsi
sulla tela. Si trattava anche qui di semplici
accenni, di forme intelligibili soltanto «in
chiave», e vani erano i richiami giotteschi di
certi toni calcinosi, e gl’ingenui accostamenti
di alcuni colori semplici e preziosi sulla tela
bianca a dare una quasiasi parvenza di verità
plastica a queste geometriche astrazioni.
Ma la stessa romantica inquietudine che evadeva
sempre verso forme simboliche, rappresentanti
solo una individuazione provvisoria e
ineffettuale del sentimento dell’artista, doveva
a poco a poco raccogliersi e ritrovare un terreno
solido, Questi paesi che costituiscono la
terza maniera del nostro pittore hanno veramente
il valore di una lenta a guardinga presa
di possesso. Queste terre liscie e pesanti, su cui
s’aprono densi cieli ove una luce perfettamente
dissolta si fa morbida e sommessa, queste masse
di verdi smorti ove il rosso di qualche tetto
mette qua e là come un tocco di delicato trasoguamento,
ci appaiono visti entro una nostalgia
intellettiva che ha finalmente trovato di che
non smarrirsi. Una piccola casa sotto una collina
brulla, presso un’acqua ferma, ha l’incanto
suggestivo e raccolto di certe immagini di ricordo,
incanto che pur non abbandona mai la
materia plastica ove si è concretato. La lenta
e faticosa aderenza dei toni, la costruzione schematica
delle masse che ci riporta al più valido
insegnamento di Cézanne, contribuiscono all’elaborazione
di una realtà limitata ma pensosa
e priva di facili richiami caratteristici, solidamente
costruita eppur vivente solo in una melanconica
atmosfera interiore.
Giorgio De Chirico.
Giorgio De Chirico.

Chiamano letterario questo pittore, ma è evidente
Chiamano letterario questo pittore, ma è evidente che tale termine non deve prendersi nell’accezione con cui si chiamarmi letterari pittori Moreau, Bòcklin, Puvis de Chavannes. In De Chirico la sparsila degli elementi ripresi dalla pittura antica si riorganizza solo in una ricerca di curiosi significati anacronistici, che restano forzatamente frammentari e illusivi.
che tale termine non deve prendersi nell’accezione

con cui si chiamarmi letterari pittori
Mi sembra di dover aggiungere che questi elementi, raccolti dunque solo a scopo di ottenerne delicate e favolose suggestioni plastiche, piuttosto che alle grandi opere della pittura passata, si ricolleghino in relitti deteriori di questa.
Moreau, Bòcklin, Puvis de Chavannes. In

De Chirico la sparsila degli elementi ripresi
Quattrocento e seicento, vecchie stampe dimenticate e tele dell’ultimo ordine, litografie d’osteria, sfondi scenici ’bòckliniani ecc. eco.
dalla pittura antica si riorganizza solo in una

ricerca di curiosi significati anacronistici, che
Tutte queste cose han contribuito a formare una strana pittura, in cui, è impossibile negarlo, gli elementi predetti si trovano curiosamente rivissuti, se non fusi.
restano forzatamente frammentari e illusivi.

Mi sembra di dover aggiungere che questi elementi,
In quanto alla cosiddetta pittura metafisica, ciò che non vi è di ciarlatanesco o rettorico si riduce a una sorta d’inconscia e confusa nostalgia di certe forme e di certi echi del passato.
raccolti dunque solo a scopo di ottenerne

delicate e favolose suggestioni plastiche, piuttosto
Tutti conosciamo la vaga suggestione del ricordo di letture e visioni infantili, il misterioso senso d’una statua corrosa in una pigra piazza estiva; l’inesprimibile tragicità promanante da pochi oggetti isolati in una stanza morta. A evocare d’un tratto il nome di Ettore o di Andromaca, di Achille o di Diomede, è facile che si ricada nel primitivo senso avutone da letture, e da quadri conosciuti nell’infanzia, e che tali figure, nel subitaneo socchiudersi della memoria, ci riappaiano cariche dei favolosi e incerti significati, con cui prima si presentano alla nostra immaginazione fanciulla, in un’atmosfera insieme paurosa e familiare, al di là d’ogni storica o leggendaria evidenza.
che alle grandi opere della pittura passata,

si ricolleghino in relitti deteriori di questa.
Il pericolo continuo di questa pittura, che pure ha prodotto, con qualcosa di Carrà e di questo De Chirico, alcune opere abbastanza significative, è quello di mancar d’adesione al proprio oggetto, e di non valere più per se stessa, ma solo in cifra, in funzione cioè di una misteriosa «idea» che linee e colori dovrebbero suggerire. Ora l’equivocità di quest’arte non consiste in questo suggerimento, poiché è chiaro che un’opera di pittura è un fatto spirituale, e non si esaurisce nelle linee e nei colori fisicamente intesi. Ma nella mancanza di necessità del suggerimento stesso. In altre parole, si tratta di un’arte puramente allusiva, la cui concretezza plastica non esiste che in ragione di ciò ch’essa vuole indicare senza esprimere.
Quattrocento e seicento, vecchie stampe dimenticate

e tele dell’ultimo ordine, litografie
Linee e colori possono dirci altra cosa di quella che vogliono dirci. L’.idea trascende sempre la materia, che tenta invano adeguarvisi organizzando spersi elementi di pittura classica, che dovrebbero unicamente trasportare sulla tela un indefinito senso dell’immortale nostalgia della loro origine.
d’osteria, sfondi scenici ’bòckliniani ecc. eco.

Tutte queste cose han contribuito a formare
Per venire poi all’espressione effettiva di tali intellettualistiche composizioni, è opportuno notare la singolare forza del disegno, che invano tenta incorporarsi nei coloriti rudi e terrosi, quasi di materia dissecata e decomposta. Ma in alcune nature morte, ad esempio in quella rappresentante della pescagione tratta a riva, sotto uno sfondo di marina fantastica, o in quella à&W anguilla, certi bianchi e neri rudemente segnati, e certi verdi cupi ed ocre velenose non sono privi di significazioni. Notiamo pure l’astratta fissità degli autoritratti, fissità che, in questa pittura disumana, tien luogo d’espressione psicologica. Sergio Solmi.
una strana pittura, in cui, è impossibile negarlo,

gli elementi predetti si trovano curiosamente
Rovetta Nel salotto di sua madre, la Rovettina, Gerolamo Rovetta non potè fare che gli studi di Telemaco. E Penelope era ordinariotta, rude, piuttosto vuota di vita interiore.
rivissuti, se non fusi.

In quanto alla cosiddetta pittura metafisica,
La figura di questo Telemaco che aveva succhiato con la sete dell’età l’amore del lusso e del salotto aristocratico, che sentiva la segreta ambizione delVhigh life di Milano; dominato dagli strozzini, torbido e malevolo seguace del credo plutocratico, miope, arido; diventato nemico irreconciliabile e cinico di sua madre per la repugnante storia di una eredità — è più viva negli aneddoti e nelle testimonianze di costumi che nei Disonesti o nel Tenente dei Lancieri.
ciò che non vi è di ciarlatanesco o rettorico si

riduce a una sorta d’inconscia e confusa nostalgia
Un libro di appunti e ricordi come G. Rovetta e la sua famigliai materna di E. Bevilacqua (Firenze, L.
di certe forme e di certi echi del passato.

Tutti conosciamo la vaga suggestione del
Monnier; 1925) vale a ricostruire questo mondo meglio di un saggio apologetico di Renato Simoni.
ricordo di letture e visioni infantili, il misterioso

senso d’una statua corrosa in una pigra
Bevilacqua ci mostra Rovetta giovane che vive tra un «vario assortimento di leggerezze umane, di piccole borie, di maldicenze e ipocrisie, di infiniti egoismi, con qualche venatura diafana di bontà». Si fa «poeta» con la superficialità di un filodrammatico e di un corteggiatore d’attrici. Scrivendo per calcolo e per una cc frolla borghesia arricchita, ambiziosa, politicante, sfruttatrice del patrimonio, avito, avida di piaceri» è più improvvisatore che artista, trito, facilone, senza sobrietà e senza stile.
piazza estiva; l’inesprimibile tragicità promanante

da pochi oggetti isolati in una stanza
Rovetta fu un precursore. La «letteratura milanese» erotica, mondana, prosàica, cinica, industrializzata nacque con lui. Egli si arricchì coi libri. Vitagliano e Mondadori sarebbero stati oggi i suoi felici impresari. Raffaele Calzini, Gino Rocca, Salvator Gotta infatti sono i minuscoli epigoni schiacciati dal confronto di un Rovetta più scaltrito e internazionale qual’è Guido da Verona.
morta. A evocare d’un tratto il nome di Ettore

o di Andromaca, di Achille o di Diomede, è
facile che si ricada nel primitivo senso avutone
da letture, e da quadri conosciuti nell’infanzia,
e che tali figure, nel subitaneo socchiudersi
della memoria, ci riappaiano cariche dei favolosi
e incerti significati, con cui prima si presentano
alla nostra immaginazione fanciulla, in
un’atmosfera insieme paurosa e familiare, al di
là d’ogni storica o leggendaria evidenza.
Il pericolo continuo di questa pittura, che
pure ha prodotto, con qualcosa di Carrà e di
questo De Chirico, alcune opere abbastanza significative,
è quello di mancar d’adesione al
proprio oggetto, e di non valere più per se stessa,
ma solo in cifra, in funzione cioè di una misteriosa
«idea» che linee e colori dovrebbero
suggerire. Ora l’equivocità di quest’arte non
consiste in questo suggerimento, poiché è chiaro
che un’opera di pittura è un fatto spirituale,
e non si esaurisce nelle linee e nei colori fisicamente
intesi. Ma nella mancanza di necessità
del suggerimento stesso. In altre parole, si
tratta di un’arte puramente allusiva, la cui
concretezza plastica non esiste che in ragione
di ciò ch’essa vuole indicare senza esprimere.
Linee e colori possono dirci altra cosa di quella
che vogliono dirci. L’.idea trascende sempre la
materia, che tenta invano adeguarvisi organizzando
spersi elementi di pittura classica, che
dovrebbero unicamente trasportare sulla tela
un indefinito senso dell’immortale nostalgia
della loro origine.
Per venire poi all’espressione effettiva di tali
intellettualistiche composizioni, è opportuno notare
la singolare forza del disegno, che invano
tenta incorporarsi nei coloriti rudi e terrosi,
quasi di materia dissecata e decomposta. Ma in
alcune nature morte, ad esempio in quella
rappresentante della pescagione tratta a riva,
sotto uno sfondo di marina fantastica, o in
quella à&W anguilla, certi bianchi e neri rudemente
segnati, e certi verdi cupi ed ocre velenose
non sono privi di significazioni. Notiamo
pure l’astratta fissità degli autoritratti, fissità
che, in questa pittura disumana, tien luogo
d’espressione psicologica. Sergio Solmi.
Rovetta
Nel salotto di sua madre, la Rovettina, Gerolamo
Rovetta non potè fare che gli studi di Telemaco. E
Penelope era ordinariotta, rude, piuttosto vuota di vita
interiore.
La figura di questo Telemaco che aveva succhiato
con la sete dell’età l’amore del lusso e del salotto
aristocratico, che sentiva la segreta ambizione delVhigh
life di Milano; dominato dagli strozzini, torbido
e malevolo seguace del credo plutocratico, miope,
arido; diventato nemico irreconciliabile e cinico di
sua madre per la repugnante storia di una eredità —
è più viva negli aneddoti e nelle testimonianze di
costumi che nei Disonesti o nel Tenente dei Lancieri.
Un libro di appunti e ricordi come G. Rovetta e la
sua famigliai materna di E. Bevilacqua (Firenze, L.
Monnier; 1925) vale a ricostruire questo mondo meglio
di un saggio apologetico di Renato Simoni.
Bevilacqua ci mostra Rovetta giovane che vive
tra un «vario assortimento di leggerezze umane, di
piccole borie, di maldicenze e ipocrisie, di infiniti
egoismi, con qualche venatura diafana di bontà». Si
fa «poeta» con la superficialità di un filodrammatico
e di un corteggiatore d’attrici. Scrivendo per
calcolo e per una cc frolla borghesia arricchita, ambiziosa,
politicante, sfruttatrice del patrimonio, avito,
avida di piaceri» è più improvvisatore che artista, trito,
facilone, senza sobrietà e senza stile.
Rovetta fu un precursore. La «letteratura milanese» erotica, mondana, prosàica, cinica, industrializzata
nacque con lui. Egli si arricchì coi libri. Vitagliano
e Mondadori sarebbero stati oggi i suoi felici
impresari. Raffaele Calzini, Gino Rocca, Salvator
Gotta infatti sono i minuscoli epigoni schiacciati dal
confronto di un Rovetta più scaltrito e internazionale
qual’è Guido da Verona.
Rovetta meritava di vivere in un’epoca più dinamica.
Rovetta meritava di vivere in un’epoca più dinamica.

Sarebbe stato un conquistatore, il re della reclame.
Sarebbe stato un conquistatore, il re della reclame.

Scrive De Amicis che «fu il Rovetta a ideare
Scrive De Amicis che «fu il Rovetta a ideare cu egli annunzi, chiamati striscioni, formati da enormi liste di carta impressa di caratteri cubitali, che si attaccano per traverso ai muri c alle vetrine, come tracolle gigantesche, divenuti ora comunissimi». Questa latina genialità imperiale fu sacrificata per la tristezza dei tempi democratici.
cu egli annunzi, chiamati striscioni, formati da enormi

liste di carta impressa di caratteri cubitali, che
Panai! Istrati Per R. Rollanti Istrati è un Corchi dei paesi balcanici.
si attaccano per traverso ai muri c alle vetrine, come

tracolle gigantesche, divenuti ora comunissimi». Questa
Infatti è un narratore nato, un orientale vagabondo, un meridionale acceso. Dopo vent’anni di vita errante, di avventure straordinarie Rolland lo ha indotto a farsi scrittore. Ne risulta un’arte incomposta, internazionale, esotica, che spiace agli stilisti, e vorrebbe essere sopratutto un documento rivoluzionario, di un’umanità non imprigionata nelle tradizioni.
latina genialità imperiale fu sacrificata per la tristezza

dei tempi democratici.
L’apparizione di artisti suggestivi come Istrati è una battaglia necessaria in ogni secolo, come protesta romantica contro gli accademici del protezionismo provinciale e contro le corporazioni degli scrittori professionisti.
Panai! Istrati

Per R. Rollanti Istrati è un Corchi dei paesi balcanici.
Noi lo applaudiamo come combattente anche quando pon lo lodiamo per il suo gusto.
Infatti è un narratore nato, un orientale vagabondo,

un meridionale acceso. Dopo vent’anni di vita
Dei tre libri editi dal Rieder il Cecchini ha tradotto per La Voce (Firenze, 1925) il primo, Kyra Kijmlina, che è il più semplice e pacato. «Adriano Zograffi — il protagonista del ciclo — non è, per il momento, che un giovane uomo che ama l’oriente. E un autodidatta che trova la Sorbona dove può. Egli vive, sogna, desidera molte cose. Più tardi oserà dire che molte cose sono mal fatte dagli uomini e dal creatore Egli si permetterà un’altra audacia, quella d’amare, e d’essere, sempre in tutti i paesi, l’amico di tutti gli uomini che hanno cuore».
errante, di avventure straordinarie Rolland lo ha indotto

a farsi scrittore. Ne risulta un’arte incomposta,
PILLOLE Soiaria. Raccolta cortese, tuttoché fiorentina, di prosette rondesche. La fa «un gruppo». a Senza un programma preciso». Dice l’annunzio: «Ci siamo avvistati nei caffè». «Per noi Dostoyewski è un grande scrittore». E scrivono così Dostoyewski come Ojetti, non sapendo di g aspirati e di g gutturali, scrive Sollohub. Si dice che a Firenze i diretti non passino:
internazionale, esotica, che spiace agli stilisti, e vorrebbe

essere sopratutto un documento rivoluzionario,
di un’umanità non imprigionata nelle tradizioni.
L’apparizione di artisti suggestivi come Istrati è
una battaglia necessaria in ogni secolo, come protesta
romantica contro gli accademici del protezionismo
provinciale e contro le corporazioni degli scrittori professionisti.
Noi lo applaudiamo come combattente anche
quando pon lo lodiamo per il suo gusto.
Dei tre libri editi dal Rieder il Cecchini ha tradotto
per La Voce (Firenze, 1925) il primo, Kyra
Kijmlina, che è il più semplice e pacato. «Adriano
Zograffi — il protagonista del ciclo — non è, per il
momento, che un giovane uomo che ama l’oriente. E
un autodidatta che trova la Sorbona dove può. Egli
vive, sogna, desidera molte cose. Più tardi oserà dire
che molte cose sono mal fatte dagli uomini e dal creatore
Egli si permetterà un’altra audacia, quella
d’amare, e d’essere, sempre in tutti i paesi, l’amico
di tutti gli uomini che hanno cuore».
PILLOLE
Soiaria. Raccolta cortese, tuttoché fiorentina, di prosette
rondesche. La fa «un gruppo». a Senza un programma
preciso». Dice l’annunzio: «Ci siamo avvistati
nei caffè». «Per noi Dostoyewski è un grande
scrittore». E scrivono così Dostoyewski come Ojetti,
non sapendo di g aspirati e di g gutturali, scrive
Sollohub. Si dice che a Firenze i diretti non passino:
Soiaria vi porta ora la Ronda. Proteste di Ferrieri:
Soiaria vi porta ora la Ronda. Proteste di Ferrieri:

la Ronda sono io. E quei di Soiaria, duri: «La lentezza
la Ronda sono io. E quei di Soiaria, duri: «La lentezza con cui Vincenzo Cardarelli rivela a sè e agli altri le proprie opere ha qualcosa di necessario e di fatale». Sotto Brngaglia! Per altro in copertina c’è questo cartellone-réclame:
con cui Vincenzo Cardarelli rivela a sè e agli

altri le proprie opere ha qualcosa di necessario e di
«Tutti gli studiosi, tutti coloro che sono sottoposti ad un intenso lavoro intellettuale hanno la necessità di tenere il proprio organismo in condizioni dì poter funzionare regolarmente.
fatale». Sotto Brngaglia! Per altro in copertina c’è

questo cartellone-réclame:
Una cura piacevole, la migliore fra tutte le medicine è rappresentata dal FERMENTO PURO DELL’UVA».
«Tutti gli studiosi, tutti coloro che sono sottoposti

ad un intenso lavoro intellettuale hanno la necessità
L’Italiano. Una rivista fascista (Bolognese) che non ripete sciocchezzuole alla Bottai. E’ vero che continua a giurare sul vulcano spento Soffici, ed ospita le insigni pacchianerie di Pellizzi e di Pavolini, ma si raccomanda per la spregiudicatezza di Maccari e per gli sfottetti di Longanesi. Per esempio: Ada Negri, la Enrica Ferri della letteratura. Bisogna far in maniera che Nino Berrini si iscriva alle opposizioni per poterlo poi bastonare. Vi è anche detto Gobetti à disitaglianizzato (sic).
di tenere il proprio organismo in condizioni dì

poter funzionare regolarmente.
Una cura piacevole, la migliore fra tutte le medicine
è rappresentata dal
FERMENTO PURO DELL’UVA».
L’Italiano. Una rivista fascista (Bolognese) che
non ripete sciocchezzuole alla Bottai. E’ vero che
continua a giurare sul vulcano spento Soffici, ed ospita
le insigni pacchianerie di Pellizzi e di Pavolini, ma
si raccomanda per la spregiudicatezza di Maccari e
per gli sfottetti di Longanesi. Per esempio: Ada
Negri, la Enrica Ferri della letteratura. Bisogna far
in maniera che Nino Berrini si iscriva alle opposizioni
per poterlo poi bastonare. Vi è anche detto Gobetti à
disitaglianizzato (sic).
G. B. PARAVIA & C.
G. B. PARAVIA & C.

Editori-Librai-Tipografi
TORINO - IWittfifiO - FIRENZE - NOJflfl - NHPOIil ■ PALERMO
Editori-Librai-Tipografi TORINO - IWittfifiO - FIRENZE - NOJflfl - NHPOIil ■ PALERMO «BIBLIOTECA DI CLASSICI ITALIANI»

«BIBLIOTECA DI CLASSICI ITALIANI»
GIACOMO LEOPARDI I canti Introduzione e note di Valentino Pìccoli Ecco come la stampa ha giudicato la nostra edizione del Leopardi:
GIACOMO LEOPARDI

I canti
«Bene ha fatto il Paravia ad affidare la ristampa dei canti leopardiani a Valentino Piccoli, che nella bella introduzione, nella introduzione ad ogni canto e nelle nòte ricchissime, dà una giusta misura della sua informatissima coscienza di critico e della sua raffinata sensibilità di poeta. Questa è una edizione veramente critica dei canti del grande Leopardi. Il Piccoli, senza cineserie filologiche, ma con sobrietà e profondità di giudizio, riesce ad illuminare la poesia leopardiana nell’insieme e nei particolari, a penetrare l’anima del Poeta, a far comprendere e ad ammirare (anche a coloro che ammirano senza sapere perchè) le bellezze sovrane di quei canti. Da notare che il Piccoli non sorvola sui passi più oscuri, com’è comoda consuetudine dei critici; ma vaglia le diverse interpretazioni, ne indica le migliori e quando non ne trovi di persuasive, anche tra le migliori, offre i suoi commenti e le sue interpretazioni che spesso vincono quelle di Maestri insigni. Un libro che onora altamente la Biblioteca di Classici Italiani dell’editore Paravia, che sarà prezioso aiuto agli insegnanti e agli scolari, e farà molto bene, infine, a chiunque voglia accostarsi, con desiderio e volontà di a comprendere», alla poesia leopardiana».
Introduzione e note di Valentino Pìccoli

Ecco come la stampa ha giudicato la nostra
edizione del Leopardi:
«Bene ha fatto il Paravia ad affidare la ristampa
dei canti leopardiani a Valentino Piccoli,
che nella bella introduzione, nella introduzione
ad ogni canto e nelle nòte ricchissime,
dà una giusta misura della sua informatissima
coscienza di critico e della sua raffinata sensibilità
di poeta. Questa è una edizione veramente
critica dei canti del grande Leopardi. Il
Piccoli, senza cineserie filologiche, ma con sobrietà
e profondità di giudizio, riesce ad illuminare
la poesia leopardiana nell’insieme e nei
particolari, a penetrare l’anima del Poeta, a
far comprendere e ad ammirare (anche a coloro
che ammirano senza sapere perchè) le bellezze
sovrane di quei canti. Da notare che il
Piccoli non sorvola sui passi più oscuri, com’è
comoda consuetudine dei critici; ma vaglia le
diverse interpretazioni, ne indica le migliori e
quando non ne trovi di persuasive, anche tra
le migliori, offre i suoi commenti e le sue interpretazioni
che spesso vincono quelle di Maestri
insigni. Un libro che onora altamente la
Biblioteca di Classici Italiani dell’editore Paravia,
che sarà prezioso aiuto agli insegnanti e
agli scolari, e farà molto bene, infine, a chiunque
voglia accostarsi, con desiderio e volontà di
a comprendere», alla poesia leopardiana».
D&WIdea Sociale di Como.
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Prezzo del volume lire 9
Le richieste vanno fatte o alla sede Centrale
Prezzo del volume lire 9 Le richieste vanno fatte o alla sede Centrale di Torino, Via Garibaldi N. 23, o alle Filiali di Milano, Firenze, Roma, Napoli, Palermo.

di Torino, Via Garibaldi N. 23, o alle Filiali
Annunciamo la nuovissima nostra collana Miti storie e leggende diretta da Luisa Banal, nella quale collana saranno narrate ai giovani, in forma piacevole, facile ed adatta, per quanto ò possibile, ai loro gusti e alla loro età, le immaginose fole dell’Oriente, i miti della Grecia e di Roma, le epopee delle genti nordiche, le argute storie lare al popolo nostro. I giovani lettori imi r’eranno così a conoscere con piacere maggiore di quello che possa dare la lettura di avventure inverosimili, le gemme più brillanti racchiuse nel tesoro letterario dei popoli.
di Milano, Firenze, Roma, Napoli, Palermo.

Annunciamo la nuovissima nostra collana
Miti storie e leggende
diretta da Luisa Banal, nella quale collana saranno
narrate ai giovani, in forma piacevole,
facile ed adatta, per quanto ò possibile, ai loro
gusti e alla loro età, le immaginose fole dell’Oriente,
i miti della Grecia e di Roma, le
epopee delle genti nordiche, le argute storie
lare al popolo nostro. I giovani lettori imi
r’eranno così a conoscere con piacere maggiore
di quello che possa dare la lettura di avventure
inverosimili, le gemme più brillanti racchiuse
nel tesoro letterario dei popoli.
Sono finora pubblicati:
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Banal Luisa - Gli ultimi Signori dell’Alhambra
— Con disegni ed illustrazioni di Carlo
Banal Luisa - Gli ultimi Signori dell’Alhambra — Con disegni ed illustrazioni di Carlo Nicco, lire 12.

Nicco, lire 12.
Lattes Laura - Il cavaliere di Roncisvalle.
Lattes Laura - Il cavaliere di Roncisvalle.

Storia di un cavaliere antico per i piccoli
cavalieri d’oggi - Con disegni ed illustrazioni
Storia di un cavaliere antico per i piccoli cavalieri d’oggi - Con disegni ed illustrazioni di Carlo Nicco, lire 9.

di Carlo Nicco, lire 9.
Le richieste vanno fatte o alla Sede Centrale
Le richieste vanno fatte o alla Sede Centrale di Torino, Via Garibaldi, 23 o alle Filiali di Milane., Firenze, Roma, Napoli, Palermo.

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“L’ECO DELLA STAMPA „ il ben noto ufficio di ritagli da giornali e rivisto fondato nel 1901, ha sede esclusivamente in Milano (12) Corso Porta Nuova, 24.
di Milane., Firenze, Roma, Napoli, Palermo.

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